I colori della luce: una mostra di Luciano Schifano a Rio Saliceto
Nel 1906, appena un anno dopo aver inaugurato al Salon d’Automne la collettiva poi dispregiativamente detta dei Fauves, Henri Matisse realizza un'opera che può essere considerata un vero e proprio testamento visivo della sua pittura. Un tripudio di corpi rosa, azzurri, color arancio, abitano felici un'atmosfera in cui l'inverosimiglianza delle cromie non stona affatto con le sinuose movenze di queste figure e anzi ne rafforza l'effetto di "oltre ideale" in cui si avvera ogni umana consonanza. La joie de vivre è il titolo che il grande pittore francese scelse per questo dipinto divenuto il simbolo stesso della “gioia”, di una felicità dell’anima resa possibile dai segni e dal colore.

Nel gruppo di opere che abbiamo selezionato per la mostra di Luciano Schifano dello scorso settembre presso il Centro Culturale “Wildmer Biagini” di Rio Saliceto, emergeva la medesima fiducia nelle potenzialità della pittura, per lo più manifesta con un'inequivocabile tendenza a scelte cromatiche squillanti e fantasiose, non prive di espliciti riferimenti al mondo e alla storia dell'arte contemporanea. Nato in Libia, come il cugino Mario, Luciano Schifano (1943-2013) conclude la sua formazione a Catania e a Milano, per muoversi poi verso Roma e Firenze, città quest’ultima dove rimarrà per la maggior parte della sua esistenza. Il percorso è inizialmente da teorico, la laura in Storia dell'arte; ma il richiamo della pittura è forte per il giovane Schifano che già verso la fine degli anni Sessanta dimostra di aver sposato una matrice dichiaratamente espressionista, che non esaurisce in un didascalico realismo formale la sua esigenza di verità, ma che anzi rivolge alla più ricca dimensione dell’interiorità la sua indagine, estetica ed esistenziale.
La prima personale è a Parigi nel 1968 presso la Galerie St. Luc. I dipinti esposti mostrano una tavolozza ancora orientata verso gli scuri, benché il leggero fluttuare delle figure in uno spazio difficilmente definibile denoti una scelta stilistica molto più incline a rendere l’anima dei soggetti rappresentati piuttosto che a restituire una visione oggettiva della loro esteriorità. Al 1969 risalgono i primi “cavalli”, esseri dalle movenze addolcite e dai colori accesi che certo riportano alla memoria il tanto noto Cavallo azzurro di Franz Marc. L’espressionismo lirico di Kandinsky, Marc e degli altri artisti di Der Blue Reiter fu l’altro pilastro teorico, l’altra lezione assimilata dallo “Schifano pittore” della storia dell’arte europea; una lezione che certo portava con sé una disposizione tutta particolare a guardare il mondo attraverso le diverse sfumature del colore. Nel 1982 realizza, per il Sacro Convento di San Francesco, una serie ispirata al Santo di Assisi, tema che riprenderà tra il ’94 e il ‘95 in occasione della preparazione dei bozzetti per le vetrate della Chiesa di Santa Croce a Firenze, narranti scene tratte dal Cantico delle creature. Tra gli anni Ottanta e Novanta espone in tutta Italia, a Livorno, Lecce, Torino, Perugia, dove l’Accademia di Belle Arti gli conferisce nel 1988 il titolo di “Accademico di merito”. L’anno successivo è in Svizzera, al Palais des Nations, per un’importante antologica del suo lavoro intitolata, appunto, Luce e colore. Tra il 2001 e il 2002 è ancora in viaggio verso i luoghi che ama in Francia, Svizzera, Veneto, Puglia e Toscana, dove si trasferirà definitivamente. Il suo studio, organizzato all’interno di un’ex casa colonica a Cocchio, immortalato da una fotografia di Giò Belli poco prima della scomparsa, racconta una quotidianità semplice, immersa nella pittura, una pittura che parve all’artista e all’uomo Schifano l’unico mezzo per porre in essere, in questa realtà, una realtà migliore, densa di speranza, di generosità, di vita.
La piccola mostra allestita a Rio Saliceto ha voluto ricordare con circa 20 opere il percorso artistico di Luciano Schifano, un percorso dotato di straordinaria versatilità, capace di oscillare dal ritratto al paesaggio, alla natura morta, senza mai perdere la sua impronta identitaria e vitale. Un’arte che è ancora in grado di parlare superando i limiti del tempo e di una cornice dorata, di una luce autentica, da trovare forse oltre noi stessi.

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