Nella notte più breve.  Le immagini ad occhi chiusi.
Pittura Murale del secolo VII-IX raffigurante Sant'Anna, conservata nel Museo Nazionale di Varsavia.

Nella notte più breve. Le immagini ad occhi chiusi.

diIlaria Monti

Il solstizio d’estate accorcia la notte. È la notte più breve del mondo, quella in cui si incontrano memorie pagane e cristiane, la notte dei riti e dei fuochi, del sogno e del sonno che si adattano alla nuova durata.


Il 24 giugno calò il sole nel culmine del suo apogeo e rotolò giù come la testa spiccata di Giovanni Battista. Se nell’iconografia cristiana la testa del Santo decapitata al momento del martirio è tradizionalmente posta sul vassoio offerto da Erode alla seducente e complice Salomè, nella rappresentazione del pittore simbolista Gustave Moreau (1826-1898) il capo del Battista resta sospeso a mezz’aria, circondato da raggi di luce. Da qui, la suggestiva immagine della testa che, separata dal corpo che àncora l’uomo alla vita sulla terra, continua a esistere come regno encefalico delle idee, dell’immaginazione, della visione e dell’evasione nel sogno.


Nella notte più breve il sogno si addensa, e con gli occhi chiusi il mondo si spalanca. Questa la poetica, ad esempio, dell’artista Odilon Redon (1840-1916), “principe dei sogni misteriosi”, come lo definì Huysmans, e anticipatore del Surrealismo che nella seconda metà degli anni ’20 del Novecento avrebbe fatto del sogno un’occasione di trasfigurazione della realtà e il mezzo più autentico di espressione dell’Io. Redon deve gran parte della sua ispirazione artistica ad una nota acquaforte realizzata da Goya nel 1797, Il sogno della ragione genera mostri: un uomo addormentato, circondato dai mostri e i fantasmi che l’attività onirica è in grado di produrre e tirar fuori dal subconscio in assenza della ragione. Immagini interiori, visibili soltanto nel buio della notte.

Tra il 1889 e il 1884, Redon realizza una serie di opere intitolata Gli occhi chiusi, in seguito al profondo fascino scaturito in lui dall’incontro con Lo schiavo morente di Michelangelo al Louvre di Parigi. Nelle opere di Redon, eseguite con diverse tecniche e su diversi supporti, è rappresentata una donna immersa fino al busto nell’acqua e in un paesaggio di puro colore. Ha gli occhi chiusi e un atteggiamento estatico – è il miracolo dello sguardo interiore, il parto di una realtà figlia di questa terra e della nostra mente. 


Un salto nel contemporaneo, sulla scia dei sogni di Redon. Ad esiti non troppo differenti approda l’artista spagnolo Jaume Plensa (Barcellona, 1955), noto per le sue sculture di grandi dimensioni e collocate anche in spazi pubblici – diverse opere sono presenti in Canada, Giappone, USA, e nel 2013 anche in Italia, in occasione della 55° Biennale di Venezia, per citarne alcuni [1]. Il leitmotiv della sua produzione, che conta anche disegni e opere su carta, sono gli occhi chiusi: teste monumentali che occupano lo spazio con i loro volti sognanti e dormienti, o ancora con le mani a coprire la vista. 

Tra il 2020 e il 2021, presso la Gray Warehouse a Chicago, Plensa ha presentato parte dei suoi ultimi lavori in una mostra dal titolo Nocturne. Grandi ritratti scultorei femminili e maschili, realizzati alcuni in bronzo dipinto di bianco, altri in rete d’acciaio, sembrano impegnati in un silenzio dialogo, uno davanti l’altro, con gli occhi chiusi. Per Jaume Plensa la dimensione notturna rappresenta principalmente la polarità oscurità-luce come condizione esistenziale, in un’interpretazione della notte come breve momento a cui, fortunatamente, segue il mattino, come a dire che in fondo al buio c’è sempre una luce, che al sonno della ragione segue sempre un risveglio. Sconfinando dall’arte alla letteratura, mi vengono in mente le parole di Giorgio Manganelli in uno dei racconti inediti poi raccolti nell’antologia pubblicata da Adelphi e intitolata La Notte, dove il momento notturno è considerato non tanto nella sua dimensione temporale, quanto piuttosto come un luogo privo di spazi realmente definiti, una sostanza e una forma da interrogare continuamente, una fabbrica di immagini e racconti. Quando Manganelli descrive il suo risveglio da una “notte totale”, afferma che alle prime luci dell’alba, come un neonato, l’uomo è aperto ad ogni possibilità:


Mi sveglio all’estremo limite del buio; mi precede una notte interminabile, e mi divide dalle tenebre un esile languore crepuscolare. Sono appena nato; in teoria, sono il depositario di tutte le possibilità che può offrire il lento crescere del crepuscolo a dimensione di giorno.


Di nuovo la notte e l’alba, e quel momento sospeso e sfumato che marca il passaggio tra le due. 

Il notturno di Jaume Plensa si conclude con una scultura realizzata nel 2019 in vetro di Murano, dove una figura dai tratti delicati e androgini si porta un indice alle labbra invitando al silenzio. Gli occhi sono chiusi, in attesa. È il silenzio richiesto dal sonno, quello in cui germinano le immagini oniriche. La scultura di Plensa ha quasi il carattere di un’icona, allo stesso tempo attuale e antichissima – potremmo tornare indietro nel tempo lungo le linee delle labbra serrate, tornare all’ VIII-IX secolo dopo Cristo e a quella raffigurazione di Sant’Anna rinvenuta negli anni ’60 durante gli scavi presso la cattedrale di Faras, in Nubia (Sudan). Tornare a chiedere il silenzio necessario alla contemplazione del mistero, con un solo gesto così minimo e familiare.


In silenzio e con gli occhi chiusi, in queste notti che si riducono e di cui possiamo esplorare angoli e confini, torniamo a far parlare le immagini.


 [1] Sito ufficiale dell’artista al link: https://jaumeplensa.com 

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