La noia e l'artista . Storia personale di un tratto grafico
Alberto Cini - Era bella quella gonna

La noia e l'artista . Storia personale di un tratto grafico

diAlberto Cini

Ancora oggi, quando devo cominciare una tavola grafica, mancando totalmente di progetto ed ispirazione, faccio ricorso alla noia. La noia madre dell’interiorità e dell’ascolto, sorella bastarda e trascurata di quei processi che attualmente si preferisce attribuire a sessioni di meditazione trascendentale, nei tanti corsi dell’evoluzione spirituale che ci stanno attorno. La noia se valorizzata e sfruttata diviene tutt'altro che uno spreco passivo di vitalità mancata.


Prendo in mano la mia matita, quella giusta, il foglio, mi metto nella posizione corretta, e poi dimentico. Dimentico dove sono, dimentico il mio tempo, faccio sforzo di immaginazione e torno ai miei dodici anni, in prima media, e ascolto la lezione di geografia politica della professoressa Giacometti, che pur avendo il cognome di un artista, nulla di lei riportava la mia mente a qualsiasi flusso creativo. La sua intonazione vocale era una litania devastante per l’attenzione ma un toccasana per sprofondare dentro sé stessi e contattare quell’onda interna che da una specie di sonno vivo e ansimante, cominciava a fluire la vita attraverso gli strati più bassi del corpo, dal perineo fino al braccio, dal braccio alla mano, dalla mano alla matita, e da quel contatto con la superficie bianca del foglio, cominciava così un movimento. Mai avrei saputo cosa andavo a disegnare prima, la mano si muoveva da sola sospinta da quell’onirica atmosfera, così allora, così oggi ancora.


Immagino oggi di essere ad allora, e dalla mano cominciano a formarsi i personaggi, con le loro caratteristiche, oppure semplici e spumeggianti rivoli di segni di forme, angoli, punte di coni, cerchi e spirali, come in un sogno ottico, di cui sono spettatore. Così compongo graficamente, così ho sopravvissuto negli anni scolastici obbligatori, disegnando sotto il tavolo, quando era possibile direttamente in tutti gli eventuali spazi bianchi ai margini dei libri e nel retro dei quaderni.


Ho ritrovato da qualche anno il primo grafico da me disegnato all’età di appunto dodici anni, lo ricordavo. Quando ho aperto, nella cantina dei miei genitori, quello scatolone da dove è sbucato fuori, mi sono stupito e mi sono stupito oltremodo di averne ancora memoria. Era disegnato nell’ultima pagina, sul retro di copertina, quella che di solito resta bianca, di un vecchio quadernetto. Dopo quello ricordai di averne fatti altri di grafici, devastando i libri di testo e gli appunti vari, ma tutto è andato sicuramente perduto.

A quel tempo mi piaceva lasciare andare la mano a vita propria e guardare le figure che ne uscivano, aggiustandole in maniera da divenire soggetti autonomi, incastrati l’uno nell’altro. Col tempo, abbandonai la forma e l’incastro dei soggetti e cominciai a godere totalmente dell’astrattismo in sé stesso.


Nonostante oggi mi diletti di dipingere e fare arte in tanti modi e tecniche differenti, mai ho abbandonato quel primo grafismo, che per me è sempre stato un atto psicologico di contatto con me stesso e pulizia della mente. Quel grafismo è cresciuto con me ed è diventato altro, adattandosi al percorso del tempo che mi faceva adulto, ed alle occasioni di essere usato, incanalato, nelle realtà espressive e professionali che vivevo.


Solo per assaggiare un percorso temporale di ciò che sopra ho affermato, ho portato oggi per voi, cinque immagini esplicative. Ovviamente non posso non mostrare il primo reperto del retrocopertina che ormai pare poco più di una reliquia cartacea della preadolescenza.



(1) Dopo i vent’anni quando cominciai ad espandere l’inchiostro alla parola, dedicandomi alla poesia, non potei non avvalermi di questa grafica innata per arricchire le mie prime pubblicazioni di qualche immagine. Anche per la poesia, non riuscii a separarmi da questo stile, da queste onde di bianco e nero che non potevano che imparentarsi con la parola stampata.



(2) Fu poi a trent’anni che approcciandomi alla serigrafia decisi infine di staccare dalla parola, questo effluvio grafico e disegnai una sorta di vari troni particolari. Inizialmente in grande, su plexiglas, che poi vennero fotografati ed infine diventarono serigrafie d’arte. Ma fu una vittoria di Pirro, infine. Il dominio della grafica sulla parola si trasformò soltanto in una inversione di atti creativi. Dopo aver ideato questi vari “Troni”, non ho resistito a forgiare varie poesie, per ognuno di essi. Così oggi che sia nato prima l’uno o l’altra non ha importanza.




(3) Fu poi la mia passione per il teatro a utilizzare questi soggetti grafici per la scena. Da quel piccolo foglio la possibilità di disegnare in grande, con un solo gesto, con pennarelli a vernice che scorrevano sulla plastica come gondole sul mare, senza poter sbagliare, senza poter cancellare. Sono cose che ti danno i brividi, come lanciarti in deltaplano, o negli sport estremi. Il segno indelebile e perfetto, ed hai solo un tratto per farlo perfetto... o quello o nulla.


(4) Poi venne il giorno che il mio tratto nero, figlio della madre noia, venne incoronato. Venne santificato come sovrano, quando non fu più una sola mia creazione e si trasferì nel mondo.

Io da artista soltanto, divenni Educatore Professionale. Lavoravo in un centro per adolescenti. Pensai, guardando quei ragazzini, che avevano la stessa età, di quando il mio segno nacque, e di quanto ero simile a loro. Ma dove erano i loro tratti grafici? Avevano altri talenti nascosti tra le pieghe delle lezioni di geografia che non uscivano? Così parte del mio lavoro fu quello di dare spazio al loro sommerso, a quel disagio covato dalla feroce noia che aspettava di diventare cigno. Quando non si sapeva che fare, nei momenti di attesa, nei lunghi giorni dopo la scuola, io fornivo fogli cartonati bianchi, chiunque passava faceva una linea, chi voleva riempiva uno spazio, tanto per fare, tanto per riempire simbolicamente il tempo, disegnare è un modo di essere nel mondo, a molti faceva paura, riempire il mondo con un segno. Poi scoprirono che trovare il proprio tratto era importante, allentava i propri timori, definiva chi sei, ti metteva in relazione con gli altri. Questo fare divenne un progetto, un’azione educativa, una mostra nei locali comunali.

Il vecchio tratto nero della mia noia divenne un gesto sociale, un’opera collettiva, un ritorno simbolico e tornò a casa come il figliol prodigo.

Così si fece festa quel giorno, il giorno della mostra dei ragazzi del gruppo, dove tutti i visitatori videro i tratti grafici e la loro forza con la quale si riempirono gli spazi bianchi e si uccise il vitello grasso dell’arte, e fummo felici.


Commenti

Lascia il tuo commento

Codice di verifica


Invia

Sostienici