Dialogo con Alfonso Guida
Alberto Cini - Somiglianze

Dialogo con Alfonso Guida

diCarol Guarascio

Il 10 aprile è uscito il tuo nuovo libro "Conversari" per Round Midnight Edizioni. So che è un libro che segna un passaggio importante nella tua vita.

Sto vivendo l'uscita di "Conversari" come un esordio. È il primo libro post - psichiatria. Cambiano i temi. Affiora la quotidianità di un disturbo, il suo modo di occupare i giorni. Tutto sembra si sia svelato e rivelato.


Se ti dico "Non è la madre, è la paura", cosa ti viene in mente?

"La madre, non la paura" vuol dire le persone, non quello che di noi rappresentano, il destino comune, non più lo specchio.


Ho notato un'attenzione particolare, a tratti ossessiva, da parte tua verso lo scandire del tempo, le ore, le parti del giorno, le stagioni. È una difesa o un attacco nei confronti del fluire della vita?

L'ossessione della scansione temporale degli eventi è un argine. Il fluire è inarrestabile. Si impara a divenire castori dopo tanta furia. Il tempo, stiamo nel tempo. È una conduttura, mentre lo spazio è un inghiottitoio. O almeno in potenza lo sono. Il tempo porta dove si torna, lo spazio è la minaccia della dismisura.


Un amico comune, Giuseppe Todisco, ha detto di te che nella tua poesia: « ogni elemento naturale è "soggetto" poiché partecipa al significato del testo. Quando sono andata a trovarlo, a San Mauro Forte, ricordo gli erbari e i manuali di botanica presenti sulla sua scrivania. È forte, in lui, l'esigenza di chiamare ogni pianta, albero o arbusto con il proprio nome. Così individuabili, gli elementi naturali, diventano più "umani" e quindi ancora più vivi nella vita dell'uomo, e della poesia».

Sei un Adamo che mette il nome a tutto ciò che vede e sente. Come senti la Natura intorno a te?

Sono un Adamo rimasto solo. Ho dovuto chiamare le cose per nome perché non venissero travolte dalla fuga. Qui a San Mauro, come nell'entroterra lucano più profondo, si dialoga a lungo e da sempre con le creature che generano il silenzio. Qui la Storia è un congedo pieno di arresti. Lo spazio è la brughiera tempestosa di Emily Bronte, la Visione come  nel deserto attecchire e molti sono gli agguati. Hai bisogno della prigionia del nome perché la Cosa non venga travolta dall'uragano che sta dentro la dismisura dello spazio silenzioso. Hai un rapporto diretto con la Natura, tu stesso sei più Natura che Cultura. Qui nulla è soffocato dall'antropico come in città. È l'habitat di numerose specie di piante e di uccelli. Le rupi sono piene di minerali, di fossili. Impari a distinguere un'averla da una pittima, un pulegio, da un marrubio, un'ossidiana da un'anortite. Questa è la materia della lingua.


Nei "Conversari" ho notato un gran numero di domande, a volte anche in forma di endecasillabi:

Chi mi traduce in questa lingua cava?

Qual'è la lingua della poesia?

Le percepisco più che come domande di chi cerca risposte, di chi dà risposte attraverso domande. Sono le domande di una Pizia. Sei d'accordo?

Penso per domande nella consapevolezza che sono già delle risposte.

Enunciarsi interrogando senza mai trovare un’affermazione che non sia la Fine della vita o del desiderio, ma anche della scrittura. Chiedersi è fecondato un suolo arido.


C’è un verso che mi ha colpito moltissimo:

Arranco, ingegnoso 

È una sintesi perfetta del dramma di vivere, è l’essenza della vita, arrabbattarsi ogni giorno con sempre maggiore ingegno, usando l’istinto di sopravvivenza. Direi arrancare con sempre maggiore stile.

Mi rendo conto che respiro a fatica. Sono pieno di morti, di voci, di spiriti. La mia parola si spossessa e si possiede. C’è questa voce che attraversa la tua come il coro della tragedia greca. Arranco, inventando la soluzione dell’istante.


L’ispirazione è una caduta di schegge. Quanto fa male la poesia quando cade su di te?

La poesia è una riva, è un modo di stare sulla terra e di dubitare, come diceva Guy Goffette, che la terra esista. Gli dei colpiscono, ma bisogna predisporsi a farsi colpire. Bisogna sporcarsi, si diceva.


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