La pienezza dell'essere, tra contemplazione e rinascita
Ivor Prickett, un rifugiato siriano prega a fine giornata presso il campo di Kara Tepe, 2015, Lesbo, Grecia

La pienezza dell'essere, tra contemplazione e rinascita

diAnnamaria Ferramosca

Sull'orlo della gioia/Il tempo della melagrana di Nadia Chiaverini 


Questo insolito libro bifronte della poetessa Nadia Chiaverini, che apro dal lato di Sull'orlo della gioia, mi  addentra nelle sue Poesie da una stanza, dove mi accoglie l'incanto inatteso di un lungo momento di quiete. Inatteso perché questa scrittura è stata versata su carta durante l'ingrato tempo del lockdown pandemico e paradossalmente ne sono sgorgate, come la stessa autrice afferma nella sua nota introduttiva, sensazioni serene di lentezza, respiro e ascolto, invece che prevedibili cupi umori. Si fa largo infatti un canto chiaro di vita, con cui Nadia dispiega la sua bella capacità di osservazione poetica del mondo. come nel vedere il tremore delle gemme mentre si sporgono alla vita o il messaggio nel volo di un petalo... E si percepisce una vivida necessità di rallentare finalmente il ritmo convulso del vivere quotidiano, per aprirsi al pieno ascolto della propria interiorità e del  flusso del tempo, per poter raggiungere quella soglia misteriosa, quell'orlo della gioia , dove dimora la pienezza dell'essere.

   Nei versi di queste poesie protagonista è la luce, declinata nella sua  dimensione cosmica, che sommerge di armonia ogni aspetto della realtà, comunicando a chi legge uno stupore come per qualcosa di già noto e riconoscibile ma sopito, che emerge da nostre ancestrali esperienze. In queste scene luminose pure grida una voglia impetuosa di rinascita, dopo il rammendo di antiche lacerazioni, ormai rimarginate.

   Ed è davvero stupefacente trovare, nel tempo scuro di un evento infausto che ha tormentato l'intero  pianeta, un orizzonte così limpido, in questo bisogno irriducibile di porsi in ascolto della natura, una natura che parla (a chi sa ascoltare) indicando un disegno altro, che soltanto essenze non umane, lontane dalla superficialità e miopia dell'homo sapiens, possono ideare e suggerire.

  “Rifare daccapo il mondo è la sfida”- afferma Nadia Chiaverini – riflettendo sulla improrogabile necessità di vedere nell''intelligenza dell'anima mundi la direzione di un cammino comune di salvezza, nel rispetto di ogni essenza vivente e non vivente.

   E in questa atmosfera di desiderato equilibrio del tutto che l'autrice si abbandona anche all'idea di un destino di rinascita sotto altra forma di vita riconoscendo, con uno splendido ossimoro, l'eterna spirale di una nostra illimitata finitudine.  E da poeta riesce a trasmettere, proprio perché la vive intensamente come propria naturale modalità dell'essere, la sensazione consolante di una quiete cosmica che impregna ogni sua visione.  Dove il nulla non esiste.

    Ma ecco che, all'improvviso, con uno scarto magistrale, il libro si capovolge e ci si addentra ne Il tempo della melagrana, dove la scrittura attraversa un territorio inatteso, più confessionale, che urgeva essere “versato in poesia” per poter sanguinare, liberando un pesante carico di sofferenza.

E qui i versi dicono tutto il dolore dell'amore non corrisposto, delle spine dell'incomprensione e di tutti i grani rossi della melagrana-vita che cadono dal frutto con un ritmo simile a un singhiozzo. Si susseguono così le scene del parto laborioso, della bimba lasciata crescere libera per farla presto padrona della vita - forse troppo presto -, del senso di colpa, e poi la vita che continua a scorrere, come ogni vita, con le madri che invecchiano, gli incidenti, gli ospedali, le battaglie del gatto con topi e uccelli...Pure, fuori dal proprio cerchio, l' assurdità degli errori umani nel mondo, i cadaveri dei bambini migranti sulla spiaggia... Eppure la salvezza è quella indicata dalla parola scritta, e dunque è la scrittura che compie, nel poemetto finale de L'infinita cicatrice, il lavoro salvifico (molto più efficace di una terapia psicologica) contro il drago della malattia e della sofferenza. Un mostro che a lungo resiste e risorge, ma che finalmente si lascia domare. Un drago che si fa metafora di ogni male e aberrazione dell'uomo, che vorremmo mutasse, come questa poesia riesce a fare, nella vittoria della parola poetica su ogni disumanità, su ogni nostra triste deriva.


 


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