
Riflessioni sul Ditié di Jehanne d’Arc di Christine de Pizan
A soli diciassette anni, una contadina della Lorena giunge alla corte del Delfino di Francia, Carlo VII di Valois. Giovanna d’Arco (1412-1431) sosteneva di aver ricevuto precise rivelazioni da entità celestiali, concernenti la liberazione della Francia. Che vi si creda o meno, sarà la sua campagna contro gli Inglesi ad orientare l’esito della Guerra dei Cento Anni (1337-1453) a favore delle truppe francesi. Il suo coraggio si impose in un’epoca di incertezza, di profezie e di sangue. La sua venuta fu un evento straordinario, proprio perché straordinaria fu la riscossa succeduta grazie ad una donna fragile, analfabeta e di umili origini. Numerosi artisti, in particolare Jules Eugène Lenepveu, hanno voluto restituirne un’immagine romanticizzata. Nell’assedio di Orléans, Giovanna è intrepida dinanzi alle mura attorniate dagli inglesi. Lenepveu sceglie di immortalare il momento in cui la pulzella si trova nell’atto di ragguagliare le truppe francesi, mentre è avvolta in un’armatura lucente. All’altezza dell’elmo a bacinetto, avvedutamente poggiato sul capo, corrisponde la sua mano, nella quale è stretto saldamente lo stendardo bianco dal quale Giovanna sarà costretta a separarsi soltanto al momento della cattura.
La liberazione di Orléans fu un obiettivo indispensabile. Da essa dipendeva l’incoronazione di Carlo VII a re di Francia. Ma è proprio con la presa della città e con l’unzione del Delfino nella cattedrale di Reims, che il grido dei cittadini calpestati dal giogo inglese passò in secondo piano. Inizialmente sostenuta dall’aristocrazia francese, la condottiera divenne presto invisa agli ambienti di corte. La popolarità per le sue imprese, insieme all’ostinazione nel volere una guerra logorante arrestarono il suo mandato divino. Abbandonata da Carlo VII e da una fetta degli iniziali sostenitori, sprovvista di rinforzi militari, Giovanna azzardò una rischiosa sortita anti-borgognona dinanzi alle mura di Compiègne, luogo dove verrà fatta prigioniera. Venduta agli inglesi, sottoposta ad un tortuoso processo nella città di Rouen, guidato dal vescovo Pierre Cauchon, Il 30 maggio del 1431 venne abbandonata al braccio secolare come eretica, idolatra e strega. L’eroina aveva soltanto diciannove anni quando il rogo di Place du Vieux-Marché consumò il suo corpo. Molti secoli più tardi, la sua storia divenne oggetto di interesse da parte di intellettuali clericali e anticlericali, nonché dalla stessa Curia romana. Sotto i pontificati di Pio X e di Benedetto XV, la giovane venne proclamata prima beata e poi santa, diventando il simbolo del nazionalismo e dell’amor patrio francese. La rielaborazione dissacrante della sua storia, redatta alla metà del Settecento da Voltaire, non ne frenarono il trionfo; Giovanna permeò i campi della letteratura e della politica.
La poesia, più dell’arte, ha anticipato e facilitato l’intenso processo di mitizzazione. L’apparizione di Giovanna d’Arco irruppe prepotentemente nel silenzio in cui si era chiusa Christine de Pizan (1364-1431). Poetessa, intellettuale di corte e politica, Christine stese opere allegoriche e trattati in prosa. Tra questi si annoverano una biografia dedicata a Carlo V e la Città delle Dame. Il Ditié de Jehanne d’Arc è invece un poema epico-lirico di quattrocentottantotto versi organizzati in sessantuno ottave di ottonari. L’opera, spaziando dai campi della letteratura, della storia e della poesia, si focalizza sulla rapida venuta di Giovanna d’Arco. In essa si racconta della vicina liberazione della Francia, ormai occupata dagli Inglesi, per l’arrivo di una giovane di umili origini. L’intenso pathos, che si percepisce dalla lettura dei primi versi, trova ragione nel sofferto esilio presso il monastero aristocratico di Poissy. Christine vi venne confinata quando la città universitaria di Parigi, caduta nelle mani anglo-borgognone, diventò teatro della feroce repressione antifrancese, costringendo una parte dell’aristocrazia fedele al Delfino alla fuga. La gioia per la notizia riguardante l’arrivo di quella contadina viene resa con studiate metafore. Le stagione invernale, momento dell’occupazione parigina, si riflette nelle lacrime di Christine. Lacrime che muovono al riso quando una giovanetta, dipinta nello stupendo trinomio luce-chiarezza-rivelazione, mette piede alla corte francese anticipando la fine dell’esilio (ottave I-XII). Molteplici temi arricchiscono il poema. Christine conferma Carlo VII come legittimo sovrano di Francia, mentre nei versi XXI-XXXVI Giovanna d’Arco è presentata come liberatrice della nazione, più coraggiosa delle eroine bibliche (Ester, Giuditta e Debora) e, per sorprendente rapidità nella liberazione di Orléans, migliore degli eroi omerici Ettore e di Achille. Una prode cheveitaine, ma anche una profetessa pari alla Sibilla, personaggio centrale e ricorrente nelle opere della Pizan. Non mancano, specialmente nelle ottave XXXVII-XXVIII, suppliche e incoraggiamenti all’esercito francese affinché continui a profondere zelo nella campagna antinglese: /E voi, provetti uomini d’arme/che fate il vostro dovere/ e buoni e leali vi dimostrate/certo si deve far menzione/(lodati in ogni nazione voi ne sarete!)/ e senza fallo/parlare di voi sopra ogni altra cosa/e del vostro valore/. Ma è a Giovanna che spetta il compito più delicato. Christine, deceduta prima dell’esecuzione della pulzella, non poté immaginare il triste esito che avrebbe chiuso la sua epopea. Fu per questa ragione che alla poetessa piacque immaginarla come portatrice di pace tra Chiesa e Cristianità e come “crociato” contro eretici e Saraceni: Lei porterà concordia/ Tra la Cristianità e la Chiesa./ I miscredenti di cui si parla e/ gli eretici della vita oscena distruggerà,/perché così annuncia la profezia,/ che l’ha predetto, ne ci sarà/ in alcun luogo misericordia/per chi non ha fede in Dio. Con un riferimento alla luce, dunque in modo ciclico, Christine chiude il suo poema: /Questo poema fu composto da Christine, nel detto anno 1429/l’ultimo giorno del mese di luglio./ Ma credo che a qualcuno/non piacerà il suo contenuto,/perché chi ha la testa china/e gli occhi pesanti,/non può guardare la luce.
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Bibliografia parziale
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