La natura scrive la trama della vita
Elio Scarciglia, processione venerdì santo, Taranto

La natura scrive la trama della vita

diCarla Villagrossi

L’ultima silloge di Emanuela Dalla Libera, “Infinito Andare” (Il Convivio editore, con prefazione di Alfredo Rienzi), rappresenta la persona e il suo altro: la natura. Un viaggio al di là dei propri limiti e oltre i confini rassicuranti del sé, all’interno di un tempo infinito e ininterrotto, dove il mutamento e la trasformazione sono compagni di avventura. L’autrice nel suo moto a luogo attraversa luce, buio, giorni e territori. 

Ci vuole un luogo a perdonar la vita: la riflessione sulla natura attiva la capacità umana di vedere nuove opportunità di rinascita. Il viaggio diventa speranza. Le ombre sono incise dalla luce, gli steli rinascono nello spettacolo della natura, il canto del silenzio è ascoltato all’infinito. Quando la notte si estingue, rimane una traccia del buio che si arrende al risveglio, un’immagine shakespeariana che evoca Romeo e Giulietta «sorgi bel sole, e uccidi l’invidiosa luna…»; il viaggio della vita è il risveglio, in quel tempo in cui lo sguardo verso il paesaggio entra nella narrazione poetica.

Il nostalgico ritorno al passato nella composizione “Ho risalito la strada” si riattiva nell’intimità dei luoghi che risvegliano i ricordi d’infanzia, le memorie che si nutrono della visone di strade, campi e fossi. Le esperienze della vita sono consumate dal tempo, l'effige degli anni accatastati alla rinfusa in vecchie ceste senza fondo, e sembra impossibile organizzare ciò che più non torna. Eppure resta il dolore della perduta aurora e il risveglio di un presente muto e spento. Come trattenere i ricordi? Come preservare la bellezza del giardino di rose della madre? 

L’esperienza di vita contempla il declino. “Poi finì giovinezza” è il titolo di un componimento che riguarda il primo periodo di vita, anni che passano come un’ombra diafana che si dissolve, un’onda che passa nel tempo che non si arresta, un movimento fugace come la gioventù che indossa la veste impigliata, nulla riesce a trattenerla. L’essere umano, secondo natura, si trasforma nell’inarrestabile procedere del tempo: restano i segni dell’eterno, incessante andare, una coscienza superiore spinta al viaggio conoscitivo, dentro di sé e fuori di sé.

Il paesaggio è animato ne “La luce dell’estate”: l’acqua respira, gli alberi sono in preghiera, ma questa bellezza naturale è transitoria, Si scioglie, nella trasparenza fresca di un aprile silenzioso. È un susseguirsi di risvegli e ombre. La natura è poesia visiva, tattile, sensoriale; espansione dello spirito che prende forma umana e acquista significato proprio nel confronto con il paesaggio. Si rispecchia e si ritrova; la sua intimità, i suoi pensieri più nascosti si manifestano diventando avvenimenti di vita da esperire: è un esistere interiore. Lasciami qui, ad ascoltare le voci / nascoste nel mistero racchiuso dentro il  cosmo / tra le radici degli alberi levati al sole, lasciami / le parole della terra, lasciami fondere questa mia ora / di cielo fuggitiva con l’eterno battito del mondo. La natura ha una propria voce e un proprio linguaggio, esprime un insieme di segni che costituiscono una realtà oltre a sé, un mondo che chiede di essere accolto, un invito a fondersi col cosmo. L’alter ego è una creazione dell’io che risuona nella natura, ma che sta dentro di noi, un corrispettivo dei pensieri e delle emozioni dell’autrice, una presenza intenta a raccogliere memorie, a parlare come sa fare una musica.

La natura è poesia in musica, non è solo fonte d’ispirazione. L’arte musicale parla ai sensi, all’anima, alla memoria, è un veicolo che ci trasporta in altre realtà. Il tempo è sospeso nella melodia, l’eco del passato porta reliquie dolci di una vita che sta sul confine; il tono nostalgico e malinconico suggestiona il tempo che collega il batter del passato con il levare del futuro. Sono voci che si ridestano nel silenzio e incidono il mondo attorno a noi, un silenzio ovattato di penombra, intriso di suoni e parole. Portami i tuoi canti ancora / quando il silenzio smarrirà la voce / quando della vita mi resterà il ricordo, / portami le tue parole a ridestare il giorno. 

L’incontro tra il suono e la parola, tra la musica e la poesia è sempre esistito, non segue regole precise, continua a cambiare forma e modalità espressive. Il suono si dilata nelle poesie di Emanuela Dalla Libera, emerge dal passato. C’è un rintoccare lento sperduto nella notte, / poi la quiete, il silenzio, e un vento di ponente / a diradar le forme già vissute, di nuove note / accendere il presente sul giorno incline / alle trame disegnate. La natura ha la caratteristica del silenzio, è uno spazio tra due note, un linguaggio universale, colmo di mistero e di attesa. L’uso del silenzio è un tema centrale nell’ascolto. È una quiete che parla, dando vita al racconto di un tempo che non torna, oppure alla carezza dell’aria che si veste di silenzio. Sonorità umane sono nascoste dentro il bosco e hanno un forte impatto evocativo: quando l’emozione è intensa, il silenzio diventa eloquente, fa emergere i significati nascosti, tocca le profondità che solo la natura sapiente fa affiorare.

Un silenzio greve di tristezza e rimpianto, appartiene a tutti e a nessuno in particolare, è senza tempo eppure cerca un tempo passato. Si contrappone alla nostra rumorosa civiltà, tuttavia non è solitudine perché la natura accoglie, crea il legame che ci fa sapere di noi stessi, del grande mare e della grande terra a cui apparteniamo.


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