Comunque
Elio Scarciglia, lungo Senna, Parigi

Comunque

diAldo Viano

È così tanto tempo che non scrivo una lettera… Come s’incomincia una lettera d’amore? “Antonio caro”, oppure “Amore mio”? Credo che dovrò rassegnarmi a un banalissimo “ciao”, il saluto che si scambiano le persone incontrandosi per strada, amichevole perché il tempo non ha ancora sbarrato totalmente il cammino con una frana devastatrice.

Ho avuto il tuo indirizzo da una conoscenza comune, che mi ha pregato di non rivelarti il suo nome per paura di tue ritorsioni. Non hai internet, non usi i social e vivi recluso nel tuo fortilizio di solitudine. Non è stato facile rintracciarti.

Insomma, sto tentando di aggirare la montagna di detriti del tuo rancore. Prendo vie traverse per scovarti, spero per stanarti. Quanto è volontaria la tua prigionia?

Sì, è meglio che io ti scriva. Sono sicura che se ti avessi di fronte non saprei cosa dire e che, per camuffare l’imbarazzo, incomincerei a parlarti di ciò che ho fatto in tutti questi anni, dei miei innumerevoli traslochi e del mio lavoro. E tu, per continuare a sfuggire, chiederesti notizie di Adele o di Gilberto, anche se non t’importa niente di loro, senza rivelare nulla di te.

Sei sempre stato così: segreto più che riservato; rapace più che egoista. Mi sono chiesta se il tuo autocontrollo, il tuo non dire (neanche fino al momento in cui le tue, le nostre emozioni erano del tutto manifeste) fossero una forma di paura, il tuo modo peculiare di schivare anche il solo pensiero di una possibile sofferenza. La strategia di difesa del predatore, più diffidente della sua stessa preda.

Scusa, non volevo dire questo. Ora penserai che non ho mancato neanche quest’occasione per muoverti delle critiche. In fondo avresti ragione, ma non ho voglia di buttare via il foglio e rincominciare la lettera da capo.

Potremmo avere un’altra chance? Intendo una nuova, non la brutta copia della prima. Comunque… Ah, ho cercato sul dizionario il significato di questo termine, visto che mi rimproveri sempre di usare le parole a sproposito. Comunque significa “in ogni caso”, “come che sia”, “nonostante tutto”, ecc.

Ecco, comunque, ti amo. Tua Franca

Hai ragione. Di Adele e Gilberto non me ne può fregare di meno. Non di te… E la tua missiva mi conforta come un soldato al fronte che riceve una lettera da casa.

Ti fai scrupoli di prendermi a male parole dopo tutti gli insulti che mi hai vomitato addosso quando stavamo insieme? Le parole dette “manent” tanto quanto quelle scritte. Non crucciartene, io ormai non lo faccio più.

Dovremmo tutti vivere come certi animali solitari, che cercano un suo simile soltanto per accoppiarsi. I leopardi, ad esempio. Visto che mi paragoni a un predatore, lasciami almeno il privilegio di sceglierne uno che mi piace. Oppure gli orsi. Non si dice “sei proprio un orso” a un tipo chiuso e poco propenso alla socializzazione? Non dimenticare la talpa! Qui ti fornisco un assist imparabile: ti sento già ridere pensando a me che scavo tane e cunicoli per nascondermi.

Una seconda chance? Sei stata molto per me, quanto basta per rimpiangerti, ma, perdona la mia franchezza, non abbastanza per attribuirti una nuova importanza. Non credere che io non voglia tornare indietro perché non mi fido. Sospetto piuttosto che sia l’apprensione a muoverti. O l’impazienza di fronte al tempo che passa. L’amore non lo metto neanche in discussione.

Dopo che “ci siamo persi di vista” mi sono sentito come uno a cui abbiano tagliato una mano. Il moncherino prude e in sogno muovo ancora le dita. Ma una protesi rimane quello che è, un elemento posticcio che non sostituisce appieno l’originale.

Rancore? No, ti sbagli di grosso. Non contaminiamo il passato con le nostre esitazioni, non contagiamolo con la vaghezza del nostro presente.

Nonostante tutto, dici… Bisognerebbe prima definirlo, quel tutto. Ti amo anch’io. Comunque.


Antonio


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