Il sentiero della poesia (Con un ricordo di Pier Paolo Pasolini)
Elio Scarciglia, 'Sulla carta del tempo'

Il sentiero della poesia (Con un ricordo di Pier Paolo Pasolini)

diFranco Di Carlo

L'incontro con Pasolini avvenne nel corso di un evento da me ideato e organizzato dal sottoscritto e avvenuto nella Biblioteca Comunale di Genzano di Roma, l’11 Gennaio 1975. Si tratta di uno degli ultimi incontri pubblici di cui fu protagonista Pasolini in Italia: il discorso provocatorio polemico accusatorio apocalittico, anche qui, sembrò quasi purificarsi, per così dire, smorzarsi, nei toni delicati e pacati, nell'atteggiamento e nel comportamento mite e gentile, suasorio dello scrittore, le cui parole furono scandite in modo chiaro profondo, senza alcuna incertezza o dubbio. Emersero molte problematiche care a Pasolini, e caratteristiche dei suoi ultimi anni: la mutazione e rivoluzione antropologica; il nuovo valore, catartico, progettuale, sperimentale, testimoniale ed anche ricco di mistero, affidato alla sua "nuova" poesia, al suo nuovo cinema e romanzo, in fieri e in-finito, Petrolio (o Vas), onirico, frammentario, surreale e insieme realistico, mimetico, plurilinguistico e pluristilistico (Cfr. Petrolio, Torino, Einaudi ,1992). Pasolini parlò anche, termini provocatori, da giornalista polemista e poeta, del tema dell'aborto: infatti, pochi giorni dopo l'incontro a Genzano, esattamente il 19 Gennaio 1975, sul Corriere della Sera" ("Sono contro l'aborto"), Pasolini sviluppò ulteriormente e compiutamente, le sue posizioni critiche e anticonformiste, che aveva già trattato a: Genzano. Progettare metaforicamente "qualcosa di scritto" e "fare una forma" (Cfr. Petrolio, cit. pag. 19, Appunto 3C, Prefazione posticipata, III) Questa era l'intenzione dell'organizzazione strutturale e dello "schema di viaggio" (di matrice: dantesca), di Petrolio. D'altra parte, Pasolini li riteneva fondativi di nuove ed originali proposte stilistiche. Lo scrittore, a Genzano, non volle scendere nei dettagli e nei particolari di Petrolio, nelle sue peculiari strutture: infatti disse soltanto che stava scrivendo, da circa tre anni, un'opera narrativa molto ampia e articolata e pluristratificata, a cui avrebbe dato il titolo (di matrice paolina e ancora dantesca) di Vas o Petrolio. Nella copertina finale dell'Edizione Einaudi di Petrolio (1992), fu pubblicata una sorta di dichiarazione di poetica ed anche espressivo-esistenziale, da parte di Pasolini, che porta la data del 10 Gennaio 1975: il giorno precedente all'incontro di Genzano, a dimostrazione dell'importanza e rilevanza, in quanto documento storico (a tutt'oggi inedito) delle parole e del discorso di Pasolini.

"Ho iniziato un libro che mi impegnerà per anni, forse per il resto della mia vita. Non voglio parlarne, però: basti sapere che è una specie di "summa" di tutte le mie esperienze, di tutte le mie memorie". In realtà il sottoscritto aveva contattato Pasolini, tramite Giuliano Manacorda e Graziella Chiarcossi, pochi giorni prima del Natale 1974 e p-chi giorni dopo aver conseguito la laurea su Ungaretti e Leopardi. La disponibilità fu subito totale e convinta: si stabilì il giorno dell'incontro per il sabato pomeriggio. Quello stesso giorno la Chiarcossi mi comunicò che Pier Paolo sarebbe giunto proveniente dalla sua abitazione di Chia (VT) dove era solito, negli ultimi anni, svolgere la sua attività di scrittore. Così fu e, alle 17,30, arrivò alla Biblioteca Comunale di Genzano di Roma. L'intervento iniziale di Franco Di Carlo si basò in particolare sul tema "Letteratura e vita nell'opera di Pier Paolo Pasolini"; Giuliano Manacorda approfondì il significato profetico, apocalittico e millenaristico presente nell'opera teatrale Calderon; Vincenzo Mannino si occupò delle questioni stilistiche e metriche del leopardismo pasoliniano; il poeta dialettale Mario Faiolo Dell’Arco lesse brani tratti da Ragazzi di vita. Il dialogo e il dibattito con il pubblico (per lo più giovanile studentesco, ma anche giornalistico) fu serrato e approfondito. Pasolini ascoltò con interesse, e attenzione i quattro precedenti interventi, e rispose fino a tarda sera, a tutte le varie domande, sempre con pacata gentilezza e attenta profondità, incentrate su i suoi interventi luterani e "corsari", riguardanti l'edonismo consumistico e la conseguente omologazione di tutte le classi sociali e degli individui e quindi il nuovo e vero. fascismo; la tolleranza; il sesso; la scomparsa del mondo contadino; il nuovo capitalismo; la globalizzazione sociale; il nuovo  Potere; il rapporto con il Pci; ed anche la sostanziale sconfessione e rifiuto della sua precedente produzione letteraria, in vista di una sua nuova diversa idea ed espressione della letteratura, del teatro, della poesia, del cinema: la Divina Mimesis, La nuova gioventù, e sopra tutto Petrolio (o Vas); l'abiura dei tre filma della Trilogia della vita e l'apertura verso un nuovo discorso critico ed espressivo, con Salò e le 120 giornate di Sodoma, ispirato a De Sade e al periodo della Repubblica Sociale, in configurazioni simboliche, emblematiche e metaforiche del Nuovo Potere dell'Inferno Neocapitalistico. Infine, concluso l'incontro, si continuò a parlare e dialogare fino a notte, inoltrata, prima in una bettola di Lanuvio, poi in una trattoria di Genzano. Quello che colpì me, appena ventiduenne e neolaureato da tre settimane fu la totale sincera e amichevole disponibilità, al dialogo e all'approfondimento, non solo con i tre critici letterari intervenuti, ma anche e sopra tutto, con i giovani gli studenti, nonché con i giornalisti presenti, curiosi dell'attività letteraria e cinematografica di Pasolini.

