Gentiana Minga - Tempi che sono ...
Elio Scarciglia - Monastero dos Jeronimos - Belem, Lisbona

Gentiana Minga - Tempi che sono ...

diCarol Guarascio

Un libro composito questo di Gentiana Minga, che vive a Bolzano,  libro che si intitola “Tempi che sono”, uscito nella collana “I Granati” di Terra d’Ulivi nel 2021 e che presenta le traduzioni della stessa autrice in albanese, mentre per le sezioni “Assaggio - Il cammino degli autoctoni” e “Tempi che sono” vede la collaborazione di Werner Menapace e Ilir Ferra che traducono i testi in tedesco.


Ci sono case, c’è il mare, ci sono interni, stanze, ci sono balconi, terrazze. Scene di vita registrate con il distacco primordiale nella luce vera di chi ha a lungo osservato e ha trasmutato tutto ciò che ha visto in materiale onirico. 


Centinaia di lucchetti macchiano l’aria / di chiarori bagnati / e il fiato di luna cola / sui volti di ragazzi in cerca di giacigli nuovi.


… su sgabello seduta di sbieco / sorrideva sdentata, le guance ombrate dal berretto / e il mento illuminato dalla luce / l’imperatrice dei borghi marini


La concatenazione delle parole a volte crea una suggestione fonica notevole, che fa pensare ad un cantilenato verso antico. Gentiana Minga è infatti di origine albanese, laureata in Storia e Filosofia a Tirana, e la sua opera testimonia chiaramente il tono narrativo e l’ampio verseggiare tipico della terra delle Aquile. Il raccontare è energico, il guardare è largo, la realtà si colora di tonalità più accese, ogni cosa accaduta un tempo, che è il tempo di un popolo e non solo di un singolo essere umano, tempestivamente si ripresenta agli occhi del lettore e sembra essere fuori da una qualsiasi possibile categorizzazione cronologica.


In una nuova realtà, perciò, ci si sente diversi dagli “autoctoni” e non potrebbe non essere così perché l’allontanarsi dalla propria terra crea necessariamente un ottundimento, uno straniamento insanabile.


Renata, cara amica 

tu sai come camminiamo io e te a Durazzo, 

come addormentate sulle lenzuola, 

come se nuotassimo in una bacinella con acqua calda. 

Vorrei camminare anche qui così, 

come gli autoctoni, come io e te là…

Ma io non so sorridere come gli autoctoni.

Sorridono i cespugli radicati, le rose selvatiche.

Io sento di portare con me un morto che non ho ucciso io.


C’è una calma struggente e lucida nelle parole della Minga, che documentano un bagaglio di esperienze forti e uniche che fanno dire: bisogna piegare in quattro il tempo che fu.

Alcuni versi fanno pensare ad una partecipazione panica con la Natura: 

Io vado in fretta, inclinata / verso gli alberi della prugna, / ma se sfioro il tronco m’invade / una sonnolenza torbida. / E vorrei sdraiarmi. 

Le mie mani che sono le mie madri e i miei piedi che sono i miei padri. / Vanno in cerca della vecchia casa trasparente / dove crescevano dentro le stagioni calde / e si tingevano di colori delle nocciole.

 

Le sue pupille scalfite entrarono nella caverna. / Accesero il fuoco. / Si è fatto caldo.


Non mancano similitudini ardite e interessanti, come: Non potendo tu / baciarle le mani, raccolte forse /come un polpo sul petto… oppure ancora, con ancora maggiore potenza immaginifica: Nei paraggi di Rovereto / avvistavo, una volta, su una quercia robusta, / un grande uccello bianco, come un agnello.


Gli studi filosofici fanno intuire un approccio verso la vita molto riflessivo e predisposto a cercare una chiave di lettura della realtà che trasforma la propria esperienza personale in un cammino di conoscenza:


A chi mi crede con mani smilze e giallastre, 

pelle sottile e il naso arrossato, 

digli che sto trangugiando il traffico dei cicli vitali 

sacri quanto la goccia dentro la fontana 

l’uccello dentro lo stormo, 

per sfiorare di nuovo l’eden, il mio eden della membrana. 

