Alexander Pope e Giuseppe Parini: per una concezione della felicità
Quale rapporto ebbe Giuseppe Parini [1] con la felicità e soprattutto scrisse mai su tale tema? Parini non dedicò mai un’opera specifica a tale tema, né a tale argomento dedicò uno spazio programmatico. Nonostante questo quella della felicità è una tematica che attraversa tutta l’opera pariniana. Per comprendere il perché di tale trattazione è opportuno contestualizzare l’Intellettuale. L’Europa occidentale del Settecento ereditò dai secoli precedenti una lunga speculazione, ormai scevra dalle sole Sacre Scritture, sulla felicità terrena, ma anche sul dolore e il piacere. Dall’altra parte visse la temperie illuministica tutta concentrata sulla contrapposizione tra ragione e passione in una dialettica derivante dall’opposizione tra ragione e natura. Le riflessioni di alcuni intellettuali italiani, Verri [2] su tutti, hanno portato all’assorbimento del concetto di felicità in quello di piacere [3]. Dunque, si sviluppa un pensiero critico nei confronti del piacere che va direttamente a condannare anche la ricerca della felicità con una conseguente esaltazione della sofferenza tanto cara al romanticismo.
La rivoluzione pariniana sta nel concepire la felicità come equidistante dal pessimismo di Verri e dall’ottimismo dei philosophes francesi. La visione della felicità del Poeta di Bosisio matura e deriva dalla sua formazione classica e religiosa. Queste inquadrate all’interno del sensismo lockiano e dell’illuminismo francese delle origini. Egli mise per iscritto tale teoria derivante dalla dottrina sensistica cristiana in due Frammenti varii (VII e VIII): «Dio e la Natura ci comandano di vivere non già solamente con una legge scritta e pubblicata, come proveniente dai motivi superiori della religione e dall’amore dell’ordine universale ben conosciuto; ma molto più con una infinita e variata serie di sensazioni piacevoli, delle quali, rispettivamente a noi, è composto e formato il nostro vivere. Queste, senza anticipamento della nostra riflessione e quasi malgrado nostro, ci rendono caro il momento attuale della nostra esistenza; queste ci fanno veementemente desiderare altri simili momenti per l’avvenire, e, se fosse possibile, per tutta l’eternità; queste, mercè della nostra propria sperienza e dell’osservazione che facciamo sopra degli altri, ci fanno, a dispetto nostro e con grandissima fiducia, sperare gli stessi momenti che desideriamo; queste finalmente ci allontanano con ribrezzo dalla idea della loro interruzione e con raccapriccio ed orrore dall’idea della loro cessazione totale» [4].
Gli anni decisivi nella vita di Parini sono il 1753 e il 1754. Le rime di Ripano Eupilino sono valse non solo come apprendistato nell’arte retorica, ma anche fra i Trasformati. Agli inizi del 1754 viene ordinato sacerdote ed entra in servizio presso il duca Serbelloni come precettore di Gian Galeazzo, figlio del Duca. Parini si formò proprio nel periodo in cui tenne servizio presso il Duca, cioè dal 1754 al 1762 [5]. Il primo manoscritto autografo del Dialogo sopra la nobiltà, il quale fu letto ai Trasformati nel 1757, reca in epigrafe, trasposti in endecasillabi italiani, alcuni versi dell’Essay on Man di Alexander Pope [6]. Tale dato è molto rilevate ai fini della nostra indagine sul concetto di felicità in Parini. Parini non conosceva l’inglese, ma Pope era già noto in Italia ed esistevano traduzioni francesi dei suoi sonetti. Parini fu immediatamente ammaliato da quelle liriche. Parini conobbe l’autore inglese sicuramente attraverso gli incontri che si tenevano presso la corte del Duca. A frequentare certe tipologie letterarie era soprattutto la moglie del Duca, la quale possedeva una ricca libraria composta da libri eleganti, rilegati in liscia e purpurea pelle, che si vedevano, per le case dei nobili, posati qua e là fra altri oggetti eleganti. Parini sentì parlare di Pope e lol esse alla meglio, parte in francese e parte tradotto dal francese in italiano. Egli ebbe l’impressione decisiva di un’affinità spirituale, di un’arte moderna e magistrale degna d’imitazione. Probabilmente lo accomunò ai poeti francesi per semplice contaminazione linguistica. È in Saggio sopra l’uomo che trova teorizzata quella concezione della Natura da lui spesso così ideata. Di questo testo lo affascina in particolare il tema delle passioni legate alla felicità:
Non spetta alla ragion di trarci in porto
Senza contrasto alcun: tralle procelle
Difenderci, animarci è la sua cura;
Qual prudente maestro incaricato
Di erudirci, a noi diella il Cielo amico,
E con discreto impero i gusti nostri.
