
Fenomenologia del sacro: Il carisma della fede nella tradizione ebraico-cristiana e buddhista
(‘Permettetemi di essere presso di voi. Questo è il mio Nome’-Es 3:13-16).
Ho volentieri accolto l’invito di Giansalvo Pio Fortunato amico, poeta,filosofo del linguaggio e critico letterario, seppur giovanissimo, ad esserci nel prossimo convegno (il 13 di giugno) su Sacro e profano in san Marcellino d’Aversa per dare un contributo alla discussione in atto in ambito teologico, filosofico e biofilosofico su un argomento (in realtà una molteplicità di argomenti) che riguardano la ‘Teologia della grazia’, del come e del perché le maggiori religioni conosciute, sistematiche, abbiano parallelamente e separatamente dapprima, in confronto poi, intrapreso un cammino di studi, ricerche e sistemazioni ‘teoretiche’ di alcune questioni aperte sul tavolo della dogmatica e della pragmatica delle religioni, linee comuni di una complessissima intersecazione ma che riguarda il fior fiore della speculazione sulla e della ‘Teologia della Grazia’. Fino a 20/30 anni fa la parola ‘Teologia’ non era vista di buon grado in ambito religioso e della speculazione religiosa, in quanto rea secondo una scuola di sacralità del protagonismo iconologico detta del ‘popolarismo religioso’, di eccessivo ideologismo e dottrinarismo. Il che in parte è vero se per Scuola della Dottrina s’intende dire di un non facile accesso della parola ai sentimenti comuni dei destinatari primi del fatto religioso, i ‘fedeli’ di coloro che credono per fede alla parola del divino. Nel caso specifico della Rivelazione di Dio che accomuna Ebrei, Cristiani e Musulmani che fanno capo ad una unica discendenza evenemenziale:la discendenza abramitica; e della ‘Rivelazione indovedica e Buddhista’ . Ma restano comunque nodi interpretativi di non facile comprensione come ben s’ avvide un dottore della Chiesa cristiana, San Tommaso d’Aquino nel pieno di un dirompente fiume di pensiero religioso tra il misticheggiante,l’eretico e un paganesimo che faceva capo alla commistione tra Vescovi e Conti , tra il Potere laico imperiale e sacro della chiesa romana, propria del Cristianesimo Costantiniano. Movimenti monacali, spesso neopagani, di monachesimo orientale,di figure filosofiche e teologiche, che di Curiale ormai non avevano più nulla se mai lo avessero avuto. Un processo di schismogenesi che riguardavano parallelamente l’ebraismo, la fede dell’ Arabismo Musulmano e le scuole di fede Buddhista, dalle origini fino ai nostri giorni. Niente di scandaloso ma certo che poneva ai fedeli, ai sacerdoti del rito, e alle scuole di filosofia della religione, non pochi quesiti. Non è mio compito in questa occasione ripercorrere le lotte scismatiche e le guerre tra fazioni e scuole di tutte le religioni classiche conosciute, un rompicapo enorme anche se spesso istruttivo. Le scuole teologiche cristiane, ebraiche, musulmane e buddhiste facevano a gara nelle Università, nelle Madrasse, nelle scuole del Midrashim ebraiche, nelle scuole di insegnamento del Buddhadharma in Oriente, all’ esegesi del testo e della tradizione orale e alla conseguente battaglia su argomenti di sottilissima dottrina ed interpretazione. Ma dentro un coacervo davvero inestricabile rimase sempre vivo la questione delle questioni esposta chiaramente fin dai tempi di Agostino d’Ippona per i Cristiani, di Nagarajuna per i fedeli dell’insegnamento del Buddha, fin dai tempi dei due scuole rabbiniche di Hillel e Shammay, di Al Gazali e Avicenna e ancor prima di Averroé che il Gran commento feo (“Averroè che 'l gran comento feo” è una citazione tratta dalla Divina Commedia di Dante, nel quarto canto dell'Inferno. Si riferisce al filosofo arabo Ibn Rushd (1126-1198), noto anche come Averroè-÷>Il Trattato decisivo sull’accordo tra filosofia e religione). Un dibattito che arriva sino a noi, sino ai nostri giorni spesso confinante con guerre e conflitti che sembra uscito quasi intatto, ma così non è, pari pari da antiche e memorabili querelles filosofiche e religiose, come se modernismo e positivismo non fossero mai esistiti.
