Hayat Şami: la voce mistica della diaspora azera
Un ponte tra Baku e Istanbul
Autrice di quattro raccolte poetiche e di numerose traduzioni dall’inglese e dal russo, Hayat Şami vive oggi a Istanbul, città che nelle sue opere diventa rifugio, confine e rivelazione. Ho tradotto e analizzato alcune sue poesie per i lettori italiani.
Il respiro del divino
Alla luce di Sheikh Zahed Gilani
In questa poesia, Hayat Şami alterna linguaggio mistico e amore terreno, fondendo il lessico spirituale islamico (Sheikh, tovbe, hulool) con una voce femminile contemporanea e vulnerabile. La struttura libera e le ripetizioni evocano il ritmo del dhikr — la preghiera sufi che, attraverso la ripetizione, trasforma la parola in elevazione dell’anima.
Alla luce di Sheikh Zahed Gilani
Hai catturato la mia attenzione —
alla luce di Sheikh Zahed Gilani.*
Ora la tua immagine scorre nelle mie vene.
Se mi vedi, sono Eva, cacciata dal paradiso;
se non mi vedi, sono la mia stessa battaglia.
L’altro giorno hai legato un filo
al mio dito indice —
“Lā ilāha illāllāh!”
Se tirerò quel filo, l’alba si spezzerà,
se non lo tirerò, resterà nodo in gola.
Mi hai mostrato un albero
nel cuore dell’autunno —
non era come gli altri alberi.
Quando ti vedevo, era germoglio;
quando non ti vedevo, era pioggia di foglie.
I tuoi occhi sono la porta del pentimento —
se li apro, sono la sposa che si purifica,
se non li apro, impazzisco per te.
Non sei il mio halal,
ma sei il mio hulool —
la discesa del divino in me.
Hai catturato la mia attenzione.
Ora le domande “tirare o non tirare”
mi annoiano.
Sei come l’occhio
che guarda attraverso le fotografie.
Mi chiedo dove tu sia ora.
Non cambiare forma,
resta in me,
non reincarnarti,
non andare.
…Non ti rimprovero per avermi lasciata,
aspetto solo il tuo ritorno.
Tornerai?
Non offrirmi dolcezze,
so che è difficile.
* Sheikh Zahed Gilani (murshid-i-kamil) è maestro sufi, simbolo della guida spirituale perfetta. L’“attenzione” qui è attrazione mistica: un richiamo dell’anima più che dell’occhio.
La poetessa vive l’amore come hulool, “discesa del divino”, esperienza di presenza spirituale che attraversa corpo e parola. L’amato diventa lo specchio del sé, l’assenza diventa invocazione.
Memoria e benedizione
Storia della vita di mia madre
Questa poesia è una litania della memoria, costruita attraverso immagini domestiche e sacre. Il tono è narrativo ma scandito come una preghiera. L’ultima frase — “Dio ha apprezzato la sua vita” — trasforma il lutto in benedizione: la morte non è fine, ma riconoscimento divino.
Storia della vita di mia madre
Avevo una madre.
I suoi capelli erano d’oro,
i suoi occhi verde chiaro.
Nel suo nido, cinque bambini
che somigliavano a piccoli colombi…
Era un’insegnante,
che stava o a scuola,
o a casa…
Aveva luce nella mente,
penne e quaderni tra le mani.
Nei suoi quaderni c’erano tanti bambini,
e nelle sue penne — dei voti.
Avevo un’amica.
Le affidai il mio segreto —
fu lei a leggere la prima
lettera d’amore che ricevetti…
C’era un uccello femmina:
costruiva il suo nido con i denti e con le dita,
portava il fuoco negli occhi,
l’acqua nel becco,
il latte nel petto…
C’era una donna
che lasciò suo marito nel 1999.
Da quel giorno
guarda le persone attraverso una lapide…
Era un essere umano:
nessuno si stancava della sua bontà
né delle sue parole.
Quando morì,
tutti piansero per lei.
Il Dio potente le aveva dato ogni cosa,
tranne la guarigione.
Avevo una madre insegnante.
Era diversa dalle altre.
Dio ha apprezzato la sua vita.
Hayat Şami racconta la madre come figura archetipica della bontà e della dedizione. L’intimità domestica diventa sacra, l’amore filiale si trasforma in memoria comunitaria.
Lingua, patria, esilio
Di venerdì
In questa poesia, la lingua è territorio di nostalgia.
Il venerdì, giorno sacro per la tradizione islamica, si carica di memoria e distanza.
Istanbul — città di ponti e confini — diventa teatro di un esilio interiore.
L’amato rappresenta al tempo stesso l’uomo e la patria: un luogo da cui si è separati ma a cui non si smette di appartenere.
Di venerdì
Ti mordi le dita quando le lacrime ti salgono,
e io resto in silenzio, ingoiando la mia lingua.
Dalle tue dita stilla miele,
dalla mia lingua stilla poesia.
Quando ti offendi
usi la finezza del tuo turco,
ma io ingoio la mia lingua sul Bosforo —
dimenticata nel caso vocativo del nome.
Colpisci la pietra con il pugno,
ed essa si frantuma.
Dalle tue dita cola la memoria del mio sangue.
Sotto ogni pietra appaio come un martire,
o come la mia lingua, la mia patria.
La mia patria, per cui darei la vita,
è come il mio stesso corpo.
La terra straniera è un rimprovero.
Ripeti senza sosta le dolci parole del tuo turco —
e anche se vivessi una vita agiata,
non potrei mai dimenticare la mia lingua madre.
Mi chiedi di prenderti la mano,
ma non riesco a dire una parola.
Le tue dita sanno di patria,
le mie mani volano per la nostalgia.
E mentre restano sospese nell’aria,
sento il seladan recitato nella moschea,
sento che la nostalgia si dissolve
in un venerdì a Istanbul.
La poesia costruisce una doppia geografia: quella reale (il Bosforo, la città) e quella interiore (la lingua madre, la fede). L’amore diventa atto di resistenza culturale: ingoiare la lingua per non profanarla.
Tra spiritualità e corpo, memoria e lingua, Hayat Şami restituisce alla poesia una funzione antica: quella di luogo della presenza. Nel suo verso convivono il canto sufi, la nostalgia della patria e la delicatezza di una voce femminile che non teme la vulnerabilità. Una poesia che parla a Dio e all’amore con la stessa voce.
Hayat Şami (Shamiyeva), Prof.ssa Associata, poetessa, traduttrice e studiosa, rappresenta una delle voci più intense e spirituali della letteratura azera contemporanea. Dottoressa in Filosofia e Storia, è membro dell’Unione degli Scrittori dell’Azerbaigian dal 1999. Per quasi vent’anni ha lavorato come ricercatrice all’Istituto di Storia A.A. Bakıkhanov dell’Accademia Nazionale delle Scienze dell’Azerbaigian.
Nel 2000 riceve una borsa di studio per giovani scrittori dal Leader Nazionale Heydar Aliyev. Dal 2004 al 2022 lavora come Esperta Capo presso il Consiglio Audiovisivo (RTÜK), le è stata conferita medaglia dal Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian.
Opere principali
Men (poesie, 2003)
Night Eyed Life (poesie, 2009)
Unwritten Poems (poesie, 2009, Ankara)
You Name It (poesie, 2017)
Religious-political movements in Azerbaijan (VIII–IX centuries) – monografia, 2019
With Istanbul Time (poesie, 2025)
Gedirik Agdama (romanzo documentario, 2025)

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