Le donne e il perturbante
Foto di Paola Casulli

Le donne e il perturbante

diFloriana Coppola


Un libro di racconti al femminile, Ritratti di donne. La psicoanalista e scrittrice veneziana Elisabetta Baldisserotto, conosciuta per l’intrigante trilogia gialla del commissario Jacopo Zambon (pubblicata da CLEUP), indaga l’animo delle donne, utilizzando quella percezione analitica già sperimentata nei suoi ultimi romanzi. Ogni racconto si presenta come l’incipit di un giallo psicologico. Una scrittura che iperdettaglia e amplifica ogni sensazione, causando un lento e graduale disorientamento. Leggendo siamo coinvolti in un meccanismo di spaesamento. Ciò che sembra normale e familiare si apre e si rivolta, diventando inquieto e nevrotico. Le protagoniste sembrano mantenere a fatica ogni loro azione dentro i binari della normalità. Vengono catturate dalla loro voce interiore, da una giostra perversa che fa deragliare i loro comportamenti.  A ogni passaggio sembra possa succedere qualcosa di drammatico, qualcosa che potrebbe turbare il lettore. L’autrice riesce con grande maestria ad alludere a un evento che spiazza.  Evoca e poi nasconde, riportando un destino, la volontà segreta di rompere il copione tradizionale del personaggio femminile.

Le donne di Elisabetta nascondono infatti il loro segreto, le loro ossessioni che le fanno sostare perversamente su quel confine oscuro tra adattamento e fuga dalla realtà, quella frontiera tra compiacenza e ribellione. Una prosa attenta e elegante porta il lettore dentro il labirinto delle passioni umane, degli umani sentimenti. Ogni protagonista vive un conflitto tra la sua percezione quotidiana e indotta del reale e la ferocia della sua disabilità alla vita. In punta di penna e con la preziosità del racconto breve, ogni dettaglio viene presentato prima nella sua innocua presenza e poi viene travolto da un senso ulteriore che lo dilata e lo trasforma come se fosse preso da uno specchio deformante. 

 

Se Elena morisse, penso, farei della sua camera uno studiolo, metterei uno scrittoio nella nicchia al posto del letto e mi affaccerei sul terrazzino a guardare le tegole dei tetti. Passo in camera di Mario.

 

Inserti narrativi lasciati come piccoli sassi per portare l’immaginazione in un altrove tra nostalgia di qualcosa che si è perduto e il sogno di una liberazione che rasenta il crimine, lontano da un copione a cui la donna non aderisce pienamente. L’ossessione nevrotica di un iperadattamento disturbato. La casa e la strada, la cucina e il cortile, sono i palcoscenici quotidiani dei racconti di Elisabetta, in un processo di estraniamento magico, dove il noto diventa ignoto. Diventa scontato citare Sigmund Freud e il suo concetto di perturbante, “unheimlich”, qualcosa di sinistro, non confortevole, sospetto, ambiguo, che offre una sensazione di insicurezza, di inquietudine e di turbamento, suscitata da cose e persone. Ciò che è noto e familiare può diventare spaventoso. Le situazioni più semplici possono nascondere qualcosa di ambivalente, di ambiguo. Le donne hanno da sempre attraversato nell’immaginario letterario questa duplicità oscura, Eva e Lilith, l’angelo del focolare e la strega, la donna angelicata e la donna/ragno. L’autrice trasporta e fa slittare la sua conoscenza profonda dell’animo umano in questi brevi cammei narrativi ma usa un registro leggero e rassicurante, che lascia interdetti. La creazione del doppio e la conoscenza dell’Ombra rimangono sottotraccia in questo bosco narrativo. Le protagoniste hanno il perturbante presentimento della morte. Ogni figura cambia e muta in relazione a questa drammatica percezione di qualcosa di pericoloso che potrebbe accadere.  Ma l’atmosfera straniante resta leggera, quasi lieve, di una levità sconcertante. Si esercita la facoltà della classica epochè, la sospensione del giudizio morale verso la deriva immaginifica di ogni storia. Tutto è permesso, tutto è fattibile, umano, troppo umano. Ogni donna narrata apre la porta ai suoi demoni, e l’angoscia diventa solo un respiro più lungo, dimensione spaesata e stordita di un’altra se stessa che alberga nella propria anima. Il perturbante è qualcosa che la vita psichica conosce profondamente ma che con il tempo diventa nascosto e rimosso. Jung parla di Ombra e di Archetipo, come modelli interiori di un immaginario universale ancestrale. Nei racconti di Elisabetta, il gioco tra ciò che si è e ciò che si potrebbe essere rimane così in bilico, su un trasparente filo di cotone. 

A un certo punto la colse il terrore che se non avesse salvato il noce sarebbe morta anche lei. Sto impazzendo, pensò, e risalì.  

Ogni racconto riesce a tenere il lettore in uno stato di incertezza. I semi del giallo e del noir sfociano in questa elegante scrittura del perturbante, scrittura quasi fotografica, in grado di suscitare disorientamento e inquietudine, ma anche di stemperare la tensione con un sorriso, con un particolare leggero. Un percorso spumeggiante con un movimento ondoso di andate e ritorni, che trova ogni volta negli ultimi righi la chiusa ribelle che rivolta e stravolge ogni significato tranquillizzante. Così Elisabetta Baldisserotto conquista l’attenzione completa del lettore e lo induce a riflettere sulla poliedrica e prismatica natura di ogni creatura umana.





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