Cercando l'oltre dell'oltre
Alberto Cini, Enigma - per gentile concessione della galleria Sgallari Arte - Bologna

Cercando l'oltre dell'oltre

diCarol Guarascio

La poesia di Gabriella Cinti, esperta performer in greco antico, saggista, in questa raccolta dal titolo emblematico “Prima”, uscito nell’aprile 2022 per Puntoacapo Collezione Letteraria, è il punto di arrivo di una ricerca nell’infinitamente piccolo, nel microcosmo invisibile all’occhio umano e, come dice la stessa autrice nella premessa, l’epilogo di un percorso apicale per risalire all’origine. 

Questa indagine è, in primo luogo, linguistica: si nota l’urgenza di dare un nome a ciò che si vede attraverso la lente della poesia, attingendolo dalla nomenclatura scientifica, storica, antropologica. La scoperta della storia etimologica degli oggetti analizzati è quasi più importante dell’osservazione stessa e per questo l’autrice correda i testi da lunghe note esplicative che ci permettono di prendere confidenza con le “creature”. 

La parola è calcolata, il verso è risonante, l’andamento poetico è erudito, il tono è di una scienziata visionaria che indaga la materia e trova accidentalmente la formula quantica dell’amore.

La Cinti in questa silloge poetica incede pazientemente nella presentazione delle sue “creaturine”: l’egretta garzetta, l’euglena, un’alga primitiva, il paguro, il dorippo dal cuore grande, l’anguilla elettrica scioglidestino, e poi il limulus polyphemus, artropode immutato da 200 milioni di anni, dal nome mitologico, o ancora la lampreda, vertebrato acquatico privo di mandibola. Perché questi esserini sono così affascinanti? Probabilmente perché sono minuscoli, perché hanno legami con un tempo antichissimo, che l’autrice conosce e sapientemente studia, sono organismi uguali a se stessi da milioni di anni, sono fragili ma vivono e resistono. 

Il prima è indagato per dare risposta all’hic et nunc, in nome di un panteismo fondato sulla parola che risuona, unico elemento sacro del sistema religioso cintiano, alla ricerca del suono primordiale dell’universo, il primo mantra correlato alle vibrazioni originali emesse quando il mondo fu creato e suono primario che sostiene la vita.

Archeomondo creato sulla carta, questo museo di paleoparole è teso verso la compartecipazione in un magma primordiale di tutti gli esseri  «che si uniscono al demone mitico di Eros» come ha scritto Franco Manzoni nella rubrica Soglie su La Lettura del Corriere.

Tutto sembra condensarsi d’altronde in questi versi:


Zerocene 


La timidezza del divenire azzerato

tra le sillabe mute,

balbettiamo lallazione dolente,


Sapiens insipienti,

anime di colpo incanutite

per ossimoro cromatico,


nella primavera di sangue

dello zerocene,

il vento fermo che toglie il respiro.


Diluvia asciutto il tempo

franato sui fili d’erba che noi siamo.


Si appartiene tutti alla stessa specie, quella dei fili d’erba. E, come i fili d’erba, si cresce sempre verso l’alto, creando una”catena d’amore e cercando incessantemente “l’oltre dell’oltre”.


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