À quatre mains, à six mains
Elio Scarciglia - Volti di Roma - Museo Capitolino

À quatre mains, à six mains

diAlessandra Gasparini

Passeggiamo sotto una sottile grigia pioggia parigina, il giorno dopo una Pasqua che, appena giunti, ci aveva riscaldati con un abbraccio luminoso, tiepido, fiorito, multicolore. Costeggiamo Le Jardin d’Acclimatation, al Bois de Boulogne, opera del paesaggista Jean-Pierre Barillet-Deschamps (1824-1873), autore dei progetti dei più bei parchi di Parigi. Ed ecco apparire la gigantesca balena di Frank Gehry, preceduta dall’affascinante scivolo-gradinata-fontana d’acqua cristallina, il cui affaccio ristora la vista, anche nelle giornate uggiose. Siamo giunti alla Fondation Louis Vuitton.

La mostra “Basquiat x Warhol. Dipingere a quattro mani”, ospite del museo-balena dal 5 aprile al 28 agosto, mi trova diffidente ma anche curiosa. La pop art di Warhol non ha mai suscitato in me particolare simpatia, l’eccessiva distribuzione di sue immagini lo ha reso ai miei occhi un mito abusato. Nel 2018 lo stesso museo aveva ospitato la retrospettiva di Jean-Michel Basquiat, il giovane talentuoso artista statunitense morto per droga a soli 28 anni, quando già era giunto all’apice della fama e riconosciuto come uno dei principali esponenti del graffitismo e dell’arte metropolitana. Basquiat appartiene a una cultura che mi coinvolge maggiormente e la sua storia di artista maledetto ma con le ali mi intriga. In realtà la sua fine giunse poco dopo quella di Warhol, dovuta ad un intervento chirurgico non riuscito. Basquiat si sentì forse troppo solo, privo del suo grande amico-mentore, troppo giovane in un mondo che lo vendeva a caro prezzo. Da sempre ribelle, fumatore abituale d’erba sin dalla più giovane età, ma apprezzato dai suoi insegnanti per la sua originalità di scrittore e illustratore già dai tempi degli studi superiori. L’incontro con Andy Warhol avvenne nel 1982. In realtà sin dall’età di vent’anni Basquiat si era dimostrato sensibilissimo al rapporto tra arte e cultura popolare. Warhol dice di lui: “Sono geloso. Lui è più veloce di me”. Entrambi infatti sono estremamente prolifici nella realizzazione di opere pittoriche. Warhol vede in lui un artista libero, un virtuoso esponente dell’arte urbana. Collaboreranno. Tra il 1984 e il 1985 realizzeranno assieme 160 tele. Questo mi ha spinta qui, la curiosità  di capire in che modo due spiriti travolgenti e affermati come i loro potessero incontrarsi sulla stessa tela. Il risultato è quanto mai interessante.


I due dialogano sulla tela, per avvicinarsi si ritraggono reciprocamente cogliendo con tratti infantili aspetti della personalità dell’altro. Così Basquiat dipinge Warhol concentrato e occhialuto, intento a fare sollevamento pesi. Così Warhol ritrae un Basquiat bello, serio, fiero di sé, in un negativo di foto dipinto su una tela di due metri per uno e ottanta. La posa, quella del David michelangiolesco. Lui nero sulla tela bianca, poi lui bianco sulla tela nera. Ritraggono e vengono ritratti anche dall’amico artista italiano Francesco Clemente, che con loro collaborerà ad una interessantissima esperienza di pittura a sei mani. Una grande stanza della galleria espone le opere dei tre, gioco a individuare i contributi di ciascuno. I pesci, i graffiti, le scritte grondanti colore sono di Basquiat, gli omini buffi con parti del corpo difformi appartengono a Clemente, le insegne pubblicitarie, le basi in colore acrilico, i “fiori timbrati” sembrano tipicamente Andy Warhol. Come ad esempio in “Casa del popolo”, dove una donna si copre gli occhi con una mano che contemporaneamente regge una scimmia, mentre con l’altra indica un muro-porta timbrato, da cui sporge un muso di pesce. Procedimento simile al gioco del cadavere squisito,anche qui si collegano parole, numeri, forme, colori, ma le immagini degli altri sono visibili. Per ottenere un effetto comunicativo insolito, decisamente efficace. -Devono essersi molto divertiti- penso. Gli stili si integrano, i colori si mescolano, i corpi si articolano in parole disegnate, talvolta stampate, e forme. C’è qualcosa che avvince, ti fermi per capire meglio. Nell’opera “In bianco” file di uomini fotografati e ritagliati sono attraversati in un senso e nell’altro da reti nere, dipinte, che non riescono a bloccarli.

Torniamo ai due. Nella stanza più grande sono esposte tele lunghissime e potenti, Mi colpisce particolarmente “African Masks”. In una lunga sequenza orizzontale 14 maschere africane di diversi stili e dimensioni si affiancano, le nere alternate alle brune e alle bianche. Commistione di stili, difficile questa volta dire chi ha dipinto ciascuna. Opera bellissima, non c’è più separazione, questo emoziona.

Mi colpisce la stanza dei frutti e dei cani. Su una tela imbrattata di lilla (“Eggs”) un grande ovale bianco contiene mele rosse, bianchi e rossi d’uovo, una inquietante maschera nera da cui si dipartono rami rossi e il cui corpo sembra risolversi in un organo sessuale maschile, più parole cancellate, altre no. I cani della trilogia presente nella sala sono uno basso, un po’ tozzo, con contorni blu, e l’altro alto, snello, con contorni rossi. Ci  guardano con sguardo di cane che annusa, che si rivolge, che aspetta, forse di essere cancellato come avviene nel terzo dipinto, dove del cane blu resta solo una traccia di muso, il resto ricoperto di color oro. Nel mio quadro preferito lo sfondo è bianco e i due, sempre uno rosso e l’altro blu, si stagliano. Mentre li guardo il rosso urina e il blu defeca. Mi fanno ridere, ma sono così astrattamente concreti! Li ammiro.


Ecco la stanza con le foto in cui i due pittori, divenuti amici, si affrontano come boxeur in una composizione di 100 scatti, disposti in sequenza su una grande parete. Ma la foto che mi attrae è una gigantografia in cui, presso il Mr. Chow Restaurant di New York City, nell’aprile del 1985, tutti o quasi gli artisti “vip” dell’epoca presenti negli States si mettono in posa, perfetti narcisi, per essere ricordati sempre. C’è chi sorride e accenna un saluto, come David Hockney, chi fa smorfie ,come Keith Haring, chi fissa l’obiettivo con sguardo fascinoso, come Robert Mapplethorpe, chi invece lo ignora, come Francesco Clemente… Al centro è Basquiat, il più bello, il più serio, regge un piatto e fissa intensamente lo spettatore. Sembra avere vinto la sfida, è diventato forse il più famoso. Quello che ci lascerà più giovane.


Dall’esterno della balena labirinto s’intravedono la Tour Eiffel, nostra compagna di tante stagioni, una macchia densa di verde e i fitti alti alberi del Bois de Boulogne. La natura ancora una volta si mescola all’architettura, all’arte, al colore, alla vita. A Parigi.






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