E in realtà è così perché alla domanda cosa sia la fede e cosa sia la grazia, tranne balenanti risposte quasi dettate direttamente dalla mente divina, nelle diverse lingue e parlate dall’umano genere, poche risposte hanno il sapore di una possibile verità, nel senso di Warheith, di apparizione, di manifestazione del vero ovvero per meglio dire quella incompresa aletheia,uscita dall’oblio, la rimemorazione di ellenica memoria, risposta ad un quesito che apparentemente non ha risposta perché seppellito nella memoria più antica dell’uomo quasi come ricordo di una coabitazione col divino. E che si ritorni a quella coabitazione è in realtà l’ammissione del nostro esilio dall’Ille, dalla ‘qual cosa’ nasce la nostra volontà di esserci dentro la casa comune come da padre a figlio e da madre a figlia e viceversa. E abbiamo solo il linguaggio con cui esprimerlo, non ce ne è un altro, quello della fede, dunque la teologia della Grazia e’ di fatto la teologia della Fede, vale a dire la messa in opera di questa abitazione comune, la nostra coabitazione nella casa comune. La cui comprensione passa per un ‘intuire’, un andare dentro le sue braccia infinite,un andare dentro, un intus ire. In Dogen Zenji è questa ‘mistica/realistica’ immersione,farsi vuoto per ricevere, Kannodoko, per San Paolo è la voce che si fa carne, spirito creatore :veni spiritus creator, recita il mantra cristiano, e ‘Nel suo nome si fece la luce’ l’incipit del Genesi ebraico, ‘e l’essere primo per se’ di Averroistica/aristotelica dizione, la sfera infinita, l’innominabile invisibile sua presenza presso di noi, la sua gratuita benedizione. Il farsi segno della vita interiore: il fruscio vitale come quella della foglia sull’albero, il respiro del mare sulla sabbia. Fisicamente un’onda di frequenza, la più piccola entità dopo o prima del nulla : ~ (1/f), soffio del vento. Che si dica in un modo o in un altro, o che non si dica affatto, è in ogni caso ‘benefico amore’. La carezza dell’altro: Xharis, Grazia, Gratuità per virtù dello Spirito santo.
Il paradiso del nirvana esiste? Il trono e la corona degli angeli esistono? Importante fino ad un certo punto. Nella fenomenologia del sacro esiste una lingua dei segni, come ci ricorda Romano Guardini, una simbologia con metafore e luoghi che riguardano le manifestazioni del sacro, il suo topismo, che segnalano simbolicamente una ispirazione e un desiderio, che in ogni caso quei luoghi del sacro (templi,chiese, pagode ,scritti,miniature lingue stesse del sacro,videoscrittura e punzonature) indicano rappresentano una ricerca semiologica ed estetica di grandissima qualità espressiva e significativa al limite del grandioso, segnalata dalla estetica teologica come la via privilegiata dell’ espressione del sacro ove l’ antica memoria di questa coabitazione col dio diventa manifestazione di quel luogo e di quella fede: la via del cuore (cardia è crd,il credere al di là di ogni ostacolo teoretico). Come se il richiamo del che, del quid, seppur minimo sia una significanza di qualche cosa d’ altro. In quel caso parliamo di un ascolto,di una attenzione,di una sottilissima percezione,di un sentire un qualcosa che sia non immagine ma costruzione simbolica di un esserci di un 'ovunque' ciò che la Qohal chiama shekina,la presenza assenza’ di quel qualcosa che chiama all’ ascolto,minimi segnali che vengono dall’ adesso di una vita che parla di un aiei, di un per sempre ,una eternità vissuta solo attraverso tracce ed indizi(quel sapere indiziario tanto per esser chiari, apparentemente marginale, descritto da Carlo Ginsburg in Miti emblemi spie. Morfologia e storia ) che rimandano la coscienza ad un altrove e che per 'satori' , risveglio di riverbero cosmico, diventa prima attenzione e poi dopo un percorso sintattico ( il cammino di una fede di riconoscimento di quel sentiero in cui ogni passo diventa, come una serendipity tra realtà e metafora di quel che intuitivamente ci appare senza alcuna parola), segnali,segnavia e poi segni sempre più chiari,che ci inducono sempre più certezza fondata su una esperienza interiore. L’ interiorità diventa dunque quel luogo psichico di quel sentimento e di quella esperienza,diventa una abitazione e una prossimità quasi logica, quella casa comune luogo comune in cui la fede cova il sorgere del tempio interiore, che chiamiamo con / templazione in cui l’uomo e d.o si guardano in faccia come in uno specchio (Libro di Giobbe, Hokyozanmai) : Buddha gotra , shakn, tenda dell’incontro, tabernacolo,dove il seme della natura del divino prende dimora e poi linguaggio di quella presenza e col tempo nel cor dentro ci detta strani algoritmi , che mutano i codici di riconoscibilità di questa altra condizione,questo ardore che scalda il cuore e questo ' ovulo' che schiude il senso ad altro,come san Paolo e Dogen zenji seppero per primi riconoscere: ‘Non sono io che parlo ma la voce di colui che e' dentro di me '- ‘Dovete riconoscere l universo di segni e lettere nell’ essere cosmico e in voi come linguaggio dell’ illuminazione ,come riverberazione della sua presenza', Kannodoko'.