Una contrazione questa. Pare un galoppare balordo, 

ma è scolo benigno.


La più importante di tutte le ricerche, naturalmente, è quella della fine, anche in termini presumibilmente teleologici: 


In procinto dello scadere 

svegliarsi.


Ci allontaneremo oltre i nostri corpi perpendicolari. 

Certe vite si assestano verso la fine.


*



L’inquilino nel cuore

L’ora che ti alzi dalla stanza angusta

quando nude e calde esalano le voci nostre.

D’un colpo deste e d’un colpo appetitose. Appuntite

dalla voglia di farci male. Appena un po’.

Come il morso del cane fedele. 

Bianco in veste biancastra 

evadi con la spalla sinistra dolente.

Un tempo seguivi i miei passi

quando andavo fuori di te.

Che m’incamminavo lungo il viale pieno di limacce 

e rischiavo di scivolare 

vicino ai due frati 

che s’incontrano a fianco del gelso, 

largo quanto una caverna.

Mi inviavi dei segnali 

prima che cominciassero i piovaschi.

Sai che detesto portare con me l’ombrello.

Mi carica addosso l’ansia del bravo Guglielmo,

il destino della mela. L’equilibrio perfetto e la freccia.

Temo colui che mi chiederà di mirare te

con il tuo binocolo dentro me.

Colpirei, inabile, l’inquilino nel cuore,

che scende dalla torre di sangue, 

lasciandola incustodita, 

per giacere con me.




Fqinji në zemër 

Koha sa çohesh prej dhomës së ngushtë, 

kur lakuriqe e të nxehta lëshohen zërat tanë. 

Befas të zgjuar e befas të uritur. Të mprehur 

nga dëshira për t’na lënduar. Vetëm pak. 

Si kafshimi i qenit besnik. 

I bardhë brënda teshash të bardha ikën, 

me shpatullën e majtë të tukequr. 

Dikur u viheshe pas hapave të mi, 

kur shkoja jashtë teje. 

Që shëtisja përgjatë shëtitores plot kërmij pa shtëpi, 

e rrezikoja të rrëshqisja 

pranë dy peshkopëve, 

që rroken në anë të manit, 

i gjërë sa një guvë. 

Më çoje sinjale 

para se t’ia nisnin shirat. 

Ti e di sa zët e kam të marr çadrën me vete. 

Më ngarkon me ankthin e Guliemit të mirë, 

me fatin e mollës. Equilibrin e përsosur dhe shigjetën. 

I druhem atij që do më urdhërojë të të marr në shënjestër, 

me lupën tënde brënda meje. 

E pazonja rrezikoj të qëlloj fqinjin në zemër, 

atë që zbret nga kulla prej gjaku, 

duke e lënë pa rojë, 

që të flejë me mua.

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Gentiana Minga, poeta e scrittrice, nata a Durazzo (Albania). 

Tra le sue pubblicazioni: Autopsia e shkatërrimit / Autopsia del disastro ( racconti, Europa 1993); Zonja e Shkodrës / La signora di Scutari (poesie, Florimont 2003); Ciao mamma, un saluto da Bolzano (Terra d’Ulivi 2017). È stata pubblicata in tedesco da Lichtungen- Zeitschrift fur Literatur Kunst und Zeitkritik, Austria, e Foglio Verlag, Wien, Lyrischer Wille, poesie einer multilingualen Gesellschaft, 2018, e altrettanto inserita in diverse antologie, tra cui: Sotto il cielo di Lampedusa II (Rayuela); Donne combattive e solitarie (reportage); Donne d’Albania- tra migrazione, tradizione e modernità (Com Nuovi Tempi); Matrilineare, Madri e figlie nella poesia italiana dagli anni Sessanta a oggi (La Vita Felice 2018); Ha tradotto per Poeteka ( Rivista letteraria e culturale albanese) testi di Pier Paolo Pasolini, Corrado Alvaro, Luis Sepulvelda, Norbert K. Caser. Le sue poesie appiano nell’ultimo numero della nota rivista cilena: “Aerea”, (Ril editores/Santiago de Cile), “Pais remoto, muestra de poesìa albanese” - 2020. 


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