Nunzia Binetti, Il tempo del male
Foto di Elio Scarciglia - Venezia, Carnevale 2018

Nunzia Binetti, Il tempo del male

diFloriana Coppola

C’è come un dolore nella stanza, ed/ è superato in parte:

 ma vince il peso/ degli oggetti,

 il loro significare/ peso e perdita. 

 Amelia Rosselli


Ci sono donne che dedicano la loro vita agli altri e alle altre, a promuovere non il loro nome ma il talento delle donne, a organizzare spazi per far esprimere le persone che stimano e ritagliano poco tempo da dedicare a se stesse, alla cura dei loro doni. Nunzia Binetti è una di queste donne/ostetriche, impegnate a far partorire culturalmente le altre donne.  Vocazione fondativa inesauribile e mai autoreferenziale. Impegnata nella promozione delle donne in arti e affari, presidente della FIDAPA BPW Barletta, membro della task force  twinning BPW International, cofondatrice del Comitato della Dante Alighieri Barletta, critica letteraria per varie riviste on line, scrive prefazioni  per le sillogi poetiche di autrici e autori. Insomma Nunzia Binetti crede in quello che fa, è donna di azione e di pensiero. Si muove sul suo territorio con magistrale abilità. Costruisce reti per le donne, per dare spazio ai talenti. Lavora in gruppo. Fa squadra. Si impegna e prende posizioni ogni qual volta la vita politica e culturale lo richiede.  Ma come ogni persona riflessiva e complessa ha bisogno di mettere su carta le sue perplessità, le sue amarezze. E da questa inquietudine dolorosa nasce la sua pagina poetica. 

Perduto  ha la voce la sirena del mondo, il mondo è un grande deserto. Nel deserto io guardo con occhi asciutti me stesso. 

Con questa citazione di Camillo Sbarbaro, Binetti apre la sua silloge dal titolo impegnativo, IL TEMPO DEL MALE.   Così  lei ricorda un poeta che ha espresso il disagio esistenziale con pacata e sommessa sofferenza. Poeta di riferimento per  questa raccolta di poesie sospese tra la scrittura dell’impegno civile e politico e un lirismo accorato e autobiografico. Sbarbaro dichiara la sua predilezione per le esistenze in sordina. E non è un caso che Nunzia Binetti lo scelga come suo mentore, come prezioso indizio per iniziare il suo viaggio poetico, in questo libro.

Si parcellizza l’Essere/ nello scontro con figuri/ in questo tempo del male/e intorno si fa buio.

Per parlare del tempo del male bisogna considerare e discernere il BENE. Questo mi riporta al significato della parola UTOPIA. Un ideale etico e politico che non è destinato a realizzarsi ma ha la funzione ispiratrice di ogni azione come motore di ogni ipotesi di lavoro e di pensiero, come sponda efficace per la critica  all’esistente. In questo senso l’utopia del bene aiuta Nunzia Binetti a scorgere e individuare il male che la circonda nella corruzione dilagante, nelle ingiustizie e nello scollamento progressivo tra società e individuo. Il mondo è un deserto ma a ognuno tocca la sua parte di responsabilità, per renderlo un giardino fiorito. L’impegno reale è assoluta fatica e sudore, significa esposizione pubblica, investimento di energie e di risorse. Per questo la poesia diventa allora  la stanza intima di quella riflessione amara e triste per denunciare quello che intorno non cambia, quelle negatività che non si  modificano facilmente.

Lungo la china/ una lattina, un sasso./ la corsa alla discarica/ non ha stradario/ ma il solito diagramma / di caduta in basso. Noi, i vuoti a perdere.


L’amara tristezza di queste pagine, di questi frammenti epigrammatici fanno pensare al conflitto agito tra chi percepisce con forza ogni difficoltà nel riformare ciò che esiste e l’estremo pudore di non mostrare lo sfinimento e la stanchezza agli altri, ai compagni di lavoro, ai familiari. Forte è la volontà di essere ancora monito personale e traghettatrice valoriale  nel viaggio difficile dello stare al mondo. Non vedo infatti separazione tra forma lirica e forma civile, tra le dediche private alle nascite, ai lutti e alle perdite e i versi impegnati. Tutto viene attraversato dallo stesso spirito che unisce la cura degli affetti più intimi alla cura del sociale, in una acrobazia esistenziale tipica solo del coraggio delle donne.  Si può parlare anche di poesia metafisica, di uno sguardo obliquo rivolto contemporaneamente alle due dimensioni, ciò che siamo e ciò che vorremmo essere. Ciò che diventiamo e ciò che sono le nostre aspirazioni. Il finito, il reale, l’assoluto e lo spirituale diventano tangenziali interiori che si incrociano di continuo negli  affetti dichiarati, nelle peregrinazioni narrate. Mentre scrive Binetti ha  la certezza che pochi leggeranno, che pochi capiranno la testarda audacia e la tenacia che la fa rialzare in piedi e andare fuori dalle sue stanze, per strada. La poesia diventa quindi quella stanza interna dove la voce più intima raccoglie quella malinconia struggente per le persone e per le illusioni perdute, per ciò che ci viene strappato, per tutto ciò che va via.

Posso darti il rosso dei capelli/ il rosso del mio sangue/ e quello della lacca sulle unghie./Posso darti il rosso tutto che è rimasto./ ma tu dicevi – non abbiamo casa, né diritto -/ Non so perché nel tempo ho smesso questa politica./ Mi sento in fiore d’azzurro/ oggi / che spento il clamore della fiamma/ mi sto, nella penombra della sera.

Il corpo parla nella scrittura di Nunzia Binetti, è fonte continua di metafore, è corpo ferito, piagato che non si arrende, Il femore regge la frattura, dice indicando la sua capacità resiliente. 

Il tuo corpo è in esilio, scrive versi che nessuno legge.

In ogni pagina, questo sguardo duplice allude al richiamo intimo e sofferto verso un’unità cosmica universale. L'Essere è aspirazione ossessivamente rimarcata e perduta. E parte questa nostalgia proprio dai sensi, dalle percezioni fisiche più profonde. Non esiste divisione tra il corpo e l’anima nei suoi versi.. La poesia è solo l’Ultima Stanza dove fare memoria della mancanza, della malinconia, del rimpianto per ciò che viene strappato, per il lutto di ogni illusione svelata. La scrittura rimane però gesto etico di resistenza all’angoscia del mondo, segno di aspirata condivisione maturata nel tempo, per quel fare comunità,  che spezza lo stesso pane.

In questa ecosfera di anime, più ceneri/ che verità concluse/ vaghiamo, orbitando in psichiche istanze impedite./ Unirci può il sogno e pesa l’oltraggio/ - da tempo – elevato a sistema.


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