Fu proprio Pier Paolo Pasolini, dagli inizi degli anni Sessanta fino alla morte, nel 1975, tra gli scrittori del secondo Novecento, e tra i pochissimi e forse il solo, a saper descrivere, analizzare, interpretare e giudicare i temi e le questioni della realtà storica, sociale e politica, e non solo letteraria, ma anche soprattutto etico esistenziale, e anche antropologico-culturale-linguistico. E lo fece rivolgendosi a maestri quali Marx e Gramsci, Adorno e Marcuse, Freud e Jung, Barthes e Lacan, Eliade, Propp e Jakobson e Bremond. E forse guardò anche, per quel che concerne l'omologazione e l'acculturazione antropologico-sociali e il "genocidio" operato dal Potere, a scrittori quali i "profetici” Orwell e Huxley. Ciò fu attuato da Pasolini tenendo conto di alcune considerazioni fondamentali e basilari riguardanti gli eventi di quegli anni postbellici, in particolare dalla fine degli anni Cinquanta in poi: il Nuovo Capitale, economico e tecnico, aveva teorizzato e realizzato il Consumismo Edonistico del Superfluo, che poi fu devastante, feroce, oppressivo, vorace e violento, e che aveva prodotto un falso sviluppo e nessun progresso vero né, quindi, le "magnifiche sorti e progressive", ma un Universo Orrendo. Le cose e le persone divennero invisibili (anche se ancora esistevano), poiché erano tutte morte in quanto controllate, omologate, massificate, acculturate, perdendo la loro distinta e distintiva individualità, diversità, specificità e libertà, che la avevano rese irripetibilmente uniche.

Tutto questo discorso  critico fu descritto interpretato ed espresso da Pasolini tramite una voce forte chiara e decisa, lucida e singolare ed uno spirito che fu unicamente suo: eretico, luterano, corsaro, suscitando fraintendimenti, incomprensioni e mistificazioni, ed anche intolleranza, ma pure consenso alla sua forza di pensiero, dantescamente eroico-combattivo e rimbaudiano: sempre vitale e costruttivo, solidale e passionale, ma anche luminoso e coraggioso, sempre mosso nella sua analisi, da una grande potenza intellettuale razionale e culturale ma anche volontaristica.

