Rosa Pierno, Botanico Brogliaccio
Elio Scarciglia, Napoli (Castel Sant'Elmo), "Dignità autonome di prostituzione"

Rosa Pierno, Botanico Brogliaccio

diGiancarlo Baroni

Mi affascinano i libri di versi che hanno come protagonista principale la verde natura nella variegata molteplicità delle sue forme. Mi piacerebbe sentirmi parte di essa ma una insidiosa ritrosia mi tiene a parziale distanza. È perciò una gioia quando incontro testi che entrano con passione e intensità dentro il mondo vegetale («provo meraviglia ed entusiasmo dinanzi alla prodiga varietà delle essenze dei vegetali») e che mi permettono per un attimo di farne sentimentalmente ed emotivamente parte; il volume della poetessa e critica d’arte Rosa Pierno (che nasce a Napoli nel 1959 e vive a Roma) è indubbiamente uno di questi. Si intitola Botanico brogliaccio ed è stato da poco pubblicato da “Terra d’ulivi edizioni” nella collana “Pensiero poetico”diretta da Stefano Iori. Il libro, che ha l’apparenza della prosa ma la sostanza della poesia, allo stesso tempo discorsivo e visionario, inizia catturandoci così: «La varietà prodigiosa del sistema vegetale con le sue meraviglie soggioga l’animo e lo incatena. Non bisogna seguire le astrazioni, la logica catena delle argomentazioni, ma la stupefacente molteplicità di quell’unica parola: pianta».  

  foto di Giancarlo Baroni

La natura va guardata, osservata, ammirata, vissuta con tutti i sensi di cui disponiamo in un processo quasi simbiotico ed empatico. Scrive l’autrice: «Se ora cado col mio intero corpo nell’erba alta, sarò pianta tra piante?»; e ancora: «Mi siedo accanto ai bossi. So che mi sentono. Si crea uno spazio di silenziosa corrispondenza. […] Mi mescolo al loro respiro. Diveniamo complici nell’intimità»

Brogliaccio è una specie di quaderno e di album che accoglie appunti note disegni, un diario non sistematico e poco ordinato, un contenitore che ospita materiale da conservare in attesa di una più esatta destinazione e di un uso più mirato. La raccolta di Rosa Pierno Brogliaccio botanico contiene annotazioni scientifiche, riflessioni artistiche e letterarie, collocandosi «in un luogo anfibio». Non è facile collegare la realtà naturale con quella rappresentata, raffigurata, descritta, narrata: «Esiste un abisso tra foglia reale e foglia descritta, pari all’abisso tra foglia vera e foglia disegnata». L’autrice non contrappone natura e cultura, ma il richiamo spontaneo e seduttivo del mondo vegetale sembra superare comunque attrazioni di tipo intellettuale: «Colleziono piante per avere l’urgenza di recarmi ogni mattina nel bosco».

L’autrice ci invita a passeggiare nella natura, a guardarla «esposta alla luce del sole, ombrata dagli alberi, nel giardino lussureggiante, tra rigogliosi fiori», «fra siepi e rocce, fossati e forre, valloni e alture». Colori, profumi, «fitti boschi», «declivi erbosi», colli, prati, «foglie dorate» o d’acanto che «non possono tendersi in uno spazio poco profondo», siepi, aiuole,  «piante esotiche e locali», cespugli, rami che «si rivestono di gemme», frutti, fiori («rose e liliacee», «una peonia rosa pervinca»), un estetico giardino e un parco «organizzato come fosse un quadro», «dalle piante piccole, via via a quelle più grandi: dai muschi alle felci, dai funghi alle alghe, dalle leguminose alle spinose, pare di essere entrati in un labirinto nel quale l’uscita originaria sia preclusa. Ma è dolce perdersi nel vegetale mare».  

All’ultima pagina (la 44) torniamo in compagnia della scrittrice: «Traversando un lembo erboso, nello scorgere colonie sfrangiate di narcisi, mi dirigo felice verso la dimora durante l’ora più vera del giorno, quella che precede il tramonto, nella quale le cose mostrano con pervicacia la loro precaria parvenza».



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