Julius Evola, il mondo materiale e l'interazione con la realtà molteplice
Foto di Carlo Serafini

Julius Evola, il mondo materiale e l'interazione con la realtà molteplice

diFabio Tamborrino

Nel suo libro “L’uomo come potenza”, Evola trae alcune considerazioni sulle differenze tra l’approccio all’esistenza della cultura orientale rispetto a quella occidentale, a partire dalle posizioni espresse nel merito, da Hegel, Steiner e Keyserling.

Senza ritornare su quanto spiegato da questi tre autori, sarà sufficiente dire che Evola evidenzi come la natura, intesa come realtà sensibile - mondo materiale che ci circonda - sia un dato di fatto, qualcosa che indubbiamente è là, intorno a noi. Si può decidere di relegarla ad un ruolo ontologicamente inferiore, qualcosa di corrotto da negare o a cui sfuggire, ritirandosi in una vita di preghiera e di mortificazione della carne - come accade all’interno di una certa mistica cristiana - oppure ignorarla, come nel caso dell’ascetismo orientale induista e buddista, per il quale la realtà materiale è una illusione, un velo (Maya) da sollevare  e rimuovere per accedere alla verità assoluta. 

Resta il fatto che concretamente non possiamo fingere che tale realtà materiale, di cui si fa esperienza attraverso i nostri apparati sensoriali, non esista. 

Per tale ragione, Evola propone un approccio molto originale, e a mio giudizio interessante, secondo il quale il mondo materiale, che percepiamo come esterno a noi, costituisca una realtà imprescindibile con cui misurarsi, da affrontare e conquistare, sicché l’Io, attraverso l’espressione della sua potenza, lo assorba in sé, e ne diventi sovrano e dominatore. Egli inoltre individua, nella Tradizione orientale, il metodo tantrico come una via le cui peculiarità potrebbero renderla accessibile anche alla mentalità occidentale, pur segnalandone una pericolosità intrinseca per chi vi si incammina senza la giusta disposizione, al punto da essere descritta, nel mondo indu, come vîra sâdhana, via dell’eroe.

Da questo punto di vista, il percorso suggerito da Evola collima perfettamente con la via eroica della mitologia greco-romana e della letteratura cavalleresca del Graal, altrove descritta come via solare, via secca, via della mano sinistra, quella dei Templari e dei Samurai, in cui il protagonista non aspetta una grazia da un ipotetico Ente trascendente al quale sottomettersi, ma al contrario, intraprende un percorso segnato da imprese da compiere allo scopo di evolvere, fino a conquistare il crisma divino, e trasfigurarsi nell’Ente alla cui volontà ogni altra cosa, anche il dio trascendente stesso, si assoggetta.  

Aggiungo io che, per quanto il mondo materiale possa apparire come qualcosa di corrotto dal peccato, come è proprio della cultura occidentale di matrice cristiana, o considerato pura illusione, come insegnato dalle dottrine ascetiche orientali, esso non solo sia là davanti a noi, come già spiegato da Evola, ma resti la realtà PRINCIPALE con la quale ci dobbiamo misurare ogni giorno della nostra esistenza, che ci piaccia o no! E’ intorno a noi, davanti a noi: esso permea ogni aspetto della vita, si insinua ovunque: nel pensiero, nell’immaginazione, nella speculazione, nel sogno. Inutile fingere che non ci sia; non è possibile neppure guardare al di là di esso, perché si frappone sempre e comunque fra noi e ciò che pensiamo - o crediamo - esserci oltre. E’ un interferenza ineludibile, come la luce solare intorno all’astronomo che cercasse di guardare il cielo col telescopio in pieno giorno! 

Si ha un bel predicare e ostentare comportamenti sprezzanti verso la materialità della vita ordinaria, ragionando sui massimi sistemi e inanellando idee e citazioni che dovrebbero farci sentire più aulici, più distaccati dal volgare mondo delle forme; si ha un bel guardare con alterigia quegli esseri che a stento consideriamo nostri simili, mentre sgomitano per arraffare miserevoli patacche, come galline che si azzuffano per una manciata di granaglie.  Ma io mi domando: siamo certi di non essere come loro? Volgiamo per qualche istante lo sguardo dentro noi stessi: siamo davvero sicuri di non avere dentro di noi, ben nascosto sotto strati di oro placcato, lo stesso spirito di attaccamento e di dipendenza da quel mondo materiale che esteriormente tanto disprezziamo?

