La donna capovolta di Titti Marrone
Paola Casulli - New York

La donna capovolta di Titti Marrone

diFloriana Coppola

In  questo romanzo, Titti Marrone ci conduce all’interno dell’incandescenza depressiva di un tema privato, che può essere considerato assolutamente politico. La storia del capovolgimento esistenziale  e della relazione conflittuale tra Eleonora,  intellettuale borghese e progressista, e  Alina, ingegnera moldava, in Italia per lavorare come badante. La questione della cura  degli anziani è il punto dolente della narrazione che si sdoppia in due direzioni. Eleonora è costretta dalla demenza senile della madre a capovolgere il suo ruolo di figlia, diventando responsabile assoluta dell’assistenza domestica, in un maternage insofferente e precario. Alina invece ha dovuto nascondere in Italia la sua reale identità professionale e culturale, convinta di una possibile competizione con la sua datrice di lavoro. Il rapporto madre/figlia  e la relazione padrona/dipendente sono sviscerati in tutta la loro ambiguità destabilizzante, dentro l’universo casalingo, palcoscenico grottesco di una convivenza vissuta sotto l’egida della diffidenza reciproca e dell’inganno. Nell’oikos urbano, all’interno della gestione organizzativa della cura, le figure maschili sono sfuggenti e superficiali. Il maschile e il femminile non riescono a incontrarsi sul piano della corresponsabilità e della condivisione. La narrazione sottolinea il dato scontato che la responsabilità della cura dei vecchi genitori spetti alle donne, siano esse figlie o sorelle. Anche per le donne straniere è evidente la totale presa in carico sia della disoccupazione dei mariti, sia delle prospettive lavorative dei figli e dei nipoti. Il welfare italiano, ancora oggi si appoggia in modo assoluto sul sacrificio oblativo e usurante delle donne, che vivono con alternanti sensi di colpa e di fuga lo svolgimento drammatico di tale incombenza. Si sa che in Italia, le donne rimangono in casa. Il tasso dell’occupazione femminile è ancora basso (poco oltre il 48%). Una donna su tre lascia l’occupazione dopo la nascita del primo figlio. Le consigliere regionali delle Pari Opportunità denunciano l’assenza  reale di sostegno alle famiglie per gli anziani, i disabili e i bambini. Nel settore privato per una donna è meno conveniente lavorare, perché guadagna il 18% in meno della paga oraria degli uomini. Questo furto di stato rende le donne altamente svantaggiate (gender pay gap) e in conflitto tra il desiderio di un inserimento professionale coerente con il titolo di studio e il bisogno morale e affettivo di curare i figli piccoli e i genitori anziani. Lo scarto culturale tra un ideale paritario tra uomini e donne e la realtà italiana viene registrato crudamente da questo romanzo. Eleonora si sente in colpa perché affida sua madre a una estranea, con cui da subito entra in competizione affettiva. Alina soffre la lontananza dai figli e si fa ricattare per questo. Nessuna di loro è consapevole fino in fondo che le contraddizioni  della loro vita privata sono funzionali ad un sistema economico patriarcale e sessista che si basa ancora sull’appoggio effettivo e sostanziale  delle donne nella sfera domestica e assistenziale.

Lo strazio assoluto di accompagnare  nella malattia e nella morte la propria madre conduce in una dimensione struggente, che mette a dura prova il legame d’affetto. Ogni relazione di aiuto ha in sé un potenziale depressivo, stressante e usurante, ma l’assistenza al processo di deterioramento fisico e psichico della propria madre è per ogni figlia una fonte infinita di dolore, amplificato da un grosso stravolgimento del quotidiano. Diventare la madre di tua madre, offrire sostegno fisico e morale verso una persona a cui si è legati da un amore a volte pieno di contraddizioni è un’esperienza devastante, anche perché la direzione di questo impegno è la morte. Senso di colpa, senso di impotenza, responsabilità delle scelte, tenerezza e desiderio di fuga: tutto si contamina in un cocktail esplosivo e autolesivo. Titti Marrone descrive con una prosa asciutta ed efficace questa condizione femminile, fino a esprimere lo sconcerto stressante della protagonista Eleonora, il senso di solitudine che prova e che diventa motore del suo avvicinamento ad Alina, di cui percepisce la disperazione  e la determinazione. Alcuni passaggi narrativi sono pieni di sarcasmo, per stigmatizzare i reciproci pregiudizi delle due donne, fino a costruire un’ atmosfera grottesca e caricaturale. Nessuna delle due è esente da ipergeneralizzazioni banali e superficiali sull’altra. Non esistono buone e cattive, vittime e carnefici, sfruttate e sfruttatrici. I confini di ogni categoria sfumano, liberati dalla trappola della casella sociale. La borghese italiana finge di essere una persona di vedute larghe e l’ingegnera moldava finge di essere ignorante perché presume erroneamente una possibile competizione. Ognuna è vittima del pregiudizio. Tutto è un mascheramento, un opportunismo reciproco, un vampirismo affettivo, lì dove le istituzioni sono colpevolmente assenti. 



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