Le tre donne di Vincent
Van Gogh, Autoritratto, Museo d'Orsay, Parigi

Le tre donne di Vincent

diMaria Teresa Laudenzi

Riflessioni sulla mostra romana "Van Gogh e i capolavori del Kröller Müller Museum di Otterlo” articolo redatto insiema a Syria Teramani


Per commemorare i 170 anni dalla nascita di Vincent Van Gogh, la Capitale riserva a Palazzo Bonaparte, a partire dall’8 ottobre 2022, un’esposizione firmata Arthemisia e dedicata ad aspetti meno conosciuti dell’artista.

La mostra, curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti, prevede oltre 50 opere provenienti dal Kröller Müller Museum di Otterlo, una delle più importanti collezioni delle opere di Van Gogh. La storia del pittore olandese viene narrata attraverso una rassegna delle sue opere più celebri e tramite le suggestioni

del carteggio di Vincent con il fratello Theo, da cui emergono le emozioni e fragilità del pittore. Attraverso il percorso espositivo, il visitatore assiste alle tappe fondamentali della vita dell’artista; in particolare, il soggiorno olandese.

La carriera artistica di Van Gogh inizia nel 1880, quando egli sceglie di abbandonare gli studi di teologia intrapresi ad Amsterdam e decide di dedicare tutta la sua vita allo studio dei colori e della pittura. Quando torna dalla famiglia, presso il villaggio rurale di Etten, le sue tele si ispirano alla faticosa e dolorosa realtà quotidiana che lo circonda. Protagonisti del suo realismo spiritualizzato sono le donne impiegate nel lavoro dei campi, i contadini e i tessitori e appare evidente il suo intimo collegamento con pittori realisti come Dubigny e, soprattutto Millet.

In seguito ad un violento conflitto con il padre avvenuto nel 1882, Vincent si trasferisce a L’Aia, dove conosce e si innamora di Clasina Maria Hoornik, una prostituta, alcolizzata, incinta, con una bambina di cinque anni a cui affida il nomignolo di Sien. È una donna che rappresenta perfettamente quella umanità “marginale” a cui l’artista si sente così vicino. Presto diventa la sua modella e il pittore matura il desiderio di voler creare con lei una famiglia. Da una lettera in cui Van Gogh spiega a Theo di aver deciso di lasciare la donna amata, poiché «sapevo fin dall’inizio -scrive- che era una persona persa, ma speravo potesse ritrovare la sua strada, ora, mi rendo conto che era già troppo tardi perché ci riuscisse», emergono tutte le sofferenze dell’artista.

Una svolta importante arriva nel febbraio 1886 quando Van Gogh decide di raggiungere suo fratello a Parigi. Theo, esperto d’arte, trova i suoi colori troppo cupi e lo incoraggia ad usare toni più chiari e luminosi come quelli degli Impressionisti e Vincent sperimenta una nuova libertà nella scelta dei soggetti, adotta un linguaggio più immediato e la sua tavolozza si adegua alle nuove tendenze. È in questo periodo che dipinge con pennellate veloci l’Autoritratto a fondo azzurro con tocchi verdi del 1887, presente all’esposizione, dove si mostra con fierezza allo spettatore.

Nel 1888, stanco di Parigi, si trasferisce nel sud della Francia presso la città di Arles, dove lo raggiunge il suo amico Gauguin. Van Gogh appare ancora profondamente ispirato da Millet e inizia la serie dei campi di grano riprendendo il tema del seminatore. 

Per mezzo di contenuti multimediali è possibile comprendere le vicende chiave della vita di Van Gogh, come il noto taglio dell’orecchio avvenuto il 23 dicembre dello stesso anno in seguito ad una lite con Gauguin. Si tratta della prima grave crisi autolesionistica che porterà Vincent ad un ricovero volontario  presso l’ospedale psichiatrico Saint-Paul-de-Mausole, in Provenza, dove continua a lavorare con intensità. È in questo periodo che Van Gogh realizza uno dei suoi capolavori: la Notte stellata, il cui rimando è evidente in una stanza immersiva dell’Esposizione.

Le sofferenze di Vincent terminano il 29 luglio 1890 ad Auvers-sur-Oise quando, dopo due giorni di agonia, muore suicida con un colpo di pistola. Le sue esequie non vengono celebrate dal reverendo che considera il suicidio un peccato e il suo funerale si tiene nella stanza n.5 della locanda in cui alloggia: alle pareti, per celebrare l’artista, vengono appese tutte le sue opere. Sarà la sua prima esposizione.

A raccontare, in modo poetico, ai visitatori gli ultimi giorni di tragedia di Vincent è una voce narrante che blocca gli occhi del visitatore sul noto dipinto Vecchio disperato (alle porte dell’eternità), eseguito proprio nel 1890.

Appare interessante porre l’accento sulle figure femminili che hanno dato un contribuito, in vita e in morte, all’uomo, al personaggio e al mito Van Gogh e a cui l’esposizione fa ampi riferimenti.

A una si è fatto cenno: la prostituta “Sien”, simbolo della profonda compenetrazione esistente tra l’animo di Vincent e gli “ultimi” del pianeta. Troviamo traccia di questa umanità dolente in ogni parte della sua produzione e, particolarmente, nelle opere olandesi della prima metà degli anni Ottanta dell’800 di cui è ricca la mostra che presentiamo.

La seconda figura femminile è proprio Helene Kröller-Müller colei che, con sollecitudine quasi religiosa, mette insieme nella sua casa, ma per il mondo intero, la collezione che possiamo ammirare oggi a Roma. Non si incontrano, ma la filantropa tedesca percepisce una “corrispondenza di amorosi sensi” con il pittore: la vicinanza ai vinti della vita incarnati da “Sien”.

La terza figura è colei che creerà il mito. Passando attraverso un dolore indicibile. Johanna Van Gogh-Bonger fu moglie di Theo e cognata di Vincent. Madre di un bimbo di un anno, quando, poco dopo la morte di Vincent, il marito si lascia morire schiacciato da un’ineffabile oppressione.

L’ingombrante presenza del Genio aveva divorato la sua vita, ma lei, donna colta ed equilibrata, pone il proprio dolore al riparo dell’arte di Vincent e crea una rete di contatti che porteranno le opere del cognato a quotazioni sempre più elevate. Tutti quei capolavori saranno contesi tra i più grandi musei: sarà lei a svelare al mondo la grandezza di Vincent Van Gogh e a renderne erede quel bambino di un anno.

Sempre sua l’idea di seppellire l’artista accanto al fratello, ad Auvers-sur-Oise: tra le due lapidi  pianta un’edera che ancora oggi li lega.



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