Ebbene, risponderò io per me stesso, dicendo che no! Non sono così sicuro di essere tanto diverso. 

Forse posso avere consapevolezza di questa mia natura riposta, a differenza di costoro che, troppo presi a frugare nell’immondizia non hanno tempo di ragionare su tali cose; ma è ciò sufficiente a rendermi realmente diverso? O non sarà forse proprio tale maggiore consapevolezza, a rendermi addirittura peggiore di quelli, visto che comunque al momento cruciale non sono in grado di vincere la subordinazione a quella stessa materialità, che pure descrivo con tanta chiarezza e sufficienza quando questa non mi mette alla prova?

Ricordo anni fa, una manifestazione promossa da una associazione culturale su tematiche di carattere filosofico ed esoterico, nel corso della quale diversi persone presenti erano intervenuti con elaborate considerazioni sui doveri dell’uomo e della società, e in cui l’autocompiacimento trasudava copioso come il grasso dell’arrosto domenicale.

Ero troppo giovane ancora, mi mancò il coraggio di intervenire direttamente, ad incrinare con le mie obiezioni una tale esibizione di narcisismo. 

Tacqui.

Al termine dell’incontro però, a platea quasi vuota, posi una questione a coloro che, tra organizzatori e ospiti, non si erano ancora congedati: ”Quanti di voi sarebbero disposti a farsi strappare la lingua e ardere vivi, o a farsi inchiodare su una croce, pur di difendere le proprie idee, ben consapevoli che un tale martirio potrebbe essere evitato semplicemente abiurando i propri principi?” Qualcuno ridacchiò, qualcun altro tentò di dare una risposta mellifluamente diplomatica che non stetti nemmeno a sentire. L’imbarazzo però era evidente, in special modo da parte di coloro che avevano poc’anzi preso la parola e dispensato generose dosi di saggezza al pubblico presente.


Ebbene, oggi più e più volte pongo questa medesima domanda a me stesso. E provo, per quanto possibile, ad immedesimarmi in un Giulio Cesare Vanini, o un Giordano Bruno, o un Gesù di Nazareth, e a cercare di immaginare l’angoscia, il terrore profondo, il morso lacerante nelle viscere che dovevano aver provato codesti uomini, consapevoli delle atrocità alle quali stavano per andare incontro, ancor più sapendo che sarebbe bastata una parola per salvarsi. Eppure essi scelsero la strada della coerenza, non tradirono la propria fede nella verità. Sarei io capace di tanto? 

Evola parla di un percorso di ascesi, in una condizione non di distacco dal mondo materiale, ma nel mondo materiale, ove questo quindi non sia qualcosa da ignorare, ma da conquistare e far proprio, quando evidentemente non si intenda, per conquista, il concetto proprio alla mentalità borghese di affermazione sul piano sociale o economico, ma semmai il riassorbimento della realtà molteplice nell’io che si espande, fino a comprendere ogni altro possibile stato dell’essere, fino a raggiungere l’unità assoluta.

La grandiosità di un’idea del genere non deve tuttavia trasportare la mente sulle ali di una sognante immaginazione. E’ necessario concretamente operare. 

E qui mi fermo. Perché a dispetto dell’enorme volume di parole spese dai tanti maestri, veri o presunti, non mi è tuttora chiaro quale sia il percorso da intraprendere qui, ora, in questa vita. Come si può affrontare il titanico sforzo di espandere la propria volontà cosciente, di attivare quei poteri sopiti che evidentemente l’individuo umano possiede, per arrivare a piegare il mondo materiale e le sue leggi, fino ad affrancarsi da esso?

Il mito, in Oriente come in Occidente, ci racconta storie di eroi: Gilgamesh, Mitra, Siddharta, Arjuna, Giasone, Ulisse, i quali raggiungono la piena realizzazione dopo aver affrontato una serie di prove. Si tratta, non ci sono dubbi, di racconti pieni di simboli e di allegorie. Ma la domanda non cambia: Come ci si deve porre? Qual è il percorso concreto da intraprendere? Cosa occorre fare?

Commenti

Lascia il tuo commento

Codice di verifica


Invia

Sostienici