L'antilope nera che fugge nella foresta
In attesa che l'autore ci invii le informazioni tecniche dell'opera

L'antilope nera che fugge nella foresta

diVincenzo Crosio

 Il racconto di cosa sia la memoria, il tempo, il ritmo e la traccia. 

 Un giorno Narada, il brahmano, si presentò a Sanatkumara, un guerriero, si presentò con un tizzone acceso. Sanatkumara capì  e gli chiese cosa sapesse riguardo al sapere e Narada sciorinò con sicurezza ciò che un bravo brahmano sapeva: il Rg-veda, lo Yajurveda, il Samaveda, l’Atharveda e le antiche storie. Il Veda dei Veda, il rituale per gli antenati, il calcolo, la divinazione,i dialoghi, i monologhi,la scienza degli dei, la scienza degli spiriti, la scienza dei corpi celesti. Narada non sapeva che altro dire. In realtà lui era quel carbone acceso, era quel fuoco che bruciava e ammise: “ io non conosco, signore,altro che le formule magiche, non conosco il Sé. Ma ho sentito dire che chi conosce il Sé va oltre la sofferenza. Ed io, signore, soffro, traghettami sull’altra sponda della sofferenza”. Tutta la storia dei Veda, tutta la storia delle leggende e dei miti, era arrivata per Narada ad un bivio, a quel bivio cui ero giunto il Buddha, quel bivio che era impossibile evitare. Lo si doveva imboccare, non era possibile evitarlo, era il carbone acceso. Sanatkumara, il guerriero  disse che lui, Narada, sapeva solo dei nomi, un banale elenco di nomi. E Sanatkumara incominciò enunciando la superiorità della parola sui nomi:le acque, il cielo, la terra,gli animali, l’energia,gli insetti, i vermi, gli dei,gli uomini, le piante, gli alberi, il giusto, l’ingiusto, il piacevole, lo spiacevole. Avrebbe potuto continuare, avrebbe potuto aggiungere che era la somma che faceva il totale, per dimostrare quanto la parola fosse superiore, ma non lo disse. Si fermò e passò ad un ordine successivo,ad una potenza successiva, per dimostrare come la mente, il manas, fosse superiore. Anzi c’erano due manas, che racchiudevano il Sé e l’atman, le due coscienze giustapposte come i due uccelli posati allo stesso albero, una che mangiava, l’altra che guardava l’altra che mangiava, c’era Lacan e Vico, la funzione primaria dello specchio nella formazione dell’io infantile, c’erano più menti, funzionale, suppositiva, operativa,volitiva,c’erano insomma menti più potenti della sola mente. C’era addirittura una società della mente, quella di cui parlano gli epistemologi e Marvin Minsky. E certo questo il brahmano lo sapeva, ma Sanatkumara glielo ridiceva per fargli capire  la ricorsività di ogni potenza ordinale, quale tassonomia lui, il brahmano non fosse in grado di capire, di comprendere, di quale salto lui era in grado di operare, perché superiore a manas era il progetto e l’intenzione, la samkalpa, che era l’impulso che prendeva il sacrificante quando decideva, improvvisamente, il gesto rituale che dispiegava la potenza del pensiero in azione. O sì, quella era la potenza, il grado superiore che può decidere la vita, la morte. E’ l’ago dell’ago-puntura, il bisturi del medico, la punta della freccia, la saldatura del saldatore. Ma ancora più potente era la consapevolezza. Senza consapevolezza (citta) non c’era bisturi che tenga, anche quello decideva della vita e della morte, citta era l’accorgersi lesto del cerbiatto, della gazzella nera che fugge via dentro il bosco mentre la freccia l’assale e le mammelle sono piene di latte per i suoi due piccoli che ha rifugiato nel folto dell’erba alta. Ad ogni soglia i sapienti s’accorgono di entrare in altre soglie, e la coscienza ci avverte di tutte queste soglie. La meditazione però è l’altra soglia, la dhyana, lo zazen, lo zen, la postura del Buddha, è più della consapevolezza, ma anche le montagne stanno ferme, partecipano della meditazione, lo dice anche Dogen, in un certo modo, per esempio, il come ermeneutico, il come delle acque, del mare, degli oceani, delle galassie, della sabbia, del mare e della sabbia del mare, gli uccelli del mare. E cosa si muove e cosa sta fermo nel molo, l’acqua, la terra, cosa medita, la barca, il molo, la terra o l’ancora che la tiene ferma alla terra che però si muove. Dove siamo entrati, nella favola della relatività di Galileo Galilei, o dell’esempio di Dogen zenji sulla visione della terra da una barca in movimento, o siamo dall’altra parte dello specchio nel racconto di Alice nel paese delle meraviglie dell’epistemologo Dawson, nel cerchio magico di Archimede, nella  spirale volumetrica, o dove siamo?Dove si ferma la catena dei dodici anelli?Il discernimento, la coscienza vijnana è superiore, lo sanno pure le scuole dei darshana che stanno nascendo, pure le scuole buddhiste, quelle dopo il Buddha che devono contrastare le scuole dell’induismo brahmanico, la scuola Yogachara, che esiste la coscienza vijnana, ma non è così. La forza, la virya, la determinazione, è più forte della coscienza discriminante. Il pensiero della fede, la sraddha, la fede della pratica, nella pratica della perfezione questo è l’acumen, lo sanno i buddhisti, gli induisti, i musulmani, i cristiani e gli ebrei, lo sanno anche gli atei che ci vuole una superfede per essere ateisti. La fede ci fa diventare fanatici, ci fa accedere al sacrificio, ci fa donare noi stessi, anche nella morte siamo fedeli,…ma possiamo donare noi stessi fino alla morte solo se conosciamo l’entusiasmo della gioia. Sanatkumara è impietoso. Narada conosce la sofferenza, soka, dukkha, non conosce la gioia, sukkha, non sa come passare dal dolore, dalla sofferenza alla gioia. Ma dov’ è la gioia, in basso in alto, dov’è il Se e l’atman che avrebbe dovuto trascinare Narada fuori del dolore, in ogni luogo, quindi in nessun luogo. Poi l’ultima stoccata del maestro: ”Colui che vede così tutto come un grande gioco, come lila, costui vede la liberazione”. “Il samadhi giocoso di se stesso”(jijuyu zanmai di maestro Dogen), il momento di gioia profonda e sincera della tradizione buddhista. Lasciando Narada nel vuoto della non-risposta, pericolosamente in bilico, tra l ‘essere delle cose e il non essere delle cose stesse, tra la pienezza e il vuoto. ”Quando egli getta Agni nell’acqua egli compie ciò che è scorretto. Con due versi connessi ad Agni egli adora, perché è ad Agni che chiede scusa, e saranno tali da contenere il verbo buddh- in modo che Agni possa fare attenzione alle sue parole”. E ancora: ”Poi il brahman diventò gli dei, via via che si risvegliarono [pratya-budhy-ata], che indica un movimento in avanti, come un riscuotersi”. 

