Dal caos all’ordine: il mandala secondo Jung.
Elio Scarciglia, rosone Cattedrale di Orvieto

Dal caos all’ordine: il mandala secondo Jung.

diElisabetta Baldisserotto

In questi ultimi anni sono usciti, presso Bollati Boringhieri, due libri che hanno riportato l’attenzione su un tema molto caro a Jung, quello dei mandala: L’arte di C. G. Jung (2018) e Tesori dell’inconscio. C.G. Jung e l’arte come terapia (2019).

La parola mandala, di origine sanscrita, significa ‘cerchio’, nell’accezione di recinto sacro che rappresenta, al tempo stesso, il centro e l’unità del Tutto. L’immagine circolare è contenuta o contiene altre figure geometriche (quadrati, croci, ottagoni, triangoli, stelle o altro) spesso insieme a elementi figurativi. Molto usata nelle tradizioni induiste e buddiste per scopi meditativi e rituali, si ritrova anche nell’arte cristiana (mandorle bizantine, rosoni, pavimenti musivi, ecc.), ma la sua origine viene fatta risalire addirittura al paleolitico. “Cose che hanno radici così lontane nella storia dell’umanità, come i mandala – scrive Jung – toccano naturalmente gli strati più profondi dell’inconscio e hanno la capacità di far presa su di esso, laddove il linguaggio cosciente si rivela completamente impotente”.

Lo psicologo svizzero iniziò a interessarsi a questi simboli nel 1917, considerandoli “archetipi della totalità”. Ne disegnò egli stesso una serie e consigliò di farlo anche ai suoi pazienti.

In generale, Jung incoraggiava i pazienti a riprodurre i loro sogni e le loro fantasie mediante il pennello, la matita o la penna, affinché instaurassero un dialogo con le loro immagini interiori.

Lo scopo di tale pratica non era insegnare un’arte, ma produrre un effetto psichico, innescare un processo di conoscenza e trasformazione del proprio mondo interno attraverso un’attività ad alto contenuto sensoriale che produce ripercussioni sia sul corpo che sull’anima.

Nel caso dei mandala, il loro effetto è creare un ordine interiore. Poiché esprimono l’idea di un rifugio sicuro, della conciliazione degli opposti, disegnarli ha un effetto pacificatore sulla psiche, soprattutto quando ci si trova in uno stato di confusione o di conflitto.

“Che queste immagini abbiano, in circostanze determinate, considerevoli effetti terapeutici sui loro autori, è un fatto empiricamente constatato – afferma Jung – e anche facilmente comprensibile, in quanto esse rappresentano spesso un tentativo molto audace di cogliere e sanare contrasti apparentemente inconciliabili e di superare divisioni apparentemente irriducibili. Già un mero tentativo in questa direzione ha di solito un effetto benefico, a condizione però che avvenga spontaneamente. Da un’artificiosa ripetizione o da una deliberata imitazione non c’è da attendersi nulla”.

Una pratica molto più impegnativa, quindi, di quella di colorare mandala pre-disegnati diffusa dai libri antistress oggi tanto di moda.

Il fulcro del mandala, il suo centro, non è l’Io, ovvero la coscienza, bensì il Sé, cioè la totalità della psiche conscia e inconscia e, al tempo stesso, il centro della personalità, il punto focale dell’anima a cui tutto è correlato, da cui tutto è ordinato e che è fonte di energia. Un’energia che “si manifesta in una coazione pressoché irresistibile, in un impulso a divenire ciò che si è”. Il mandala, infatti, persegue anche la finalità creativa di dare espressione e forma a qualcosa che ancora non si è manifestato e che deve emergere.

Il processo attivato dal mandala è quindi, a giudizio di Jung, un “tentativo di guarigione da parte della natura stessa”. Tentativo che non deriva da una riflessione cosciente, ma da un impulso istintivo, perciò molto più profondo.

Tesori dell’inconscio raccoglie una serie di mandala disegnati da pazienti di Jung che si trovavano in uno stato di disorientamento o di dissociazione psichica o la cui visione del mondo era alterata e confusa dall’irruzione di contenuti inconsci incomprensibili. La serie mostra chiaramente come “l’ordine severo imposto da un’immagine circolare come quella mandalica compensi il disordine e la confusione dello stato psichico: e ciò attraverso la costruzione di un punto centrale al quale è correlata ogni cosa, o di una disposizione concentrica del molteplice, dell’opposto, dell’inconciliabile”.

Come già detto, il potere ordinatore del mandala Jung l’ha sperimentato anche su di sé. L’arte di C. G. Jung, infatti, riporta ventinove abbozzi di mandala da lui disegnati durante un periodo di caos emotivo nell’estate del 1917 e che confluirono in una bellissima serie di mandala dipinti per il Libro rosso. Grazie a questo lavoro “mi fu sempre più chiaro – afferma Jung – che il mandala è il centro. È l’espressione di tutte le vie. È la via al centro, all’individuazione. Non vi è un’evoluzione lineare; vi è solo un andare intorno al Sé. Questo convincimento mi diede stabilità, e un po’  per volta ritornò la mia pace interiore. Sapevo che nel trovare il mandala come un’espressione del Sé avevo raggiunto ciò che per me era il vertice. Forse qualcun altro ne sa di più, io no”.

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