La crisi come eco-sistema di relazioni dentro il materiale fragile dell'umanità
Sergio Racanati, “ultimo sorriso”, 2021, courtesy l’artista e CAPTA (centro arte territorio paesaggio ambiente)

La crisi come eco-sistema di relazioni dentro il materiale fragile dell'umanità

diSergio Racanati

Viviamo in periferie di città che non esistono. Viviamo in città fantasma in cui tutto è ormai sfibrato; in cui il doppio si è sostituito al vero. Forse, neppure il senso di comunità sopravvive più: città cimiteriali da cui emergono solo i resti di una civiltà esplosa. Siamo dentro un eco-sistema di biologie finite. Gli oggetti ri-trovati, ri(n)-tracciati hanno invaso la mia rappresentazione e il mio immaginario  ri-collocandoli e ri-distribuendoli all’interno dei desideri, dei bisogni e dei  dolori che attraversano e costernano lo sciame inquieto delle moltitudini. Noi non siamo fatti per essere nel mondo! Chi si prenderà cura dell’eco-sistema dell’essere vivente-definito-più complesso, in questo sistema di complessità ormai morte o morenti? 

La mancanza di senso del reale, l’indifferenza del mondo al processo incalzante dell’atomizzazione  individuale, l’imbrigliamento dell’illusione non possono che portarci inesorabilmente al suicidio. O peggio, a vivere come viviamo. Meglio dire sopravvivere. La connessione non è che la realtà e non ha intenzione di smascherare nulla. Essa è nei sistemi che si formano dall’incontro di sistemi, essa è matematica, logica e genetica. Dobbiamo avere fiducia in tutti i sistemi con i quali veniamo in contatto e trasferire altrove il dolore, l’attesa, l’ansia, la disillusione.

Siamo piombati inesorabilmente dentro lo spazio/tempo della sospensione, della morte di massa, della ricollocazione forzata dei corpi, del confine tra dimensione privata/pubblica, la mercificazione dei corpi, il ricatto sociale dentro la pandemia, l’infodemia,  la spettacolarizzazione del sé dentro i display , i social come massima aspirazione per dar sfogo al narcisismo virtuale, la platea virtuale come unica amica della solitudine esistenziale, declinazioni delle depressioni, distorsioni dei processi emotivi, fuga dal se, rimodellamenti dei legami familiari, nuovi ritorni e nuove dipartite delle economie domestiche, riappropriazione del sé e nuove ritualizzazioni, costruzioni di catene solidali dentro il turbocapitalismo, neo-antropizzazione della natura. 

L’urgenza- che non è uno slogan di propaganda politica sbraitata da sciacalli che animano i servizi del telegiornale per allarmare o impietosire il popolo italiano nel rituale del pranzo o della cena - dar voce alle voci sommerse del  patrimonio umano, marginale, rinchiuso, chiuso, recluso non solo  nelle proprie abitazioni, ma anche e soprattutto in quegli spazi mentali e psicologici.

Il Covid-19 non è solo un virus. E’ un fenomeno pervasivo che sta alterando i paradigmi dentro cui la società si è incancrenita, accanita e affossata. In questo momento storico- attraversato da crisi sanitarie e smottamenti socio-politici- una possibile via d’uscita dal narcisismo e  dall’egoismo strabordante farcito di individualismo sociale, spacciato per forme solidali di comunismo, socialismo e comunanza, siano forme di progettualità e cooperazioni  che mirano ad entrare in connessione con il materiale fragile dell’umanità.

Come un viaggiatore, trascorro ore ad osservare fisso ed intensamente il mondo davanti ai miei occhi posando spesso il mio sguardo sull'impossibile. Sull’impensabile. Sull’inafferrabile. Sull’istinto.



Ascoltiamo il ritmo dell’eco-sistema in cui siamo finiti. Abbandoniamo la testarda volontà di voler comprendere il significato di tutto. Lasciamo crollare le nostre certezze, così come crolla tutto questo in cui siamo immersi. Usciamo da noi stessi divenendo lo stesso crollo. Inizieremo/iniziamo così veramente a vivere -forse- per la prima volta e per sempre. Devi andare nelle città, ti devi dare del tempo, che è il tempo della ricerca, della scoperta, dello smarrimento, il tempo di dare forma alle cose e al disagio. Solo così saremo vivi. Altrimenti saremo sepolti sotto le polveri di amianto oppure avvolti dal manto invisibile delle radiazioni 5G.


Nonostante le sfide poste dal contesto attuale, la Fondazione SoutHeritage/Matera ha  continuato a sostenere la creazione contemporanea con il suo programma d’esposizione  “APERTO? dentro e fuori SoutHeritage.” Il palinsesto è costituto da sei interventi artistici le cui produzione hanno lavorato sul concetto di chiusura, preclusione e riduzione, oscillando tra smantellamento e costruzione di un’esposizione. Un programma scelto in sono stretto dialogo con le particolarità spaziali dell’architettura della fondazione, una cappella gentilizia del XVI sec., che presenta una porzione architettonica vocata a vestibolo, spazio metaforico per eccellenza, interno e esterno allo stesso tempo.
Il terzo progetto scelto dalla Fondazione SoutHeritage è stato  “To futureless memory – possibilità di un memoriale”  da me e si inserisce pienamente nel solco delle idee e degli approcci radicali ai formati espositivi promossi dalla fondazione che, fin dalla sua istituzione, sono sempre stati tesi a rimodellare e riconfigurare il concetto di mostra. Il progetto in situ “To futureless memory – possibilità di un memoriale”, è pensata come riflessione su questo particolare momento storico di perdurante emergenza sanitaria confrontandosi direttamente con lo spazio espositivo della Cappella dei Sette Dolori, mettendo in evidenza, attraverso la sua ricerca artistica indagando elementi laterali e dimenticati dalla storia per una riflessione sulla situazione di distanziamento fisico-sociale che abbiamo vissuto e che stiamo ancora esperendo.

L’installazione ha connotato lo spazio evocando le tematiche del dolore e della chiusura con elementi visivi tra iconografia classica, infoestetica e datapoiesi, enfatizzati ad una dimensione sonora composta da un montaggio di file audio recuperati attraverso una call attivata dall’artista a marzo 2020- rivolta a raccogliere e collezionare contenuti di racconto sulla quotidianità degli italiani durante l’isolamento per Coronavirus. Il processo e le riflessioni poste in campo dell’artista sui concetti di isolamento e connessione, lontananza e vicinanza, singolarità e coralità confluiscono nel progetto attraverso la stratificazione di linguaggi e di approcci mixando suono, immagine, partecipazione collettiva e relazione umana, tratteggiando un possibile ritratto del tempo/spazio che stiamo esperendo vivendo quasi un urlo straziante dal futuro ormai prossimo. 

 


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