Alessandra Corbetta - Estate corsara
Stefano Negri, India

Alessandra Corbetta - Estate corsara

diFederica Ziarelli

Alessandra Corbetta lo ha espresso già nella precedente raccolta “Corpo della gioventù” (Puntoacapo, 2019) che il tempo costituisce la materia prima del suo sentire poetico e che il tempo prediletto, quello nel quale si posa il suo sguardo nostalgico e attraversato da memorie dolorose e splendenti di vita, è il tempo della giovinezza.

Giovinezza significa estate perchè nel corpo fremente di questa stagione, come all'interno di uno scrigno, si addensano pari a gemme preziose e altrove introvabili, i momenti, le visioni, i colori più belli, quelli che la memoria non cancella e che utilizza per decorare e rendere gioioso il tempo presente. Ma in “Estate corsara” edito da Puntoacapo nel 2022, lo scrigno è inaspettatamente stato rubato dai pirati con tutto il suo contenuto di preziosa luce e Corbetta lo ricorda e canta con una voce vibrante di emozione, commossa, arrabbiata, e che non teme di raggiungere toni di intenso rimpianto, desideranti ma al contempo intrisi d' impietoso coraggio.

Occorre infatti vestirsi di audacia per maneggiare consapevolmente la certezza di un trascorso tanto felice quanto oramai perduto, per sapere irrimediabilmente che l'apice della bellezza d'amore è stato raggiunto, che la solarità della vita, quella luminosità assoluta, appunto estiva, che ce ne ha fatto innamorare, risiede in un passato remoto, non più arrivabile, non più godibile.

 

Alessandra Corbetta con una scrittura intima, ricca di cromatismi, ossimorica, pervasa di un rigore ieratico, fortemente ritmica, nelle tre sezioni che scandiscono i ricordi, Prima, Durante, Dopo, invita il lettore in un viaggio animico attraverso una Toscana azzurra di cieli grandi e di malinconici grigi piovosi, che è principale teatro di un amore altrettanto terso e ugualmente bagnato di triste pioggia.

Le città nominate sono luoghi con i quali interloquire, dai quali tornare per interrogarli ed insieme interrogarsi perché nel loro immobile esserci, sono i soli a rimanere, simbolo di un eternità possibile nella memoria: “ricordo una gioia sfrontata/totale dal rumore ciocco/di pioggia che cade/ricade//E rimbomba//Eravamo in ombra/tra i vicoli e poi/la piazza-Pietrasanta-/ci teneva le mani/sottili e intrecciate//Ricordi?//Eravamo.”

Per la poeta, la stagione estiva possiede la caratteristica di essere corsara per via del suo riuscire a rappresentare nel contempo letizia e rimpianto. Il sole che in estate raggiunge il suo punto più alto, dovrà presto discendere e avviarsi verso l'autunno, che per Corbetta rappresenta l'adultità con le sue tinte smorzate, le possibilità, le scelte ridotte o già prese, gli attimi trasformati in ricordi.

 

 

 

SUNNY -SIDE

 

Il lato migliore del sole

somiglia a un occhio di bue

intatto, a una parola

in buona traduzione.

Del resto l'incomprensione

si annida sul rialzo

tra un gradino e l'altro

nell'incombenza di fare

in fretta e fare niente

come quando salta

 il grilletto o la polvere

assale le mensole.

Me ne resto un po' in disparte

dopo posso riavere

vent'anni di meno, in quella

parte di emisfero dove

il sole tramonta tardi

e non fa pegno avere detto

sì senza saperne il senso,

sbagliando il significato.

 

 

Autunno vuol dire altresì perdita, caduta, dunque la poesia diviene mezzo terapeutico per esorcizzare il dolore, strumento necessario per immortalare la stagione precedente, tutto quello che voltando la testa all'indietro ci apre in volto un sorriso e che ci dà lo slancio per scansare il peso delle ceneri e involarsi nuovamente ardente fenice.

 

 

 

 

ALLE GIOSTRE

 

Siamo state anche noi ragazze in attesa

della dedica alla pista Baduer: “La 109

brilla più della luna stasera” intanto cadeva

lo zucchero dalla frittella sulle gambe,

si provava a indovinare la prossima canzone.

Stavamo sulla fine dell'estate come fosse

la Stagione – pochi anni e braccialetti colorati

a tenere conto di muretti nomi cuori

trafitti da una freccia di indelebile.

 

Ora tocco quei fili arcobaleno

sui miei polsi troppo fini

e non so dire se ho sognato i giorni settembrini,

se alle giostre ho riso per davvero

del proiettile che fiero buttava a terra la lattina.

 

 

VENTICINQUE

 

Nel pompelmo acre e rosa

c'era l'esatta inclinazione delle cose, una

sottrazione di sillabe a parole

custodite nella teca dei vent'anni

Dove abiti? l'ho chiesto per segnare il territorio,

per provare a contenerti dentro un luogo ma

l'incontro era già volo, un palloncino

rubato dalle mani. E mentre ti spiegavo

la nascita dal faro, il mare richiamava il tuo segreto:

un occhio chiuso e l'altro cieco, la mia colpa

di stare nella luce

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