
Art Dèco. Il trionfo della modernità Palazzo Reale a Milano
Una delle più importanti esposizioni del secolo scorso fu quella inaugurata a Parigi col titolo “Exposition internationale des arts dècoratifs et industriels modernes”. Siamo nell’aprile del 1925, l’esposizione fu visitata da sedici milioni di persone e rappresentò il punto di incontro tra le varie correnti dei diversi paesi che si orientavano verso quello che diventò lo stile moderno.
Non partecipò, perché non invitata, la Germania che era stata sconfitta nel primo conflitto mondiale; assenti anche gli Stati Uniti per i costi eccessivi che ci sarebbero stati.
L’ Italia colse l’occasione per uscire dall’ isolamento culturale, si presentò con un padiglione in stile neorinascimentale, certamente non in linea con le nuove istanze architettoniche. In compenso di grandissima qualità gli altri manufatti artistici; vennero premiati col Grand Prix Giò Ponti e Galileo Chini per le ceramiche, Zecchin per i vetri trasparenti, Wildt per le sculture e infine Brozzi per gli argenti.
Fu un successo per le arti decorative italiane. Tra alto artigianato artistico e produzione industriale si posero le basi per ciò che è stato successivamente definito il “Made in Italy”, un insieme di professionalità, di ricerca costante, di uso di materiali giusti e raffinati, di creatività in movimento.
Attraverso un percorso espositivo ricco di 250 opere, viene riproposto al visitatore la raffinatezza di un periodo che ha saputo definire il concetto di modernità. Si ammirano maioliche, vetri, porcellane e centro tavola dal gusto esotico, dipinti e sculture, abiti raffinati e accessori, vetrate e mosaici che adornavano grandi ambienti come hotel lussuosi e stazioni frenetiche.
L’allestimento, con riproduzioni di manifesti, riviste, installazioni, contribuisce a restituire l’atmosfera di un periodo affascinante, amante del lusso e ricco di novità, un periodo sospeso tra le due guerre e che voleva dimenticare gli orrori della prima senza nessuna attenzione alle situazioni che avrebbero provocato la seconda, un periodo che fu comune a tutte le grandi città d’Europa, quello degli anni Venti.
Fu anche un’epoca col culto del progresso inteso come la costruzione delle prime autostrade, dei treni veloci, degli aerei, delle navi transatlantiche che rendevano tutto più veloce, più raggiungibile.
Anche il paesaggio urbano cominciò a cambiare con le architetture futuriste, con i grattacieli, con i tram che attraversavano le piazze, con i grandi cartelloni pubblicitari che invitavano a un nuovo stile di vita e che campeggiavano, con colori vivaci, sulle facciate dei palazzi.
La pubblicità ammiccava alla moda e ai templi dove la si poteva acquistare.
Spuntarono i grandi magazzini nelle grandi città, come la Rinascente a Milano, che, oltre ad offrire merce svariata, diventarono un luogo di scambio e d’incontri.
Le grandi città europee, Parigi, Londra, Berlino, Milano ed altre, vissero come fossero su un palcoscenico dove mostrare lusso e opulenza attraverso gli abiti, gli oggetti, i salotti, le case.
Fu un sogno gioioso che voleva rimuovere l’orrore della guerra e che non sapeva, o non voleva, vedere le aree rurali che restavano arretrate, le condizioni sociali delle classi disagiate, i conflitti economici e sociali che iniziarono a profilarsi sotto la spinta del consumismo.
Fu una corsa verso il futuro che non si fermò ad indagare i perché delle inquietudini politiche che si sarebbero allargate di lì a poco cambiando rovinosamente i palcoscenici delle città e aprendo la strada al buio dell’ascesa delle dittature.
Questa mostra allora ci invita ad ammirare non solo la ricerca e l’espressione artistica così raffinata e poliedrica di un decennio del secolo scorso ma anche ci fornisce chiavi di lettura per un dialogo con il nostro presente, con la nostra identità culturale che rischia, per motivi in parte simili e in parte allargati a più aspetti della società ormai globale, di vedere avanzare altri terribili e irrimediabili bui.
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