L'ira notturna di Penelope
Elio Scarciglia, venerdì santo processione della desolata, Bitonto

L'ira notturna di Penelope

diFloriana Coppola

Antonella Sica con questa breve silloge poetica, "L’ira notturna di Penelope", ed. Prospero, apre una faglia importante verso una dimensione mitologica, che ci appartiene integralmente e su cui già altrove si è letto,  come nel testo  L’altra Penelope, tessere il mito, edito da  Officine Editore 2020, un’antologia poetica a cura di Brigidina  Gentile, dove si narra di una ricerca al femminile che affonda le radici e si aggrappa alla tradizione, generando però una voce nuova e rivoluzionaria capace di capovolgere profondamente lo stereotipo della moglie/regina in attesa del ritorno del soldato/re e compagno di vita. Così Sica nel suo libro partecipa in versi a un dibattito acceso sul senso del mito di Penelope nell’educazione di genere,  offrendo la sua versione. 


Pelle su pelle cucita/ troppo stretta ai fianchi, sconosciuta addosso/ che vive la mia vita; che rimane/ quando vorrei andare via/ che non prende, chiede/ sempre permesso e mi consuma/ di rabbia dietro, dal posto/ già assegnato nella retrovia./ Cucita addosso la pelle/ di mia madre, di mia nonna/ ricamata come un corredo/ a riscatto della carenza./ Ogni giorno con pazienza/ disfo un punto combattendo/ l’ira notturna di Penelope/ tremando il dubbio se qualcuno ancora sotto respira.

Chiarissimo manifesto questa poesia. Penelope rimane una figura mitica analizzata da sempre nei manuali scolastici come la donna ferma e  instancabile al suo telaio, mentre Ulisse attraversa ogni peripezia e ogni avventura anche amorosa, oltre che militare. Ma Penelope può essere diversa da come l’abbiamo sempre immaginata. Nella sua apparente immobilità Penelope viaggia con la sua immaginazione e con i sentimenti, perché nella sua appassionata attesa non è mai ferma. Nella tradizione letteraria, lo stereotipo della moglie fedele viene sempre conservato, mentre non in tutte le versioni del mito si sostiene la castità e la fedeltà di Penelope verso Ulisse. In alcune leggende la regina amò il dio Ermes con cui concepì il dio Pan, in un’altra versione si narra che acconsentì alla corte del proco Anfinomo, desiderosa di risposarsi. In una altra versione ancora si racconta che Ulisse rispedisce la moglie al padre Icario perché  si era fatta sedurre da Antinoo. Antonella Sica, attraverso la sua versificazione moderna e assolutamente contemporanea, attualizza il mito e riprende l’aspetto simbolico della pazienza e della fedeltà ma arricchendolo dall’altra faccia della medaglia: la sfida e la ribellione, l’ira e la delusione, l’attesa e lo smarrimento. La sua Penelope conosce l’inquietudine più amara, sa arrabbiarsi, conosce tutta la gamma dei sentimenti e li esprime con forza. Ferita e lacerata, canta la sua vertigine nel buio dell’abbandono e della delusione. La tela viene fatta e disfatta come ogni immagine ricorda, ma viene vissuta come narrazione della propria ambiguità, ambivalenza interiore assolutamente drammatica e per nulla scontata. Antonella Sica racconta in modo immaginifico e visionario di questa trasformazione psico/esistenziale in un’alchimia magica di versi.


Le mie parole sono semi custodi / dei germogli della terra di dentro / sbocciano sul corpo nudo / nella luce e nel buio del vissuto. / Per questo non posso dar voce / a un dolore che non conosco: / per pudore, per rispetto / per non trovare un giorno in mezzo al petto, / un mazzo di fiori di plastica rossi / né vivi né morti


Penelope diventa la figurazione della tensione tra gli opposti, vita e morte, silenzio e frastuono, terra e acqua, luce e tenebre. La donna nel discorso mitologico rappresenta proprio il cerchio della vita, del nascere e del morire. Antonella Sica vuole dare voce a questa contraddizione che partorisce la complessità della persona, del farsi persona attraverso il caleidoscopio dei sentimenti. L’immagine statuaria della fedeltà non è autentica ma una finzione che vuole addomesticare il desiderio femminile, zittito dalla norma patriarcale dell’educazione di genere: l’uomo è legato alla polis mentre la donna deve rimanere nelle stanze recintate dell’oikos. Ripropone cosi attraverso le sue parole questa battaglia ancora attuale tra il costume della pazienza e il bisogno inestinguibile di libertà e da ogni programmazione sociale e culturale. Penelope siamo ognuna di noi in lotta per uscire fuori dagli steccati tradizionali degli stereotipi di genere. 

Non è ancora semplice abbandonare l’abito della compiacenza. Pur respingendo il modello precostituito dell’Angelo del Focolare, ogni donna deve combattere la sua battaglia interiore per affermare i suoi diritti di persona politicamente attiva, fuori dalla “reggia domestica”. La corresponsabilità familiare pur essendo declinata per norma è poi disattesa nei fatti. La poesia diventa così narrazione sofferta e appassionata di questo disagio sociale e psicologico.

Mangiami sennò mi mangia il tempo […] spolpa anche le ossa / che non rimanga niente / nemmeno un rimpianto / per i vermi, solo il bianco / abbagliante del vissuto 

Nella silloge, Antonella Sica parla di amore e disamore, della distanza e della prossimità nel dialogo sentimentale, del bisogno di recuperare degli spazi per non farsi cannibalizzare e del desiderio profondo di sentirsi accolta e di accogliere, parla di maternità e di libertà. L’universo complesso della donna viene esplorato, senza dare giudizi lapidari su ogni legame che attraversa momenti di lontananza e di distrazione.


Ti ho condotto alla luce/io che cammino a piedi nudi/gli stretti sentieri di un cielo/ abbandonato dagli angeli/e ora mi stringi la mano/ di domande su cui disegno/ strade di parole e case di nebbia
perché ancora tu non veda/ che non esistono strade che non siano/ il tuo coraggio di percorrerle
senza una meta./ E ti stringo, transitorio porto sicuro,/ come se potessi piegare il vento
che dissolve i passi al cammino.


C’è nel passaggio da un testo all’altro, questa tensione tra il dentro e il fuori. Lo spazio  è simbolicamente  abitato dalla parola. La reggia, il castello, le stanze ricordano la “stanza" di Emily Dickinson, luogo del nascondimento e della libera espressione di sé come dice nella prefazione Donatella  Bisutti.  Penelope  abita l’interno e lo rappresenta, sfigurandolo. L’immagine della stanza richiama Virginia Woolf e il suo testamento letterario,  quel desiderio di ricerca della propria cifra esistenziale, il richiamo della casa/anima come viene definita dalla psicanalista Clarissa Pinkola Estess. In certi casi, un libro può diventare un viaggio infinito dentro una costellazione genealogica che si rinnova e non finisce mai di stupirci.

Credevo di essere Una/ ma col passare del tempo/ ne scoprii dentro di me/ almeno cento/ Cercai allora un nesso/ fra queste donne cento/ un centro dentro il cento// che mi davano il tormento,/ trovando un giorno il nesso/ nell’essere nessuna/ felicemente dissolta/ e muta.  




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