Tra le cose ci sono dei legami che Narada non sapeva, delle bende, bandhu, dei legamenti, esseri quantici più piccoli, assolutamente immateriali, le interrelazioni che vincolano le particelle e gli uomini ad esempio, che li vincolano come in un abbraccio in cui si divincolano gli atomi e i superquark, ci sono poi dei legami colorati come i gluoni e delle simil/ particelle che qualcuno chiama i bosoni di Higs. Ci sono tanti mondi che Narada non conosce, mondi che si fanno e si disfano nel giro di un miliardesimo di secondo, ci sono cose che si manifestano come le farfalle e cose che non si manifestano come le non-farfalle. Ci sono cose che stanno tra le cose e l’abisso vuoto: ”allora, narrano, le Upanishad, che per la potenza dell’Ardore, del tapas, l’Uno nacque vuoto e ricoperto di vuoto”. Abhu, vuoto ricoperto di abhu, di vuoto, involucro vuoto dentro un involucro vuoto!  Abhu, dice letteralmente il testo, vuoto. La radice >abh è anche la radice di Abhimus/abhissus, le profondità vuote, la vastità del vuoto-Ku. Ci possiamo fermare, ci possiamo fermare alle soglie del vuoto del vuoto, o meglio alle soglie dell’Uno, della singolarità che è involucro vuoto dentro l’involucro vuoto? Mente universale del vuoto, luogo astratto di ogni differenza, generato dall’uno/quantità calorica, dal tapas o dal kama, dal desiderio che dicono sempre i Veda stava già prima nella testa di Manas, che l’ha così concepito? Come quella strana osservazione del Talmud che l’idea del Messia era posta nella testa di Dio, prima di Dio stesso. Che modo di ragionare è questo?Il paradosso allora è la logica della controversia logica? Ci possiamo fermare? Direi di sì. Siamo dentro la Tradizione delle cerimonie buddhiste, siamo dentro la tradizione Zen, la dhyana, che è fortemente rituale, per quanto se ne dica ed è il cuore stesso di tutte le religioni dell’Oriente. E Narada, sarà ancora lì ad aspettare la risposta, sarà andato via, sarà da qualche parte a spaccare la legna, lì fuori nel cortile? Sarà invecchiato nell’attesa, come il protagonista del Custode della Legge di Kafka, che venuto giovane alle porte del Palazzo, non osa entrarvi? E’ li sulla soglia in attesa di un accenno, di una parola che dimori la sua secolare attesa, in attesa dell’incontro.

Siamo alla fine della parabola, alla fine della fuga dell’antilope nera dentro la foresta, in fuga da quella freccia che l’assale ogni volta, con la punta che dietro l’asta della freccia l’insegue, scoccata dall’arco che l’ha tesa, dalla mente e della coscienza vigile dell’uomo che ha come due menti, una che scocca e l’altra che guarda se la freccia raggiunge l’antilope che ha un’altra possibilità, deviare la sua linea di fuga e prendere la radura dentro il bosco. E’ l’esperienza nella catena dei condizionamenti, della persistenza delle cause e del caso dei casi, il Kairòs, il tempo che si fa tempo, nell’incidenza di un altro tempo, dell’en-gi e dell’ en-ka, un tempo tagliato dentro il tempo, un rag-time. Questa è materia emerita dell’Insegnamento buddhista, di tutte le scuole, di tutte le tradizioni e in particolare della scuola Zen Soto. Ma anche di Walter Benjamin come incidenza del tempo dentro un tempo: come Marx l’ha intesa» la rivoluzione epistemica e sociale, come «balzo dialettico» sotto «il cielo libero della storia» (Tesi XIV) è per lui ancora possibile. La dialettica marxiana coincide col fare «il salto della tigre nel passato»: un’irruzione nel presente, nel «tempo dell’attualità» (Jetztzeit).La suprema perfetta illuminazione.


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