Il gioco come elemento di divertimento e passione agonica, ma anche come ritualità arcaica.
Elio Scarciglia, processione venerdì santo, Gallipoli

Il gioco come elemento di divertimento e passione agonica, ma anche come ritualità arcaica.

diVincenzo Crosio

Il gioco ha un etimo antico in Jocus*.Dice un antico proverbio napoletano, (che è lo ricordiamo la città in cui si pratica il gioco del Lotto, numerologia dall’antica formulazione cabalistica dei numeri, che corrispondono ad altrettanti sogni, la smorfia napoletana) ‘chi gioca è pazzo ma chi non gioca è ancora più pazzo’ (chi joca è pazz’, chi nun joca è chiù pazz’ ancor’) che sembra un Koan zen. Dunque ci sono giochi, che in qualche modo mettono in ‘gioco’ un rischio, un azzardo:i dadi,i giochi di carte, i giochi di strada o del pallone ad esempio, in cui questa geometria dell’azzardo, di azzardare mosse,contromosse, abilità, vere e proprie geometrie balistiche che fanno dei partecipanti degli eroi, dei campioni o dei semidei. Il caso di un giocatore famosissimo, Maradona, che nell’immaginario collettivo sostituisce o affianca le divinità patronali di una città:-chi è meglio Maradona o san Gennaro? Dove il sacro e il profano vengono messi alla stregua, di qualsiasi gioco di bussolotti, dove l’uno e l’altro equivocamente coesistono. Ci sono poi giochi che risvegliano l’antica virya, la virtù del combattimento e dell’abilità guerriera. Chi si aspetterebbe che il Canto del beato, la Bagawad-Gita, in realtà sia un canto di guerra?Che l’anna viray sia un metro poetico di dieci misure che termina in una somma a zero?o1,o2,o3,o4,o5,o6,o7,o8,o9,oo.Con il suo azzeramento.E di nuovo d’accapo, e così via fino al numero infinito. In una voluta e una girata ( ‘na avutata e ‘na girata) che permette allo stesso verso di replicarsi come in un modello matematico, di 10 in 10, di 10 in 20 e così di seguito. Un algoritmo a sequenza geometrica dallo zero al numero infinito. Che guarda caso è la diagonale di Pitagora, filosofo e capo di una setta di monaci orfica, che nei numeri affidano la lettura del divino: il numero infinito periodico. Determinato dal ritmo, da un numero che si ripete (aritmos) costantemente, variando- Ma nel caso dei giochi di guerra, del teatro di guerra la sfida in questo caso è con chi e perché? Con una forma di potlach, dono generoso di se, che attiene al morire, alla morte in qualche modo cercata o solamente pensata come termine di una prova. Come nell’Hagakurè di  Yamamoto Tsunetomo, come il rex sacrificulus, il re che s’immola sul campo di battaglia, prima della battaglia lanciandosi tra le braccia del nemico presso i latini. Che a solo pensarci ci fa rabbrividire. Ma per le società antiche, la caccia, la predazione, la spoliazione, la guerra , il sacrificio eroico di se, era una pratica oltre che di ‘rischio’ anche di attivazione di potenze latenti. Come anche il tempo della pace erano segnati da questa giocosità, le Olimpiadi ad esempio, le Nemee. A leggere bene i sutra, spesso sonno inni guerrieri, cantati, ritmati, suonati con tamburi che sollecitano forza latenti, telluriche, ctonie, dionisiache e orfiche che siano,brahmaniche in origine, indovediche che siano,che appartengono al cielo e alla terra. A Urano e Demetra o all’abisso infernale. Il Daishin darani, sostanzialmente è un formulario che evoca la guerra e i suoi demoni, e la preghiera al Buddha che vede il pianto del mondo e ne da salvezza. I demoni della foresta e non dell’abitato, protetto dai diagrammi rituali scansioni geometriche e rituali in cui viene suddiviso, spartito il territorio- Nella foresta e non nell’abitato queste forze terrificanti sono presenti nell’aspetto di animali evolutisi come macchine di guerra, e divinizzati poi dai popoli che li frequentavano e li frequentano ancora. La tigre ad esempio è l’animale simbolo di questa ferinità indomabile, di questa wildness del vivente. Il lupo altrettanto,per non parlare dei vari serpenti cobra o costringenti che diventano animali totem e divinità ancestrali-.Presso gli indios peruviani, il dio è un meticcio, un JesusIncarry che insegna il sentiero dello giaguaro, come sua sapienza particolare.

Ma il gioco infantile che regno definisce, quale alterità definisce?Quello del Paisdom. Il dominio dell’infanzia sulla storia. Anacronismo vivente, il gioco infantile definisce le proprie regole, le proprie relazione come specchio in cui si riflette l’innocenza, il non nascere al mondo della menzogna, ma della pura essenza del non parlare. Tra parola accennata, ampi silenzi, il detto infantile, il suo essere esperienza del magico e dell’incantesimo trasgredisce ogni regola a suo piacimento. Il piacere dell’esserci equivale alla simbologia dell’eterno riprodursi della mente divina. Nella sua essenzialità, nella sua creatività infinita. Il suo inventarsi il mondo è l’atto poetico del dio bambino: baba wawa, che parla e non parla. Il suo essere un dire quasi balbuziente è il regno del pais, del bimbo che scherzando accenna al ludus ma come atemporalità divina. Il suo è un pazziare, fare pazzielle, fesserie,scemenze. Pais, bambino, dal verbo paizo, giocare con i giochi infantili, in cui ci si addestra al linguaggio e alla comunicazione: con i pezzi di legno, con la trottola infantile, lo strummolo, che gira incessantemente su se stesso, a disegnare in modo inappropriato, fuori luogo il suo essere privo di senso. Con le pazzielle, facendo di se stessi i burattini del mondo- Meravigliosamente sintetizzato nell’Hokyozanmai,un sutra antichissimo detto del ‘Rispecchiamento:’ Come un bimbo nel mondo dei cinque sensi compiuto non va, viene,si muove,dimora babawawa,parla non parla….L’uomo di legno comincia a cantare,si leva,danza la donna di pietra’. Cosi dice Huizinga, uno dei grandi esploratori della concettualità giocosa:

« [...] ciò non significa che il gioco muta o si converte in cultura, ma piuttosto che la cultura, nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco; viene rappresentata in forme e stati d'animo ludici: in tale "dualità-unità" di cultura e gioco, gioco è il fatto primario, oggettivo, percepibile, determinabile concretamente; mentre la cultura non è che la qualifica applicata dal nostro giudizio storico dato al caso.» j.Huizinga,Homo ludens.


Eppure anche lì, tra gli umani, e tra i viventi c’è un gioco vitale e mortale allo stesso tempo, anche il fascino di una inquieta e seducente bellezza: la ‘primazìa amorosa’, il fascino della seduzione e dell’accoppiamento, anch’esso gioco ma amoroso, la amorosa cura dei mortali come la definisce Ugo Foscolo.

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*(da Proto-Indo-European *yek, Yok- Indogermanico Jux, italiano Gioco,giuoco;inglese Joke ;il napoletano e meridionale yuok,da cui giocare, ma anche aggiogare, vincolare. Da cui con un passaggio fonetico da c>occlusiva ad una nasale,velare > g Yoga, il reciproco aggiogamento dell’uomo con la divinità, il suo congiungimento con la divinità. Ma anche gioco di parole, scherzo)


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