Elena Miglioli "Ho la parola sulla porta di casa"

Elena Miglioli "Ho la parola sulla porta di casa"

diCarla Villagrossi

La parola solitaria cerca casa, ma la sua identità “generica”, fatta di forma, significato, ritmo, non basta. Si tratta di un'unità isolata che cerca un contesto che la accolga; una dimora che le conferisca valore, stabilità, appartenenza. Uno spazio di comunicazione.

La parola ha una sua natura ordinatrice, sa essere persuasiva; tuttavia, non elude gli ostacoli. Ogni vocabolo può essere parziale, può falsificare, può alterare. Non abbiamo comode certezze: il logos va impiegato con cautela.


Elena Miglioli desidera stabilire un patto di affinità e sorellanza con la parola, mira a riconoscerla come alter ego; essa è “sulla porta di casa”, chiede di entrare, ma viene fermata ripetutamente dall'autrice perché non le somiglia - non è sincera - non fa silenzio - non si perdona.

Solo quando sarà “uguale” alla poeta stessa, potrà essere accolta perché solo allora sarà in grado di rappresentarla intimamente. La somiglianza, che fa presumere l’esistenza dell’altro, non è sufficiente. Sarà una parola “essenziale” ad avere il diritto di accesso.

Perché tanta cautela nell'accogliere la parola?

Perché lasciarla fuori dal proprio habitat?

Perché la parola cerca e insegue la poeta?

Possiamo cercare le risposte. Sappiamo che la parola è la condizione del discorso; per l’autrice è casa, sogno, musica, silenzio, vento. È poesia con la quale vivere una storia comune.

Elena ci racconta della parola che fa parte di lei e le parla.


Non ti ho detto che abito qui

La mia casa è forse l’istante

Questo istante beato dolente

Che fa tutte le cose più vere

E rimette ciascuno al suo posto ()


Anche quella di Socrate era una parola che cercava il proprio posto. Per il grande filosofo l'ambito giusto della parola era nel discorso, in ciò che veniva pronunciato. Mai scritta, perché essa doveva rappresentare una conquista continua che si costruiva nel dialogo, nella comunicazione-conversazione collettiva. Per fortuna qualcuno ha scritto per Socrate altrimenti non conosceremmo il suo pensiero. La sua eredità relativa alla ricerca sulla parola rimane così assai significativa nel tempo.

Una ricerca che non si ferma, che non si accontenta, che porta trasformazioni.

Elena non enfatizza le parole, non sogna il loro significato originario (e solitario), per lei non c'è un vocabolario magico o salvifico. Ci sono parole che stanno fuori dalla porta e che molto devono fare per poter accedere. La parola non è compiuta, è “profuga” deve entrare negli ambiti della vita stessa, capire quali sono i sentieri da percorrere, altrimenti resterà estranea, non entrerà nei luoghi dell’esistenza vera e intima.

Quando è riconosciuta, la parola diventa parte dell’autrice, quindi “sua”, quindi “nostra”.


Ho la parola per mare

Ora la riconosco

Senza terra senza tetto

Sono io la parola profuga

La rosa dei venti

Ai pescatori senza lampare.


Ho la parola 

sulla porta di casa

è uguale a me:

la lascio entrare


Le parole vanno “verificate”. Solo così saranno “rese vive” solo così diventeranno un “incontro”.

L'autrice apre la porta, Sta nella parola, Abita il pensiero che prende corpo attraverso la parola. È una ricerca di stabilità nell’esistenza mutante; una ricerca che rianima tutti noi che siamo figli e figlie della parola.



La silloge si chiude con una nota critica di Tomaso Kemeny.



Commenti

Lascia il tuo commento

Codice di verifica


Invia

Sostienici