Epistole Sarde: Il Paradosso della Distanza
La raccolta poetica Epistole sarde, pubblicata da Il Convivio Editore nel 2025, si presenta come un’opera di arguta intelligenza formale ed emotiva. Ofelia Prodan e Daniel D. Marin, affiatata coppia letteraria tra la Romania e l’Italia, producono un testo che è molto più di una semplice corrispondenza in versi: è un complesso e sfaccettato saggio sulla memoria, la distanza e, soprattutto, l'impossibilità dell'oblio sentimentale. Insomma, per dirla con Chiara Valerio, “il testo da subito è una favola, poi diventa un carteggio quasi allegro, nonostante tutto”. Come ha ben mostrato Laura D’Angelo nella Prefazione, il tessuto lirico del testo è rappresentato da un gioco di riflessi a cui evidentemente i due autori sono abituati a riferirsi, per “rivelare la vertigine della contraddizione”. Scrive ancora la D’Angelo: “Prodan e Marin traducono in poesia le contraddizioni e i drammi della contemporaneità attraverso un registro drammatico sapientemente diluito in frammenti di realtà da cui emerge, con straordinaria intensità, l’isolamento e la profonda solitudine dell’uomo moderno, sempre più incapace di autodeterminarsi all’interno di una realtà inaccessibile e innominabile, liquida e inafferrabile, che fagocita identità e aspirazioni”.
L’architettura drammaturgica di questo Castello di Atlante in versi è costituita da una solitudine forzata ma voluta, come se le parole fossero state scritte per sancire il distacco, per recidere il legame, ma per tutta risposta ad ogni verso il risultato è che l’altro emerge con una forza spiazzante, come una presenza ingombrante. Il lettore è testimone di questo paradosso.
L’elemento fiabesco, dicevamo, permea con leggerezza l’opera creando forte straniamento nel gioco prospettico dei due mittenti, di cui unico fine è solo la descrizione del vero.
Essendo un testo in traduzione, è fondamentale l’operazione di Irina Țurcanu e Paola Sini che ne mantiene saldi il tono dialettico e l’equilibrio tra distacco e memoria, perdita e presenza.
amica mia, ieri al mio risveglio/ non ero più nella mia vecchia camera sull'isola,/ mi sono ridestato a casa nostra/ e appena aperti gli occhi/ mi hai domandato cosa desiderassi per colazione,/ cosa che non avevi mai fatto prima,/ così ho pensato fosse solo un bel sogno/ e che potessi sognare giornate intere/ e ho sognato e sognato che mi accadevano/ cose che solitamente non mi accadono,/ desideravo non svegliarmi più,/
specie perché tu acconsentivi a ogni mio capriccio/ e non mi sgridavi come tuo solito/ ché non do segni di vita/ e che presto mi trasformerò/ in un eremita sciupato e scorbutico,/ ma al solo pensiero di perdere la borsa di studio/ e non gioire più delle palme sull'isola/ mi sono morso la lingua nel sonno/ e dal dolore mi sono svegliato nella mia vecchia/ camera sulla mia cara isola,/ ho ripreso a studiare seriamente,/ anzi ho deciso di non risponderti più al telefono,/ anche se mi sembra di sentirti ché sono/ solo un povero eremita sciupato e scorbutico.

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