Il labirinto della parola
Stefano Negri, Monaci birmani

Il labirinto della parola

diCarol Guarascio

Sogno, poesia, mito. Sembrano questi i tre assi su cui si fonda la poetica di Cinzia Caputo, analista junghiana che si occupa di formazione e che fa del connubio tra arte e psicologia analitica il suo cavallo di battaglia.

Da Shakespeare a Freud, passando per Jung e Hillman, la Caputo analizza la sostanza del sogno. La sua idea di sogno è in realtà più vicina a quella di Hillman e cioè che il sogno e il testo poetico sono della stessa natura, ovvero entrambi sono da interpretarsi esclusivamente all’interno del luogo della loro manifestazione, senza che nell’osservazione vengano applicati criteri di razionalità e verosimiglianza. Ciò che è certo è che sono entrambi fenomeni che non hanno nulla a che fare con il quotidiano. Non spiegano niente del quotidiano.

Notiamo che la Caputo richiama spesso gli archetipi junghiani e riconosce che il mito consiste nella riscrittura eterna e ogni volta nuova delle storie raccontate da sempre: esso può dunque essere utilizzato all’occorrenza anche in funzione terapeutica. Il mito è infatti una spiegazione dell'esistenza che ci è già stata fornita ab ovo e che dobbiamo solo riscoprire e rielaborare nel corso della nostra vita.

Prima di tutto c’è stato il mito, il racconto simbolico: esso può essere decifrato una volta che sia stato raggiunto un certo grado di consapevolezza e avendo a disposizione gli strumenti conoscitivi adeguati.

Eppure, anche la poesia si basa su un linguaggio che usa simboli e archetipi dalla notte dei tempi. E dalla notte dei tempi, la poesia è strettamente legata al mito, perché fa di esso il suo soggetto principale, basti pensare ad Esiodo o ai poemi omerici che rappresentano la nostra letteratura, o quantomeno la letteratura a cui ci sentiamo più affini.

Narrazione meravigliosa, dunque, ma portatrice di una verità, anzi potremmo dire rivelazione, contatto con il divino, evento perciò per nulla diverso dall’esperienza estatica dell’ispirazione del poeta.

L’argomento relativo alla natura della poesia è stato sapientemente già affrontato da Maria Zambrano nell’importantissimo libro “Filosofia e poesia” pubblicato da Pendragon nel 2002 in cui l’autrice afferma che sarà un giorno felice quello in cui la poesia raccoglierà ciò che la filosofia ha appreso nel suo isolamento pieno di dubbi. Platone aveva infatti condannato la poesia ne La Repubblica, considerandola parola al servizio dell’ebbrezza, deviazione, perversione del logos. L’ispirazione è una possessione, un processo per cui un daimon occupa il corpo del poeta dominandolo: per questo motivo la poesia è stata confinata, costretta ad errare per il mondo. La causa di questo atavico scontro tra poesia e filosofia è che entrambe si sentono “figlie legittime dell’assoluto” e ognuna di esse crede di essere l’unica rivelazione trascendentale possibile.

Niente c’è di razionale dunque nella poesia, niente di quotidiano, nulla che sia stato semplicemente costruito con la mente.

Già nella pubblicazione “La porta sulla luna”, edita da Terra d’Ulivi nel 2021, Cinzia Caputo ha spesso fatto ricorso al mito nella sua silloge. Molte infatti sono le poesie che hanno come oggetto un personaggio mitico, come ad esempio:

Apollo

Tu sei l’uomo cattivo,

hai bello il volto

(direi perfino buono).

Veloce dentro il letto,

sibili e mordi, fai un po’ come Apollo.

Naso, lingua e denti - non sono sicura -

mirano al gioco o al collo?

 

Scrive la Caputo ne “Il labirinto delle parole”: «Virgilio racconta di un labirinto scolpito a rilievo sulle porte del tempio di Apollo e che narrava le gesta di Dedalo; una porta è di corno, l’altra è d’oro; una è la porta della realtà l’altra del sogno. Attraversare entrambe simultaneamente significa entrare in un labirinto in cui gli elementi dell’uno e dell’altra si intrecciano. Il labirinto pertanto nasce da una coniunctio tra il sogno e la realtà. Quello che accade appunto nella poesia».

La poesia, dunque, come primigenio linguaggio del mito, deve essere necessariamente riconosciuta come il linguaggio originario dell'uomo.

La poesia, dice Caputo, conferma la parola e le dà durata e memoria.

La parola, il linguaggio sono naturalmente convenzionali e occorre che tutti i parlanti siano in grado di decodificare ogni segno linguistico per comprenderlo, ma molte sono le dimensioni coinvolte ogni volta che avviene la comunicazione. Il linguaggio è concordato tra i parlanti e dunque simbolico. Lo stesso accordo è presente tra l’analista e il paziente e in questo rapporto basato sull’assoluta convenzionalità dei segni l’analista, al cospetto della narrazione del paziente, si affiderà necessariamente alla potenza espressiva della parola più che alla sua dimensione razionale e in questo gesto eserciterà lo stesso mestiere del poeta.

Sia il poeta che l’analista sanno che la parola è una potenza che attende di essere rivelata.



Il labirinto delle parole                La porta sulla Luna


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