Questo corpo ora di Dom Gabrielli
Elio Scarciglia - Parco naturale di Porto Selvaggio - Lecce

Questo corpo ora di Dom Gabrielli

diFloriana Coppola

Operazione significativa e preziosa  la traduzione raffinata e sensibile delle poesie di Dom Gabrielli a cura di Francesca Malagutti, edito da Terra d’ulivi nella nuova collana “Magica aliena”. Questo corpo ora, di Dom Gabrielli   si presenta come un unico poema. Tre parole usa Malagutti nella sua riflessione iniziale: estasi nella natura, crudeltà dell’oppressione e erotismo dei petali del mandorlo. Sono  queste le tre direzioni presenti nel testo,  indicano un cammino di ricerca esistenziale, per tradurre in parole uno stato d’animo e un pensiero, per portare in un luogo di sospensione e di magia la percezione drammatica di uno scollamento del poeta dal tempo moderno. In una forma breve e sobria, Gabrielli  esprime ciò che è intimo e imprevedibile. Dà voce al canto del qui e ora.   La strada è diretta verso una nudità essenziale, un silenzio che purifica e cattura l’anima più profonda delle cose. La poesia diventa contemplazione pura e necessaria per individuare il baricentro della nostra anima.  La poesia è meditazione,  risveglia da un torpore  malato, da quell’ anestesia affettiva che ci rende distanti e disconnessi dalla natura e dagli altri.

questo corpo che senza parole non sarebbe nulla ( it would be nothing)

…le parole del poeta vagano così…io scrivo nelle vene inchiostro del mio desiderio

( in the ink-vens of my longing)…   

Io sono fuori ( i am outside)…le parole si disperdono, esplodono in altre strade dolcemente ( poems scatter smoothly)…

 

È nel corpo del poeta l’urgenza della scrittura. Il verso che emerge non corrisponde a un fatto cerebrale oppure a un esercizio letterario,  ma a una necessità interiore,  coincide con la sostanza psicocorporea di ogni gesto espressivo e creativo. Il ritmo del respiro, l’accelerazione cardiaca, gli occhi e le mani cercano la loro voce, scelgono le loro parole. E nelle vene scorre l’inchiostro dell’ ispirazione.

 

ho già scritto nella notte/ nell’atomo della bellezza…io l’animale dell’attesa sulle sabbie…

 

La  scrittura poetica diventa la segnatura di una diversità, viene percepita come il marchio di coloro che sono fuori dal coro, non omologabili e non facilmente addomesticabili. Si cerca con  forza  ciò che è bellezza, la particella infinitesimale di quell’Eden che l’uomo va barbaramente distruggendo, senza nemmeno averne totale consapevolezza.

 

Finalmente io/ liberato dalla tentazione umana/ dalla speculazione/ del chi sono nello specchio/ del perché nella storia/ libero di essere molti momenti/ per dar vita a poemi…

 

Versi pungenti del pensiero poetante che spiegano  una filosofia precisa: il non attaccamento al proprio ego per emanciparsi da ogni competizione speculativa avversa all’evoluzione dello spirito, la liberazione creativa da ogni  tentativo di comprendere fino in fono in  modo puramente cognitivo ciò che invece deve essere compreso attraverso i canali dell’emozione e dell’empatia. Ogni poesia può essere un portale per comprendere  aspetti nascosti e inconsci della nostra umanità. Dice Gabrielli  nei suoi versi che ogni uomo deve fare i conti con questo bisogno di  alimentare il proprio ego. Ogni frammento disegna  una sensualità, un erotismo diffuso che legge la potenzialità del corpo  in connessione psicofisica con l’ambiente, con ogni dettaglio minimale. Il deserto rappresenta il luogo ideale per sentire questa smarginatura dell’individuo dal coro omologante. Il deserto aiuta a  fondersi con la natura,  registra ogni movimento, anche il più invisibile. Il deserto è silenzio dell’anima, è scarnificazione che purifica il corpo. Gabrielli cerca un Eden in un mondo apocalittico disastrato, un eden perduto  e ritrovato nelle piccole cose, nella sospensione dei gesti e dei mutamenti esteriori. Lo scenario tragico della nostra epoca ci rende lontani da questa pacificazione con la natura e con il creato.

 

mentre loro assassinano/ e tu lo sai che lo fanno/ e non puoi fare nulla ( and can say nothing)

…queste parole mi proteggono/ cantano per me/ le mie guardie del corpo…

devo scrivere di questo omicidio/ dicevi…

 

Questo corpo ora è un lungo poema in frammenti lirici, dove esistono quattro piani paralleli che si intrecciano e confliggono tra loro creando un effetto ritmico che ritorna nella versificazione in inglese e che Francesca Malagutti ha provato abilmente a riportare in italiano. Esiste un tu profondamente coincidente con il gesto della scrittura, una scrittura salvifica, protettiva, ancestrale, arcaica. Poi si intravede una lei, un femminile simbolico arcano, innominabile e innominata, presente e assente, la sempre amata, la Madre terra. Emerge un loro: mostruosi, assassini, profanatori, predatori e distruttori che piegano in ginocchio chi diverge dal loro progetto catastrofico e micidiale. In fine si figura uno sfondo:  il deserto e l’esplosione della natura, la strada metropolitana, la frontiera nomade e migrante, il viaggio.

 

Non è ciò che dico / è ciò che non dico/ il fiore del mandorlo/ la biscia nera/ tu sai/ quando tu non sei tu/ quando il poema/ serpeggia attraverso te/ verso una verità impercettibile…

….ciò che è scritto non è che l’effige di un’assenza…

…posso solo scrivere il diario di un prigioniero…

…io, bandito – colui che non trova dimora….questa penna che non può mentire….io porterò queste parole attraverso il filo spinato…

 

 Ecco che si dipana tra i versi il monologo interiore del poeta,   la sua consapevolezza di ciò che è effimero e mutevole, quel movimento continuo e angosciante tra il bisogno di esprimersi e il disagio di vivere inascoltati, silenziati dal chiasso inconcludente del mondo, tra esseri umani votati ad altro. Silenzio e solitudine, assenza e vacuità come sentinelle di un disperato appello. La poesia registra questo manifesto, ultima sponda per un richiamo positivo a vivere in armonia, nel rispetto e nella tenerezza.

 

Solo le poesie mandate tra il mandorlo e il fico/ tra timo e rosmarino/ sulle api selvatiche/ nel cuore dei venti greci…

…Le parole ti guardano semplicemente e cantano/ non sono nemmeno mie…

 

L’ispirazione poetica è ascolto ancestrale, ripresa di immagini  e di simboli dal pozzo interiore, che come dice Hillman appartiene all’anima collettiva del mondo.  Il deserto, il Salento, il Mediterraneo sono i luoghi per ascoltare “i venti greci”,  ricorda Gabrielli. La poesia è arte antica, è voce che arriva da lontano e bisogna onorare la genealogia poetica che ha dato nutrimento alla parola cantata.  Non è un caso che le performances di Dom Gabrielli sono arricchite dagli interventi musicali di artisti italiani meridionali, con cui fonde in modo magistrale la sua voce. Musica e poesia costruiscono un solo concerto, che emoziona e regala profonde vibrazioni sonore, vibrazioni che placano e guariscono.

 

Ogni poesia è un ponte tra le nostre pelli, noi estendiamo i continenti qui sul timpano della bellezza.


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