Di questo seme , di questo segnosoma,di questa bioinformazione, di questa inseminazione divina, sarà la cura di una crescita di un pleroma ,di un involucro che diventerà ' coscienza’ ,così in Paolo,in Agostino e in san Tommaso, in Dante Alighieri, nell’Innominato di Manzoni,poi in Romano Guardini, quasi doppia identità della scuola Yoga Chara della prima teologia buddhica, di Bodhidharma e del Sutra del diamante, del Sesto patriarca fino al sutra del Loto,di Dogen zenji e Deshimaru: coscienza Alaja(coscienza deposito) e Hishryo, coscienza assoluta universale, ed infine di Taiten Guareschi. Non è da meno, portando l’assunto nella epistemologia del sacro, ne Jung,ne Winnicot,ne Simon Weil, ne Roberto Calasso.
In Nachmanide,Luria e Sadia Gabon , Abulafia e il Maharal di Praga, fino a Walter Beniamjn, Simone Weil e Franza Kafka, tutto questo diventa dichiaratamente la lingua di Dio. Di questo risveglio alla lingua di D.o in noi ce ne da una altissima testimonianza Leopardi nel Cantico del gallo silvestre. Di questo lavorio interiore ed esteriore di padre e figlio,di madre e figlia (la coscienza ewaica del mondo e di d.o) di questa riconnessione dell’ infinitamente grande e dell’ infinitamente piccolo, questa riconnessione e riconoscimento reciproco, tra il primo e l'ultimo ,tra la quantum sfera e la sua potenza di Omega , ne da la certificazione lo stato di grazia donata e ricevuta, solo perché il farsi vaso di accoglienza, la vacuità relativa , la kenosi lo permette.
In questo senso dobbiamo intendere lo Shabat, l’assenza di alcun lavoro, teorico e pratico, il farsi riposo, attesa di quel che verrà, come nel primo Shabat l’interruzione di ogni tempo e di ogni agire,permettendo al tempo di ora, il nun kairòs di Paolo di Tarso come tempo della Grazia, di farsi tempo e spazio dentro di noi e fuori di noi, il farsi vaso di dantesca memoria nella Invocazione ad Apollo nel primo canto del Paradiso. Il sabato dunque come giorno di festa e di gioia, come nel bellissimo Il sabato del villaggio, ancora di G. Leopardi. Solo in questo senso dobbiamo intendere il ‘messia’, come tempo messianico della Grazia. Come tempo di riposo, di vuoto da ogni fatica, nella evenienza dello Spirito Santo. E’ un lungo cammino, ma non così lungo da non permettere il suo riconoscersi a noi,perché nel frattempo è tutto cambiato nel corpo di Realizzazione. Questa riconnessione e' teshuva in ebraico, il ritorno al Padre del Cristo, del corpo di resurrezione nel Buddha infinito,la sua coscienza Hishiryo ove opera Chesed, la grazia, la gentilezza d’animo e lo spirito compassionevole , nella tradizione messianica ebraica,cristiana,nel Buddha che verrà, il Miroku Butsu nella tradizione buddhica, e nella tradizione del nome santo di Allah come sua presenza sulla terra: Allah Akbar come suo Nome santo. Del corpo di Gloria (Sambogakaya) e di Resurrezione (Restitutio ad integrum), nell’abitazione presso di noi del suo Nome santo, di questo si tratta. Un lungo cammino sul sentiero della Grazia,un permanere poi dello spirito di D.o presso di noi. ’Permettetemi di essere presso di voi’ questo è il nome santo che d.o rivela sul monte Sinai ad uno sbalordito Moshé parlando di se stesso: Eyeie eye, io sarò sempre presso di voi, se lo vorrete.
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