. Come cosa viva di Maristella Diotaiuti
Stefano Negri, India

. Come cosa viva di Maristella Diotaiuti

diFrancesca Borgogna

La poesia è elaborazione, fatica, goccia che scava, in maniera strenua e operosa nella roccia.

Dico questo perché la poesia di Maristella Diotaiuti non è una poesia facile nel suo tentativo di addivenire a un’ermeneutica della propria esistenza. Essa si presenta come una ricerca attraverso quelli che potremmo definire, per dirla con Heidegger, sentieri interrotti, dove perdersi e ritrovarsi. Nel perdersi nel bosco di Hansel e Gretel in tempi di carestia, le parole sono i sassolini che descrivono percorsi quando non siamo che bambini perduti. Grazie alle parole, l’autrice mette in atto un tentativo di ricreare il mondo in un profondo e assiduo dialogo con se stessa. Ecco che si fa  il tentativo di trovare presenze percettive significative che volgano l’attenzione verso un senso compiuto dell’esistenza.  L’attenzione è posta sull’evento solo apparentemente perché ciò che viene visto, percepito in realtà non sono che forme del proprio essere.

Il quotidiano, attraverso l’alchimia delle parole poetiche, assume significati polisemici e profondi. Tutto questo ci viene restituito da una forma di scrittura lontana da sistemi codificati. Siamo di fronte a un poetare intimo e gratuito, non mercificato o mercificabile perché vive in sé e per sé.

La realtà appare quindi in mille tessere da ricomporre a seconda del “capriccio” dell’animo di chi scrive. Leggiamo negli scritti di Maristella Diotaiuti la fatica esistenziale ma anche dissolvenze ed estasi. La realtà si dissolve in un percorso eidetico che ne crea una nuova puramente coscienziale.

Si tratta di una scrittura fortemente connotativa che rivela un gioco continuo tra poiesis e logos, che dialogano tra loro; da una parte l’abbandono creativo e percettivo, dall’altra il tentativo di ricostruire un percorso di significato della propria esistenza.

Ci troviamo di fronte a una poesia liquida, destrutturata, talvolta morbida, talvolta accidentata; un fluire ininterrotto, dove è bandita la punteggiatura, che si materializza come un anelito verso una forma di salvezza attraverso la potenza delle parole che per Fichte e Heidegger creano il mondo per Baudelaire ce lo disvelano.




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