Napoli e i contrasti
Elio Scarciglia, Torre Sant' Emiliano, Litoranea di Otranto (Le)

Napoli e i contrasti

diTeresa Mariniello

Il mare non bagna Napoli

Anna Maria Ortese, 1953

    

Ma come…e Posillipo, Marechiaro, Caracciolo, Castel dell’Ovo? Come il mare non bagna Napoli? Perché questo titolo a una raccolta di racconti ambientati a Napoli dalla grande scrittrice Anna Maria Ortese? E, ancora, perché nell’ultimo film di Martone, “Nostalgia”, non compare mai il mare ma sempre e solo un quartiere degradato dove il protagonista si aggira tra motorini sfreccianti, giovani sfaccendati in strade sempre più strette che danno su vicoli su cui si aprono i bassi? I famosi vasci.

Il mare lì non può arrivare. Né la sua brezza e né il suo azzurro.

All’interno del vascio si soffoca in estate e si gela in inverno, come racconta Filumena Marturano nella celebre commedia di Eduardo De Filippo, bisogna inventarsi una via di fuga per raggiungere un luogo più vivibile, o andando via lontano dai budelli di Napoli oppure trasformando il locale, che funge da abitazione, in qualcosa che lo faccia apparire come una casa vera. Compaiono allora fuori di esso statue e piante ben curate, stendini con panni colorati, seggiole su cui siedono donne intente nelle più varie occupazioni, pulire le verdure, lavorare a maglia, controllare che nessuno parcheggi davanti l’uscio di casa.

Perché dentro non si può stare a lungo, manca l’aria, avendo l’ambiente come unica apertura la porta sulla strada.

Il dentro, più o meno ampio, è costituito spesso da un unico ambiente con tramezzature che dividono alla meglio i letti dalla cucina, il gabinetto dalla sala da pranzo, con spesso un grande tavolo su cui campeggia il centrino all’uncinetto fatto a mano che fa risaltare la bomboniera in porcellana di Capodimonte. In bella vista c’è quanto di meglio la tecnologia possa offrire circa frigoriferi e televisioni. Surrogati di una casa vera.

Molte famiglie napoletane vivono ancora nei bassi in vari parti della città, a Forcella, alla Duchesca, nei Quartieri Spagnoli, lungo i decumani, ecc.

Secondo l’opinione di alcuni storici i bassi sono presenti nel tessuto cittadino già in epoca greco romana per rimanerci durante tutte le dominazioni che ha subito la città.

Solo negli anni trenta del secolo scorso si maturò il proposito di eliminarli concordando con l’Istituto Case Popolari la costruzione di alloggi in vari rioni cittadini; era questo un progetto che faceva parte del programma di rinnovamento che investì la città ma che finì per riguardare solo gli edifici di rappresentanza, come la Stazione Marittima, la Stazione ferroviaria di Mergellina, il Palazzo delle Poste, ecc.

Sui bassi sono rimaste le lastre marmoree con la scritta “Comune di Napoli. Terraneo non destinabile ad abitazione”.

Come se un divieto fosse capace di trasformare la realtà oppure, meglio ancora, come se le varie amministrazioni cittadine del Comune avessero provato sconcerto a far coesistere questa situazione abitativa in una città famosa per il suo golfo, i suoi tanti monumenti antichi, le sue metropolitane moderne.

Lì dove i bassi si vedono fanno parte ormai del folclore della città.

Ma ci sono luoghi in cui sono nascosti volutamente, oppure convivono con eccellenze storiche della sanità, essi, luoghi malsani dove più facilmente si sono sviluppate epidemie.

Sono nascosti, quelli del Pallonetto Santa Lucia, dalla facciata imponente della Basilica di San Francesco di Paola e dal suo portico ad emiciclo che funge da fondale a Palazzo Reale.

Lo slargo davanti a questo era un luogo mal frequentato da molto tempo già prima della costruzione della Basilica; documenti che risalgono al periodo di Carlo di Borbone parlano di una casa di gioco chiamata “Camorra Avanti Palazzo”. Ci furono vari progetti nel tempo che Ferdinando I riprese successivamente e rielaborò introducendo quello relativo a una Basilica e dandone poi incarico a Pietro Bianchi, architetto svizzero.

Con il suo soffitto a cassettoni egli si rifece alla cupola del Pantheon e con il colonnato a quello celebre della Basilica di San Pietro.

Di fatto la grande piazza resta importante e suggestiva solo in relazione a Palazzo Reale e alla sua chiusura prospettica, nonché al nascondimento dei quartieri poveri che gravitano su di esso. Miseria e nobiltà.

Altro luogo in cui è evidente il contrasto è quello della zona non lontana dal decumano superiore, via dell’Anticaglia, dove si trova l’Ospedale degli Incurabili.

Nome certamente inconsueto e poco augurale per chi si faceva e fa ricoverare.

Il nome preciso è in realtà "Ospedale di Santa Maria del Popolo" ma esso è conosciuto come “Ospedale degli Incurabili”, in quanto all'inizio della sua attività si curava la sifilide, patologia allora sconosciuta e quindi "non curabile".

Fu una nobildonna catalana, Maria Longo, a fondare l’ospedale per la cura di ammalati di sifilide rifiutati da altri nosocomi facendo fede a un voto fatto quando era stata gravemente ammalata. Successivamente, diventata monaca di clausura, fondò un ordine in cui le prime consorelle furono prostitute convertite che, ammalate di sifilide, erano state curate presso l’ospedale da lei fondato.

Questo opera ininterrottamente dal 1522 ed è anche l’unico dove hanno lavorato trentatré medici successivamente santificati, tra cui il famoso Giuseppe Moscati.

Ciò che resta importante e unico in Europa è la Farmacia annessa all’ospedale.

Dopo una prima ristrutturazione avvenuta nel seicento, fu l’architetto Domenico Vaccaro a darle l’assetto attuale nel settecento.

Una doppia scala in piperno conduce alla Farmacia, composta dal laboratorio e dalla sala di rappresentanza.

Nella prima sala ciò che colpisce è il pavimento maiolicato e gli oltre quattrocento vasi in ceramica, opera dei maestri Massa, gli stessi autori delle famose maioliche del Chiostro di Santa Chiara.

Nella seconda sala campeggia la grande tela di Bardellino, “Macaone che cura un guerriero ferito”. Ai lati del soffitto sono raffigurati volti importanti di intellettuali massonici, inoltre, sparsi, secondo una disposizione non casuale, si trovano messaggi criptici come il numero e la disposizione dei vasi che seguono precise regole massoniche.

Era qui che avvenivano gli incontri tra i ricercatori del farmaco chimico e gli intellettuali dell’illuminismo napoletano. Luogo simbolico e esoterico, ricco di suggestione e mistero, contiene tuttora in un’urna sia la Teriaca, preparato farmaceutico di origine antica, sia in una teca la matrice uterina operata, allegoria del taglio cesareo ma anche dell’importanza del ruolo femminile nella storia partenopea.

E Parthenope era il nome della sirena, metà donna e metà pesce, a cui i Rodi dedicarono la città di nuova fondazione nel IX secolo a. C.





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