Sotto la giusta ombra
Paolo Menduni, Napoli è

Sotto la giusta ombra

diCarol Guarascio

Dimmi il fiore che porti nello stomaco

che porti nella mente.

Fiore scuro della paura

fiore giallo dello sforzo

fiore bianco dell’attesa.

Dimmi l’insetto che ti ronza intorno

la cicala che stride nell’orecchio

la sapienza del ragno che ti abita.

La forma che tu vedi è una follia:

sotto la giusta ombra intimamente

si muovono i giardini inconsapevoli.

 

Come questa che è la prima poesia, ogni componimento della raccolta “Non come luce” di Isacco Turina, uscita per Terra d’Ulivi nel dicembre 2021, indistintamente, è una crepa. Una crepa nella quale si insinua una luce che, incrociata nella giusta angolazione, acceca, è un raggio abbacinante, una lama che attraversa la retina e abbaglia. 

 

Cibarsi d'ombre fino a quando

sia luce tutto intorno

è ancora il congedo più bello.

 

Sono visioni, endecasillabi profetici in cui il buio, l'ombra e la luce sono il climax di un’esperienza corporea ed extracorporea di nuove realtà.

Navigando queste penombre intorno alle parole, si scoprono a volte ritmi seducenti e orrorifici di filastrocche per bimbi impauriti

 

Hai sentito lo strillo dalle case

vicine? Vieni bambina, ti voglio

tagliare i capelli. Si salva chi è

più leggero.

 

L’Umanità è come la Natura matrigna, è Serpente e madre demente, ultima nemica dell’uomo. “Nel presente” c’è più distopia che in qualsiasi altro tempo: nel deserto fioriscono plastiche immortali, l’uomo è stato truffato dalla sua stessa madre e non si intravede nemmeno uno spiraglio di possibilità per la costituzione di una 'social catena' che valga anche solo come ultimo tentativo di resistenza contro la lava fiammeggiante della vita. 

 

Non c'è bisogno di impiantarsi microchip nel cervello affinché avvenga il sodalizio tra uomo e macchina. L’homo è talmente digitalis che chiede più volte di disperdere i propri dati nel vento in occasione della sua morte e di essere seppellito con il suo computer, a testimonianza per i futuri archeologi. Si intravedono in questi versi i dettami del Manifesto del post-umano di Pepperell: Il futuro non arriva mai. Nell'era postumana le macchine non saranno più macchine. Come si sviluppano i computer per essere più simili agli umani, così si sviluppano gli umani per piacere di più ai computer. Le macchine complesse sono una emergente forma di vita.

La realtà è fatta di discariche, copertoni, rifiuti e ruggini ma il futuro, chissà, potrebbe rischiare di essere addirittura migliore. Un tempo in cui la plastica sarà preziosa, come una perla nascosta nella spazzatura.

I gesti sono ancestrali: si nascondono soldi nel pane, si parla con le nuvole, si mangia corteccia d'alberi. 

La Luna è irritata e Fratello Sole pugnala l’uomo mentre si scalda sempre di più.

E gli dèi?

 

...Troppo vicini e ora

Troppo lontani, su un'altalena giocano gli dèi.

 

Gli dei sono disinteressati agli uomini. Essi portano nel loro becco le anime e le lasciano cadere in terre che non sono quelle d’origine: così presumibilmente è da leggere il monito "non morirete dove siete nati". 

 

Non come luce, ma come la sabbia

penetrerete nei loro occhi chiusi.

 

Gli occhi, ciechi come quelli di Edipo, si riempiono di quella sabbia desertificante che tutto rende uniforme e giallo. 

Tutto intorno è deserto, definito scheletro del mondo, e se non c’è sabbia a soffiare allora c’è la cenere

 

In principio fu la cenere 

perché qualcosa era già stato.

 

Non si nasce dal fango. Si viene dalla cenere, una eterna banca dati che soffia nella cisterna ovale del tempo.


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