
Un carillon di simboli
Nella raccolta "Specie domestica" di Roberto Masi, uscita con Terra d’Ulivi nel 2024, il lettore viene immediatamente catturato da un universo poetico che si rivela, pagina dopo pagina, un inquietante carillon di simboli. L'autore ci introduce in un microcosmo apparentemente semplice, ma intriso di una tensione palpabile, dove la ripetizione diventa la chiave per svelare significati più profondi e disturbanti.
I veri protagonisti di quest'opera singolare sono due animali che compaiono più volte: la gazza e il gatto. Non si tratta di meri personaggi, bensì di archetipi che rappresentano dinamiche universali. La gazza, pur essendo notoriamente cleptomane, si ritrova a volte derubata del suo "pasto", mentre il gatto protegge il proprio cibo con una tenacia quasi rassegnata.
Ancora un vitto rubato alla gazza; / il gatto lo sa e cura il pasto, / lo protegge sotto al tavolo.
…
Ultima giunge la gazza. / Dal tetto, sul cavo, mi guarda, mi pesa;/ la gazza risale, volteggia poi schiocca / la frusta del verso sul piatto / del gatto. / L’osservo -mi vede- / non cede: la gazza / si sposta, mi sposto, sparisce - nel piatto / del gatto che freme, s’arrischia / e va via.
Questa lotta quotidiana, apparentemente banale, si eleva a metafora di un conflitto ancestrale, una contesa per la sopravvivenza, per il possesso, per il proprio spazio vitale. È la fame, in senso lato, che muove le azioni, una fame che non è solo materiale ma esistenziale. Il racconto è a tratti epico: ci sono naufragi, addii, dolore, calvario. C’è la sete. E c’è un netturbino che sembra spazzare via, incessantemente, la notte…
Ciò che colpisce è il ritmo ossessivo che Masi dà ai versi. Le poesie, con rime che ricordano beffardamente le filastrocche, non semplificano, ma amplificano l'inquietudine. La cantilena innocua diventa un mantra compulsivo che intrappola il lettore. Questa ripetizione delle rime crea un effetto straniante, un'eco nella mente.
L'ossessività va oltre la trama e il ritmo, permeando anche il tempo. Masi ci trascina in un ciclo incessante di giorno, notte, alba e giorno, senza tregua né risoluzione. Non c'è progresso narrativo, ma un'eternità del presente, un'incapacità di uscire dal circolo vizioso degli eventi.
Un elemento di spessore nella raccolta è la presenza massiccia di citazioni e rimandi letterari. Frasi come "ed è subito sera" o "ultima giunge la gazza", “ che la rischiara”, non sono solo omaggi, ma veri e propri incastri che arricchiscono il testo di strati di significato. Questi echi letterari creano un dialogo continuo con la tradizione, inserendo le vicende degli animali e dell’uomo (e del lettore) in un contesto più ampio di riflessione sulla condizione umana e sulla poesia stessa. L'erudizione di Masi non è mai ostentata, ma funge da contrappunto alla semplicità quasi infantile delle rime, generando un cortocircuito affascinante.
Come affascinanti sono molte metafore presenti nella raccolta: la schiena è un latrato di cani, l’alba è un lamento; in realtà, vere e proprie sinestesie.
A volte, l'insistente volo della gazza lascia spazio a poesie più intime, squarci di introspezione che svelano un'umanità più riconoscibile, prima che il ciclo ossessivo riprenda il sopravvento.
Fa’ ciò che fui non come padre, / non come figlio ma come noi. / Nei sogni sfumati ti cerco, / nudo sull’arido petto che / dietro le pietre apparenti / attende solitario il tuo ritorno. / E non solcano il volto tuo / le carezze - / di quell’amore che in madre, / dentro la tua bocca soffiai. / Non come ricordo ma carne / al freddo che trema e non tende / su quei giorni che sono passati / di quando ancora restava l’impronta.
La galleria di simboli si allarga anche ad altri animali e piante, che popolano questo ecosistema poetico. Tuttavia, la presenza più significativa in questo bestiario è proprio quella dell'uomo, che appare come un'entità smarrita, chiede a Dio “Dove sei?”, ma non riceve alcuna risposta: avverte solo un silenzio assordante.
Masi ci interroga sulla natura delle nostre piccole e grandi ossessioni, quelle che ci definiscono e ci imprigionano. Tutti i personaggi di questo “poema” diventano specchi in cui possiamo riconoscere le nostre dinamiche relazionali, le nostre paure più recondite, le nostre irrinunciabili abitudini.
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