Gradienti di Elena Cappai Bonanni

Gradienti di Elena Cappai Bonanni

diVincenzo Crosio

La poesia è un’impresa difficile, una specie di strano sentiero sulle brulle montagne, ove c’è più pietra che erba, su cui speranza ed intelligenza declinano altre grammatiche, immaginano altre sintassi. Difficile trovare questi addensamenti semantici di cui ci appropria Elena Cappai Bonanni nella poesia contemporanea e moderna. Dico la verità, non si offendano le bravissime poete mie amiche che pur sono brave e bravissime nella composizione, ma questo testo andrebbe studiato, ripercorso verso per verso come quelle verità difformi che, citando di nuovo Deleuze in Rizoma come nella splendida post fazione di Chiara De Cillis, sono proprie di un linguaggio che scava nella roccia, ritorna in superficie, si ripresenta con un ritmo suo proprio. Ritmo è questo, ma non sempre melodia, anzi nelle forre il ritmo diventa cadenza, possibilità di scorrere, ritrovare spazio. La prima cosa che mi viene in mente, è che la poesia di Gradienti crea degli spazi metrici secondo un topismo che non è simbolico ma cartografico, una mappa di Renè Thom dentro aferesi, zoppie, meditazioni sull’essere delle cose mai scontate. Il ritmo spezzato, frammentato, con notazioni dentro e fuori sopra e sotto il testo che è appunto una cartografia sentimentale ma dentro una epistemologia semantica ben precisa, evita lo scorrere inutile, compulsivo delle parole. La poesia di Elena Cappai Bonanni è questa scarnificazione che non testimonia di un senso, di un significato ma come dire di ferite dell’anima. Che segue splendidamente un A, un B, un C, un due punti come se le parole e le pause(più pause spesso che parole) siano morfemi di una nuova sintassi.

Non so se ci sia in questo una composizione atona tipica del minimo comune denominatore di John Cage, non saprei dire ma mi sembra si avvicini ad una composizione jazz ma prima del jazz come spiega Mingus in  A modern jazz symposium of music and poetry, ed è qualcosa di più, un soffiare il fiato dentro un sassofono o una tromba senza una direzione, tipo alcune fasi della musica di Miles Davis o John Coltrane, dove ogni frase musicale apre e chiude, ripeto apre e chiude mondi raccortocciati come nel miglior Montale dentro aforismi e citazioni. Faccio fatica a trovare un equivalente nella poesia contemporanea e moderna, dico la verità. Certo se i referenti sono Majakovskij, Chelbnikov, c’ è da riflettere, ma nemmeno mi quadra. Quindi non mi resta che una chance, riprendere la semiologia di Julia Kristeva in La rivoluzione del linguaggio poetico e del suo maestro Roman Jacobson e l’Opajaz, per dire che ogni fonema, morfema è già poesia, frammento di una tessitura schizomorfica, ma questo perché il senso è un altro, non retorico ma esistenziale, così come parla la nostra coscienza deposito. Un linguaggio spesso puntiforme, rimemorativo di un altro essere nel mondo,fino a veri e propri frames di non astratte neolingue.

Nel segno residuale di un eyeliner

 chiude gli occhi pasta scura

ricorda il vocabolario basico 

sul tavolo piegato a caso, scruta 

i cartoni in gran numero la sera 

sdraiati sul bordo strada, dove passi

cantando - come un incidente

 ancora da verificarsi. 

Già, il verificarsi non è un evento ma sono serie, catene di significati asignificanti, e qui siamo al dunque: scrivere in questo modo è frutto di un lavoro enorme sulle due facce del lessico, quello esterno e quello interno, in modo che questi universi linguistici alla deriva poi trovano in una forma/non forma la loro momentanea sistemazione. Qualche barlume parlerebbe di neo avanguardia letta e riletta, ma io non sono d’accordo. La poesia di Elena Cappai Bonanni, è il prodotto di estreme scarnificazioni con un bisturi che non sai se siano coscienti o incoscienti,  o tutte e due messe insieme. Qualcosa già in Diane di Prima e Anne Sexton, frammenti di parole costruiti sulla riva di un fiume carsico. Strutture del pensiero che parlano secondo Jury Lotman in modo asimmetrico. Ecco l’asimmetria significante è la chiave di lettura di questa splendida reverie poetica. Quasi novella Cassandra pitagorica (e non è poco) che rifa il catalogo delle navi di omerica memoria, secondo altri criteri, rivoltandone il senso, secondo schemi pre-logici, algoritmi significativi di una sapienza, che marginalizzata dalla sciocca modernità, trova invece qui altri linguaggi. Questo è Gradienti di Elena Cappai Bonanni.


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