Dee moderar, non svellerli dal seno.
Della passione in noi dominatrice
Si serve il Cielo a compiere i disegni
Dalla Divina Sapienza orditi,
E vuole, acciò rimangano adempiti
Gli augusti investigabili Decreti,
Che ad oggetti diversi ogni Uom si volga,
E stabilmente in lor si tenga, e posi;
Ond’è, ch’ella con forza imperiosa
Le picciole passioni abbatte, e doma.
E giugne sempre al suo prefisso fine;
E chi tenta fermarla in sua carriera,
Precipita i suoi passi, e non l’arresta [7].
Proprio sulla base delle influenze di Pope, Parini organizzò un suo concetto di Natura, consistente in un sistema abbastanza coerente di convinzioni e di riflessioni. Quella sviluppata da Parini non è certamente una nuova concezione filosofica originale. Questa altro non sarà che a sarà che la sommatoria tra la sua filosofia e la sua fede. «Riassumibile in una serie di formulazioni teoriche, dalle quali saranno dedotte coerenti norme etiche. Di filosofico, appunto in senso classico e sistematico, sarà degno di nota che queste formulazioni volgeranno intorno a un’idea
precisa e fondamentale, cioè quella di Natura» [8].
Ma in tutta questa concezione che ruolo gioca la felicità? La concezione della felicità pariniana espressa pienamente nel Frammento precedentemente citato, prende pienamente forma nella teoria della letteratura da lui formulata nelle Lezioni di belle lettere [9]. Tutti i ragionamenti si appoggiano alla teoria sensista. Egli fa originare il discorso dall’idea di Bello, secondo il processo gnoseologico che parte dalla sensazione e giunge all’idea. Poi collega l’idea stessa di Bello alla sensazione del piacere e alla felicità, per giungere in ultimo alla felicità spirituale. In tal modo si allontana dal concetto del piacere legato alla felicità ideato da Verri. Parini genera una nuova tipologia di felicità terrena a cui l’uomo deve aspirare.
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[1] Giuseppe Parini, nato Giuseppe Parino (Bosisio, 23 maggio 1729 – Milano, 15 agosto 1799), è stato un poeta e abate italiano. Membro dell'Accademia dei Trasformati, fu uno dei massimi esponenti dell'illuminismo e del neoclassicismo in Italia.
[2] P. Verri, Discorso sull’indole del piacere e del dolore, a cura di S. Contarini, Roma, Carocci, “001, p. 135.
[3] N. Valeri, Pietro Verri, Firenze, F. Le Monnier, 1969, p. 23.
[4]. G. Parini, Prose, a cura di Egidio Bellorini, Bari, G. Laterza, 1915, p. 381.
[5]. M. Mezzanzanica, Invito alla lettura di Parini, Milano, Mursia, 1990, p. 54.
[6]. C. Colicchi, Il “Dialogo sopra la nobiltà” e la polemica sociale di Giuseppe Parini, Firenze, Le Monnier, 1965, p. 34.
[7]. E. Bonora, Pariniana, in Giornale storico di letteratura italiana, CXLV (1968), 449.
[8]. S. Antonelli, Giuseppe Parini, Firenze, La Nuova Italia, 1973, pp. 48-49.
[9]. G. Parini, Lezioni. Elementi di retorica, a cura di S. Morgana e P. Bartesaghi, Milano, Led, 2003.

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