Augusto de Angelis: un maestro degli anni Trenta
Alberto Cini - Ti chiamerò Xiong

Augusto de Angelis: un maestro degli anni Trenta

diElisabetta Baldisserotto

Giallista di spicco nel panorama italiano degli anni Trenta e maestro della prima generazione di giallisti italiani è Augusto De Angelis (1888-1944).

Nato a Roma, dopo la laurea in Giurisprudenza, sceglie la strada del giornalismo collaborando a varie testate, scrive drammi e commedie teatrali, biografie, saggi, una spy story e traduce dal francese. Il suo primo giallo, Il banchiere assassinato è del 1935, pubblicato dalle edizioni Aurora di Milano. Seguono altri tredici romanzi polizieschi, cinque pubblicati da Minerva e i restanti da Mondadori. Viene subito acclamato dalla stampa nazionale come “il migliore dei nostri giallisti”, “scrittore di razza” capace di opere che sono “opere letterarie, opere d’arte”. Ma De Angelis è anche un insigne teorico del genere poliziesco. La sua Conferenza sul giallo (in tempi neri) è un corposo saggio in cui lo scrittore si erge a strenuo difensore della narrativa gialla, che assolve dalle infondate e banali accuse di pericolosità e immoralità mosse dalla censura fascista.

“C’è da tempo, sott’acqua, la questione grossa se il «giallo» letterario sia morale o immorale, s’esso inquini le menti e le coscienze e, soprattutto, finora s’è detto soltanto che occorre proteggerne la gioventù come dalla varicella e dal morbillo. (…) Ma può questo genere di letteratura influire in modo malsano sui lettori? Lo può, certo; ma non più di ogni altro genere letterario. Il romanzo giallo può indurre al delitto? Oh, io non lo credo (…). Ma, ad ogni modo, per la stessa ragione e con la medesima forza, i romanzi di Bourget possono spingere le mogli all’adulterio; quelli di Prévost le fanciulle alla perversione; quelli di Zola gli uomini all’abbruttimento. E perché non dire che le commedie di Pirandello potrebbero dolcemente, insensibilmente, per un vialetto di rose ed anemoni, condurre qualcuno alla follia? (…) Hanno chiamato questo diffondersi dell’amore per il romanzo poliziesco un vizio. No, lasciatemelo dire. Non esiste un vizio giallo”.

De Angelis si dichiara “scrittore professionista di gialli” e afferma: “No, davvero, signori, non ho rimorsi a scrivere oggi romanzi polizieschi. È un far versi anche questo. E se il rimario di cui ci si serve è il manuale di criminologia o il trattato di Tardieu sui sintomi e sul decorso dei veleni, siamo sempre poeti”. 

Il giallo è per lui il genere letterario più adatto ai tempi moderni, in cui non c’è più tempo per la contemplazione. “Il riposo della mente non è fatto per la nostra epoca in cui si vola in un’ora da Milano a Roma e in cui tutta l’umanità è afferrata dall’ingranaggio turbinoso di un’esistenza di lotta continua, immersa in un’atmosfera di palpitazioni elettriche, di brividi meccanici, di rumori metallici”. Perciò il lettore bisogna “scuoterlo di nuovo e subito, atterrirlo e frustrarlo, farlo correre col cervello, con le gambe”. Ma c’è altro. “Nel romanzo poliziesco ci riconosciamo quali siamo: ognuno di noi può essere l’assassino o l’assassinato”.

Con De Angelis il poliziesco italiano si arricchisce di uno straordinario commissario di pubblica sicurezza: Carlo De Vincenzi, dotato di profonda sensibilità e di rare virtù d’induzione e deduzione, è, come il suo creatore, “un poeta”. “Per questo ho fatto il poliziotto – dice di sé – perché forse sono un poeta (…). Io sento la poesia di questo mio mestiere, la poesia di questa stanza grigia, polverosa, di questo tavolo consumato, di quella povera vecchia stufa, che soffre in tutte le sue giunture, per riscaldare me. E la poesia del telefono! La poesia delle notti di attesa, con la nebbia sulla piazza, fin dentro il cortile di questo antico convento, che oggi è sede della Questura e ha i reprobi al posto dei santi!”.

Sensibile all’influsso della psicoanalisi, tanto da sostenere che “per scrivere un romanzo poliziesco, oggi bisogna conoscere Freud”, De Angelis attribuisce al suo personaggio una profonda conoscenza psicologica, unita alla convinzione che ognuno agisce soltanto “com’è capace di agire” e che “il delitto è una derivazione della personalità”.

All’acume psicologico di De Vincenzi, lo scrittore affianca la praticità di Curti Bò, investigatore privato, un buffo omino dagli abiti ricercati e dal volto da faina, “teso in avanti come se fiutasse in sempiterno”. Una sorta di doppio di De Vincenzi costruito per parodia.

Arrestato nel 1943 con l’accusa di antifascismo, De Angelis, uscito dal carcere, pochi mesi dopo viene aggredito da un repubblichino e muore per le conseguenze del pestaggio.

 

A lungo dimenticati, i suoi romanzi, di indubbia qualità letteraria, sono stati riscoperti nel 1963 da Oreste del Buono e resi popolari dai fortunati sceneggiati televisivi interpretati da Paolo Stoppa negli anni Settanta. A partire dal 2002, Sellerio, imitata da altre case editrici, ne ha ripubblicati molti, tra cui: Il mistero delle tre orchidee (2002), L’Albergo delle Tre Rose (2002), Il mistero di Cinecittà (2003), La barchetta di cristallo (2004), Il candeliere a sette fiamme (2005), L’impronta del gatto (2007), Giobbe Tuama & C. (2008), Il banchiere assassinato (2009), Sei donne e un libro (2010), Il canotto insanguinato (2014). Tre romanzi della serie sono stati anche riuniti nella collana “Galleria” con il titolo Il commissario De Vincenzi.




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