A quale posto e ruolo aspira oggi il poeta? Io credo che nel dare magnum, e dispersivo, dei Multimedia dell'Informazione-spettacolo e della follia delle immagini, la poesia è spiazzata e quasi in condizione disperatamente "postuma: in bilico e in sospensione tra Essere e Non Essere, tra il Non-più e il Non-ancora, vita e morte, passato e futuro, memoria e speranza. Il poeta vive in una dimensione limbica e purgatoriale, avendo perso i suoi tradizionali codici formali e storico-espressivi, referenziali noti e ben sperimentati, i suoi canali di comunicazione privilegiati e conosciuti, il suo destinatario (sia pure ristretto e selezionato), il suo "messaggio" è un "monologo" auto-distruttivo e vittimistico: le grandi triadi del passato recente e più lontano, da Ungaretti-Montale-Quasimodo e Carducci-Pascoli-D'Annunzio, non rappresentano più i “classici" dell'Ottocento e del Novecento a cui guardare come possibili modelli (anche antagonistici e in chiave contrastiva); la neo-avanguardia(e i suoi vari epigonici imitatori) è stata un’ondata attardata e mimetica di falsi sperimentatori legati a vecchie e nuove accademie; la stessa Accademia è sinonimo di non-cultura, di interessi puramente personali e non didattici, di clientelismo, poteri feudali e di casta; la scuola è priva di veri "maestri" ed educatori, è ridotta a un patetico e velleitario, dispersivo, spesso fallimentare, logoro strumento e meccanismo ripetitivo di alfabetizzazione elementare, in irreversibile decadimento, a luogo di frustrazione e superficialità, per docenti e discenti, invece che di ricerca e di formazione, di apprendimento di un sapere non mummificato né accessorio o ancillare, di abbellimento, ma vitale e costruttivo, individualmente interessante e piacevole e socialmente utile, teso a rielaborare e organizzare criticamente le conoscenze e le informazioni.

L’industria editoriale (a parte quella amatoriale e volontaristica) piccola, media e grande, nota o ignota o poco conosciuta, ha come unico obiettivo non certo la diffusione della poesia e l'allargamento della cultura, bensì la ricerca spasmodica, ma pianificata e ben programmata, puramente aziendalistica e mercantilistica, del consumo e della vendita. In tale Babele del contesto linguistico e in tale alienante e disintegrante situazione socio-culturale, per molti versi incontrollabili, dove predominano, alla fine, solitudini, emarginazioni, isolamento e rifiuto, mancanza di dialogo, oltre che amnesia della storia e perdita della percezione del futuro, messaggi di violenza e di morte, quale la “scomposizione" del poeta. Questi rischia di divenire un homo oeconomicus totalmente inserito e integrato (con conseguente perdita di senso e di abilità) nell’ininterrotto e fluttuante ciclo produzione-consumo, o scomparire, magari gradualmente, tra disperazione, la malattia, incomunicabilità, come una sorte di agnello sacrificale da immolare in nome della così detta Cultura, destinata fatalmente o alla (insensata) massificazione e mercificazione o, di contro, ad un'ulteriore separazione elitaria e aristocratica. Di fronte a questa realtà così frammentata e incerta, fa sorridere il problema della distribuzione del proprio bel volume (anche rilegato e raffinatissimo) di poesie, magari all'interno di un circuito editoriale affermato e conosciuto (non importa e non fa differenza se al Sud o al Nord); o anche quello di una  sua eventuale (casuale o voluta) lettura da parte del cosiddetto "uomo della strada": la poesia, in realtà, non ha né trovato ascolto, se non in una cerchia ristretta (ammesso che si riesca a raggiungere tale fantomatico destinatario) di addetti o pseudo-addetti ai lavori, che si rivelano lettori, autori e fruitori (spesso anche editori, recensori o direttori editoriali) di se stessi, contemporaneamente, o di loro amici. Il segno della poesia non è perciò indelebile al contrario, fungibile, cedibile, comprabile, e vendibile al miglior offerente, se si vuole: il suo messaggio (comprensibile, chiaro o oscuro, enigmatico) non è utile ma neanche dannoso, per nessuno; ma il suo status è quello, nonostante tutto, della non-rassegnazione, della ferma ed eroica resistenza in quanto pascaliana espressione, sincera, non ricattabile né commerciabile o consumabile tout court.

La poesia ha il diritto e il dovere di testimoniare il vero, di non tradirlo mai, di renderlo visibile, udibile, leggibile, contro ogni ipocrisia e falsità: il segno (e il sogno) della poesia coincide con la verità, è la verità. Ma ché cos'è la verità? Il problema non consiste, dunque, nello stabilire le possibilità di intervento pure importanti e decisive della parola poetica dinanzi al dolore o alle ingiustizie, alle tragedie della vita, alle sofferenze o alle colpe, alle responsabilità o errori degli uomini e della storia(le guerre, i genocidi, il razzismo, le persecuzioni, lo sfruttamento, l’egoismo, l'intolleranza, le violenze, etc.), ma nel cercare di capire i fondamenti epistemologici della realtà e della sua conoscibilità (e controllabilità e modificabilità), ed anche dell'impossibilità a comprenderla, della sua falsificabilità. La poesia rivela e suggella, simbolicamente, stabilisce, con il suo segno metamorfico e metaforico, l'ambigua tangibilità del reale: lo spiega, lo dipana, tenta di descriverlo, di fissarlo, nell'ossimoro permanente. In ciò risiede la sua funzione morale e conoscitiva: rispondere alle richieste di verità con una "domanda" ininterrotta di vita e di consapevolezza.



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