
Dietro le quinte: il disegno silenzioso di un editore visionario
Parlare del Menabò Incontri Festival senza soffermarsi sulla figura di Elio Scarciglia sarebbe come raccontare uno spettacolo dimenticando chi lo ha scritto, diretto e reso possibile. Ho scelto di dedicare queste riflessioni non tanto all’evento in sé – che pure ha brillato per qualità e partecipazione – quanto alla persona che, con dedizione instancabile e visione rara, ne è stata l’anima silenziosa e operosa. Un riconoscimento che mi è sembrato necessario, quasi doveroso, perché troppo spesso diamo per scontato chi costruisce i contesti, crea i ponti, rende possibile l’incontro e il dialogo. Eppure, è proprio questo lavoro a essere fondativo.
Occupandomi di teatro, so quanto le quinte contino più di quanto si veda. Il palcoscenico è solo la punta visibile di un processo più profondo, fatto di attese, di respiri trattenuti, di mani che sistemano, aprono, sorreggono senza mai apparire. C’è un’intera geografia nascosta fatta di tecnici, costumisti, macchinisti, truccatori, scenografi, che non entrano mai in scena, eppure ne sono l’anima. Sono loro a rendere possibile ogni ingresso, ogni battuta, ogni applauso. In teatro, il buio delle quinte è il luogo dove nasce la luce.
Lì si annida il senso profondo dell’arte scenica, nel lavoro silenzioso, nella precisione umile, nella cura invisibile che precede e accompagna ogni gesto visibile. E così è stato per questa terza edizione del Menabò Incontri Festival, che ha portato a Guagnano voci, storie, immagini da tutta Italia e dall’estero. Un evento denso, generoso, autentico. Ma soprattutto, un evento pensato e costruito da chi non cerca il centro della scena, pur essendone il fulcro: Elio Scarciglia.
Scarciglia non è semplicemente il fondatore o il direttore del festival. È la sua regia invisibile, la sua architettura sensibile, il suo ritmo. Con la discrezione di chi non ha bisogno di imporsi, ma la forza di chi sa coinvolgere, ha intessuto relazioni, unito mondi diversi, trasformato un piccolo comune salentino in un nodo culturale di respiro europeo. Il risultato è stato un’esperienza condivisa, viva, in cui ogni voce ha trovato ascolto, ogni forma d’arte uno spazio in cui esprimersi pienamente.
Per quattro giorni, Guagnano ha respirato cultura in ogni angolo, dalla Sala Consiliare al circolo Arci Rubik, dal laboratorio Lievito Madre a Villa Baldassarri. La mostra fotografica Mongolia – una terra lontana, firmata da Scarciglia stesso e curata dalla critica d’arte Francesca Tuscano, ha aperto il festival con la delicatezza di uno sguardo che narra senza invadere. Per Scarciglia, la fotografia – come l’editoria – è un esercizio di prossimità, un modo per avvicinare mondi, restituire dignità ai dettagli, onorare la bellezza senza clamore; perché i suoi viaggi non sono mai fuga o esotismo, ma immersione profonda in contesti lontani, fisicamente e culturalmente. Ogni anno attraversa luoghi remoti portando con sé uno sguardo attento e rispettoso, mai giudicante. Le sue immagini non mostrano mai il turista, ma il testimone silenzioso, non cercano lo spettacolare, ma il quotidiano che resiste, l’umanità che vibra nei gesti semplici. Così come nei suoi libri, anche nelle sue fotografie si coglie il bisogno di ascoltare il mondo prima di raccontarlo, di entrare in punta di piedi per poi restituire, con cura, ciò che si è ricevuto. E questa etica dello sguardo – fatta di ascolto, di attesa, di attenzione – attraversa tutto il lavoro di Elio Scarciglia, dentro e fuori dal Menabò Incontri Festival.
Ma ciò che rende unico il suo approccio è la capacità di costruire «trame umane».
Il festival non è nato da un’esigenza promozionale, ma da un’urgenza etica e culturale, il desiderio di creare uno spazio dove l’incontro sia reale, dove la parola sia ascoltata, dove il tempo si rallenti per fare spazio alla riflessione. Tutto questo è stato possibile perché Scarciglia ha saputo costruire negli anni una rete di rapporti autentici, fondata sulla fiducia, sul rispetto e sull’intelligenza emotiva.
Lo dimostra la varietà e la qualità delle presenze, autori e artisti da tutta Italia. Tuttavia, anche chi non è celebre ha trovato accoglienza, dai giovani agli autori esordienti, fino ai lettori appassionati, nessuno escluso, perché l’inclusione è il linguaggio che Scarciglia pratica, non solo proclama.
La sua storia con Terra d’Ulivi comincia nel 2004, quando fonda l’associazione culturale con l’intento di riportare alla luce figure dimenticate del panorama letterario e artistico, come Claudia Ruggeri, Salvatore Toma, Edoardo De Candia, Girolamo Comi. Un lavoro di recupero, ma anche di semina. Da allora, il suo impegno non ha mai conosciuto sosta, evolvendo in un progetto editoriale che, nel 2014, si è trasformato in una casa editrice attenta, raffinata e profondamente indipendente.
Anche durante il festival, questa visione si è concretizzata. Il premio Riconoscere una storia e il concorso Trame di borghi hanno mostrato quanto Scarciglia creda nella potenza del racconto come strumento di riconnessione tra persone e territori. Il suo modo di esserci, sempre presente, mai invadente, è fatto di ascolto più che di parole, di suggerimenti più che di direttive. Chi ha lavorato con lui – autori, collaboratori, giurati – ne testimonia la passione, la competenza e la cura.
In un’epoca che spesso confonde visibilità con valore, Scarciglia è la prova vivente che il vero carisma è silenzioso, e che i ponti si costruiscono con pazienza, un incontro alla volta.
Il Menabò Incontri Festival, dunque, è stato molto più di una rassegna. È stato un atto di presenza, una dichiarazione di intenti, uno spazio umano prima che culturale. E tutto questo ha un nome, un volto, una firma: Elio Scarciglia, editore visionario, tessitore di rapporti, artigiano della cultura.
A lui va il nostro ringraziamento più profondo, per ciò che ha creato, per come lo ha creato, e per quello che continua a ispirare. Come le quinte di un grande teatro, il suo lavoro resta nascosto agli occhi di molti, ma sorregge tutto ciò che accade in scena.
In questo festival sono state consegnate numerose targhe e riconoscimenti, segni tangibili di gratitudine e stima. Anch’io, nel mio piccolo, desidero consegnare una targa ideale a Elio Scarciglia. Un gesto simbolico, accompagnato dalle parole di un grande del teatro, per onorare chi lavora con passione e discrezione, facendo della cultura un atto quotidiano di resistenza e bellezza.
Semplicemente, a Elio Scarciglia.
“Il vero creatore nel teatro è colui che elimina il superfluo e restituisce l’essenza.”
— Jerzy Grotowski
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