Parole rimescolate di Matilde Di Chiaromonte
Stefano Iori - Paesaggio - Terra e china su cartoncino velato

Parole rimescolate di Matilde Di Chiaromonte

diSebastiano A. Patanè Ferro

Le parole rimescolate. Mi domandavo il perché di questa necessità e lo scoprivo pagina dopo pagina, leggendo un libro che racconta di sentimenti feriti, traditi e umiliati. Le parole, rimescolate, per confondere, per nascondere, per giustificare l’ingiustificabile, non solo agli altri, alla famiglia originaria, ma a se stessi, a quello specchio che alla lunga non riuscirà più a mentire, che con grande coraggio mostrerà la realtà nella sua crudezza giusto in tempo affinché non si oltrepassi il punto di non ritorno.
Matilde Di Chiaromonte è ben precisa nel mostrare la storia attraverso Ludovica in tutti i suoi aspetti, e a tratti sembrerebbe che anche durante questa confessione voglia velare la verità vera; c’è comunque, una forte onestà intellettuale nel descrivere persino le ingenuità, sciocche quanto genuine che, in gran parte, sono anche il carburante per quell’agglomerato di stupidità e malata possessione che risulterà, poi, essere il marito.

Essere la piccola delle sorelle, in una città notevolmente più veloce del borgo da cui proveniva, la induce a crescere il più in fretta possibile non solo per stare al passo con le sorelle, ma anche per tentare di realizzare quei desideri che crescevano sempre più dentro di lei, dei quali, però non riconosceva del tutto la grandezza, nonostante la sua intraprendenza. Il suo mondo iniziale non le dava quelle enormi spinte e la sua provenienza pulita la manteneva bene entro un sentiero benevolo, dove tutto era fatalmente scritto e prestabilito: Un padre lavoratore che proteggeva la famiglia affidandosi a una moglie buona matriarca, che gestiva la “casa” per intero, con amore e sacrificio, ma anche con tanta severità, tanta ignoranza e sempre sotto il credo di quel fatalismo che in quella Sicilia non trascurava, aimè, nessuno.

Il cambiamento cambia pure il pensiero, cambia le opinioni e le azioni. Permette di evolversi, ma non sempre l’andare avanti è sinonimo di crescita se questa non è accompagnata dalla cultura, da una pacata osservazione del mondo attorno, ma, soprattutto, da una forte consa-pevolezza di sé.

Ludovica ha in sé il seme della libertà, ma c’è qualcosa che frena il miracolo, una sorta di scorza molto dura che metterà alla prova la determinazione della ragazza e la sua perseveranza, così come, per molti aspetti, accade ad Anna nel “Risotto allo zafferano” che per riprendersi dalle ferite subite deve dare piglio a tutto il suo coraggio.

Quando, però, sembra che la vita stia ricominciando a battere il suo buon ritmo, ecco che arriva la violenza, quella vera, quella che insudicia e distrugge ogni volontà, violenza che non si risolverà più perché è di quelle che lasciano cicatrici profonde.

 

C’è qualcosa, però, che qualcuno chiama riscatto, karma o pietoso atto d’amore proveniente da molto lontano, dall’invisibile, che dà i mezzi e la forza per ricominciare.

Matilde da Chiaromonte ci racconta di due donne che, con

coraggio e volontà sono riuscite a risorgere dalle loro

cenere e lei ne è testimone credibilissima.


Nei testi poetici, leggo di una persona che lavora molto per togliersi di dosso quei fastidiosi residui di una guerra che si stava per perdere, che ha causato squarci enormi in quel delicato equilibrio che è il cuore, ma che la mente sta, pian piano, riuscendo a ricucire. 

Si riaccendono anche la fiducia e la consapevolezza che non tutti gli uomini sono uguali, che ci si può ancora innamorare senza, adesso, correre il rischio di sbagliare:

 

“Mentre il vento impetuoso suonava contro vetri, / un calpestio di foglie secche/ si avvicinava. /

La mia mente veniva così rapita/ da una sinfonia d’amore/ per l’incontro con te, / che di un solo bacio mi ha lasciato il sapore!”. 

 

In questi pochi versi, abbiamo tutto ciò che serve per capire che c’è un passato che non può tornare (i vetri che impediscono il vento), delle foglie secche calpestate (passato disgregato). C’é, infine, una sinfonia d’amore che riesce a rapire la mente guarita, e un bacio persistente che si può elevare a “sanatore”; tutte parole non più rime-scolate ma raccolte da aree semantiche che mi appaiono assolutamente rigeneranti.

 

“Qualcuno ha gettato sul mio volto il mantello rosso del sangue e della guerra. Ha coperto i miei occhi perché non vedano l’amore, ma l’odio. Ha scompigliato i miei capelli perché poi qualcuno venga a lisciarli e diventino belli come il mantello che copre la morte.”. Con queste parole, l’autrice, comincia le pagine di diario, l’ultima parte del libro e con queste parole definisce pienamente l’esclusione e la caduta di quel mondo alieno che ha portato solo sconquasso e dolore.

 

Molto belli, infine, gli acquerelli della stessa Matilde da Chiaromonte, che non hanno bisogno di parole, lasciando alle equilibrate masse cromatiche e all’espressività che si estrapola scientemente dalla scrittura in un esaustivo dialogo con il lettore/fruitore.


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