L'isola
Gaspare Canino, Zona cuscinetto

L'isola

diTeresa Mariniello

Ancora. Ecco che la luce si abbandona. 

Raccolta ascolto l’assenza delle cose, l’istante in cui il mondo tace. Accolgo il silenzio delle cicale prima che concertino i grilli, gli sterpi e le foglie sospese, lo sguardo fisso del ramarro sul muro; perfino il mare, appena mosso, tace.

La mia preghiera è in questo vuoto che si svela ogni giorno e che può annunciare il nuovo.

Ma ecco le voci, si accendono nel crepuscolo poco più in là, in quel diramare di selciato che chiamiamo piazza; sono voci di donne e bambini, li vedo lungo la panca bassa, quella adagiata sul muro, ricordano nascite e morti, sementi e merletti, prime e ultime notti.   

Quasi allegre fanno da sfondo allo schiamazzo dei bambini, a quest’ora un po’ svogliato. 

Quelle degli uomini sono più in alto, lì dove l’altra panca di pietra dà sul mare abbracciando il piccolo golfo, arrivano come un brusio indistinto.

Solo, del tutto solo, se ne sta l’uomo che chiamano lo scemo del paese.

Si guarda intorno sorridendo, allargando lo sguardo in alto sulla grande quercia dove dormono gli uccelli.

Lo chiamano così perché ha un’anima semplice e perché è l’unico a non aver voler voluto la luce in casa quando è arrivata sull’isola. Lui ha tenuto la vecchia lampada ad olio e la luce del camino, quasi sempre acceso. 

Si porta dietro un odore di fumo per questo e di fuoco.

Dice che non gli serve altro ed è bello vedere l’uscio di casa sua sempre aperto, anche la notte, intravedendo nell’angolo le braci ancora guizzanti.  

In realtà la sua non è proprio una casa, è un unico ambiente con una porta e una finestra, in passato faceva parte del vecchio magazzino vicino al porto.

Il paese lo ha sistemato lì alla morte del vecchio padre, e lo sostiene portandogli cibo ogni giorno secondo turni stabiliti dalle stesse donne.

In cambio lui porta allegria quando decide di affacciarsi nei vari gruppi serali raccontando piccole storie di animali a cui nessuno aveva mai badato prima, le formiche, le cicale, persino i vermi diventono personaggi con pensiero e parole.


C’ é un posto nell’ isola in cui mi piace andare.

Si percorre la strada principale del paese con le case tutte dipinte di bianco e con le seggiole di paglia appena fuori l’uscio, si arriva poi su in alto verso la piccola chiesa. Qui c’è lo slargo con siepi di rosmarino da cui si guarda il mare, e c’è anche il piccolo sentiero  che stretto corre tra i pini per scendere in basso verso la cisterna.

Costruzione massiccia e imponente, voluta da qualche lontano antenato, è ora parte del paesaggio; ha muri scrostati coperti da rampicanti.

Nei pressi della cisterna ecco ciò per cui vengo.

Una piccola edicola con il tetto a capanna rivestito di maiolica azzurra, al centro di essa c’è Kaìros. Il dio del tempo circolare.

È solo la copia del bassorilievo greco, neanche perfetta, ma intero appare il giovane nudo alato e fuggente con il lungo ciuffo sulla  fronte e con la nuca rasata, in mano porta un coltello dalla lama pungente.

Guardo i muscoli tesi nello sforzo della corsa, la leggerezza delle ali ai piedi, il corpo proteso in avanti, perché è lì che si può cogliere il momento propizio, nella spinta in avanti.

Intanto il volo degli uccelli è ampio e leggero, si lasciano trasportare dalle correnti d’aria quasi senza fatica assecondando il vento, nelle forza delle ali leggo il bisogno di libertà. 


Poi all’ improvviso una sera.

Vicino al mare giocava col mare; non era solo ma non vidi che lui. Solo una figura d’ uomo, rideva, e il riso era di bambino e i passi anche.

Aspettava che le onde si riempissero di spuma e prima che arrivassero a lui scappava, per poi ritornare ancora.

Qualche frase tra noi, ora che mi ero avvicinata.

   “Bellissima questa piccola baia! Sei anche tu in vacanza?”

   “Io qui ci vivo ma studio sulla terraferma. Sì, è una delle baie più belle dell’isola.”

Ma ecco che arriva l’onda, quasi minacciosa e felice della sua distrazione, lo raggiunge e lo prende. Gli bagna il cappotto e il cappello, persino il sorriso.

Allarga le braccia sconfitto e ancora mi parla:

   “Credo che dovrò cambiarmi ora, tu che dici? Sai, non posso resistere a questo gioco… lo facevo da bambino e mi piace ancora, ma perdo sempre, mi bagno sempre. La casa dei miei amici è qui vicina, vieni anche tu con noi?”

   “Ma sì, vengo anch’io.”

Il camino è di quelli grandi, con piccole panche in pietra vicino. Si siede su una di queste bevendo vino caldo e me ne offre, si sta facendo tardi e dovrei tornare a casa ma sono attraversata dal fiume delle sue parole e lo ascolto in silenzio, all’apparenza quasi distratta, ma ogni poro è aperto, le mie narici sono dilatate. 

Mi attraggono le sue mani, di sicuro ci lavora. E quasi avesse sentito i miei pensieri continua: “faccio il falegname di mestiere, ma non come Giuseppe, e non ho una moglie come Maria; in verità non ho una moglie.”

E poi mi guarda, aspettando qualcosa, forse un sorriso compiaciuto oppure una domanda nello sguardo, ma io bevo solo un altro sorso di vino fissando poi gli occhi sulla buccia d’arancio ferma ora sul fondo.

   “Io studio all’accademia, impasto creta. È lungo arrivarci da qui per cui ho una stanza in affitto che uso quando il mare è grosso e non è possibile lasciare l’isola oppure quando le lezioni sono troppo ravvicinate.”

   “Allora lavoriamo entrambi con le mani! E dove ce l’hai la stanza, potremmo vederci qualche volta per un caffè...il mio laboratorio è in via degli Scalzi.”

   “Sì,  conosco la via. Magari possiamo incontrarci, ma ora si è fatto tardi e devo proprio andare, ho delle cose da fare domattina.”

   “ Posso accompagnarti se vuoi, mi faccio prestare il cappotto dal mio amico e ci sono.”

E fa per alzarsi, ma è già troppo sicuro di sé e la piccola marea dentro me sta discendendo.

Do un piccolo morso alla buccia d’arancio rimasta nel bicchiere, mi pizzica la lingua e mi riempe la bocca di un sapore leggermente acre. 

Faccio solo un gesto con la mano intanto che calzo il cappello, forse gli dico che ci vediamo domani. Oltre la porta c’è un firmamento muto percorso da nuvole e Venere è così lontana.















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