La Krumau di Schiele e di Rilke
Opera di Edoardo De Candia

La Krumau di Schiele e di Rilke

diMonica Silvestrini

I colori delle case, le superfici ruvide, il dettaglio curato con amore, decorazioni in stucco, portali medioevali in pietra e ogni angolo, ogni vicolo, che raccontano la storia della città e lo scorrere del tempo. La Moldava che scorre. Eppure, sulle tele di Schiele, Krumau era “La città morta”. Egon Schiele non ritraeva paesaggi, era nei suoi paesaggi. Attraverso i quali si ritraeva, con la sua vita, e con la sua gente. Krumau moriva, ma poteva anche rinascere. Krumau era morta ma avrebbe potuto risorgere. Aveva dato i natali a sua madre. Suo padre, malato, aveva tentato il suicidio a Krumau. Era accaduto durante una breve vacanza, che Adolf Schiele aveva trascorso con l’intera famiglia. Quando cala la sera, ci sembra quasi di vedere una delle sagome di Munch su un ponticello: occhi fissi e tutti vicini. Un gruppo indistinto di ombre nella cittá, che sembrano evocare i versi di T.S. Eliot:

 Città irreale,

 sotto la nebbia scura di un’alba d’inverno

una folla fluiva su London Bridge, tanta

che io non avrei creduto che morte 

tanta ne avesse disfatta. Sospiri

corti e rari ne esalavano

e ognuno andava con gli occhi fissi davanti ai piedi. 

Fluivano

su per il colle e giù 

per King William Street fino a dove

Saint Mary Woolnoth segnava le ore

con suono morto sull’ultimo tocco delle nove.

(Traduzione dall’inglese di Angelo Tonelli) 


Ma una città su un fiume non può essere una città morta. Krumau, in realtà, non era una Terra desolata di gente morta. Eppure, sembrava tutto contradditorio a tutto. Schiele amava Krumau ma così la vedeva e la dipingeva. E allora si dissolvevano i colori dei tetti. Una specie di sudario velato e immaginario avvolgeva la cittá, che lo segnava a dito per immoralitá: era un rosso, un bohemian che aveva contaminato l’idilliaca cittadina. La stessa madre dello studente che gli trovò la casa, non lo vedeva di buon occhio per l’attrazione che l’artista esercitava sui giovani del luogo. 

Wally era allora diciassettenne, era la sua modella; nella Sommerhaus, i due convivevano. Si dice che in passato avesse posato per Klimt, anche se non si conoscono opere che la ritraggano. Forse erano stati amanti. Aveva una storia triste alle spalle. Il padre, maestro elementare, era morto prematuramente e la famiglia si era ridotta in miseria. Oltre che a posare per Schiele, Wally aveva lavorato come commessa e svolto altri lavori. Il suo vero nome era Walburga. 

Schiele fu uomo di passioni. Il sangue scorreva in lui, rosso, come il fiume nero scorreva a Krumau. Della città egli amava le vie, i luoghi più nascosti, tutta la campagna intorno. Amava il fiume vivo. Non era un luogo qualsiasi. Era Čheský Krumlov, così affascinante, di via in via. Dominata da un castello di stile rinascimentale, misteriosa e romantica con i suoi eremi, vivace con le sue osterie. Oggi patrimonio Unesco ( lo è dal 1992) e baciata dalla fortuna per la sua vicinanza alla selva boema, con le sue miniere d’argento. Il castello di Zameck risale alla metà del tredicesimo secolo ma molti interventi che rimandano anche al Rinascimento italiano, furono compiuti nel sedicesimo e diciassettesimo secolo. Il castello e la città attrassero anche il poeta Rainer Maria Rilke, che ne esplorò i luoghi, raccontandoli nelle sue opere, profondamente ispirato dalle stanze del castello. In “Das Thurmzimmer”, commedia inedita di un solo atto, Rilke racconta di una sfortunata giovane, figlia di un barbiere, che esce dal castello come rapita da incantesimo. Rilke si fece ispirare dalla leggenda della fanciulla di cui Don Giulio Cesare, figlio folle dell’imperatore Rodolfo II, si era invaghito, che, impazzita, si lanciò da una finestra della torre. Dello stesso anno, 1895, è il racconto “Bhömische Schlendertage”, nel quale lo scrittore descrive la sala delle maschere, capolavoro di Lederer, con i suoi affreschi: lords e nobildonne, giganti e nani, arlecchini e maghi e musica ovunque. Sia Schiele che Rilke legarono parte della propria vita a Krumau. Non è forse casuale che entrambi ne furono magicamente attratti. Così diversi Rilke e Schiele, ognuno con il suo Dio, un Dio che sta nel soffio, nel respiro per Rilke, che in una delle sue poesie giovanili così scriveva: 


Non attendere che Dio a te venga

e dica: io sono. 

Non ha quel Dio senso alcuno

se mostra la sua forza. 

E’ in te, che dall’Inizio lui soffia 

e se avvampa il tuo cuore 

e nulla rivela 

sarà lui allora che in te si svela. 


(Traduzione dal tedesco di Monica Silvestrini)


E un Dio cheè là, e io lo sento intensamente, molto intensamente, con la massima intensitàquello di Schiele. Tra Eros e Tanathos Schiele, come Rilke, vive intensamente, totalmente, la sua condizione dell’essere qui, in una condizione bensì precaria. La vita, la morte, il suo fuoco. L’erotismo dirompente di Schiele. Assalti vitali. Fuochi. Schiele, come Rilke, guardava dentro l’uomo: “Se intendo conoscermi interamente dovrò leggere in me stesso”. Potremmo dire che Egon Schiele godeva del respiro della natura circostante la città sul fiume nero, con la torre rossa. Ed ora essa riappare, passando attraverso gli occhi, sulle tele. 

Come recitano i versi di Schiele:

Gli artisti possono sentire 

la grande Luce vibrante

il calore

il respiro degli esseri viventi

le cose che passano

e che svaniscono.

( traduzione dal tedesco di Monica Silvestrini)

Ancora oggi sono pochi i treni diretti da Praga a Česky Krumlov. La lunga ondeggiante ansimante vecchia arteria sulle rotaie conduce i suoi passeggeri nel cuore pulsante della Boemia meridionale.

Due treni Express furono istituiti nel 2016 e intitolati alla memoria di Josef Seidel, fotografo, e di suo padre Frantisek. Altrimenti, é necessario raggiungere la stazione di České Budějovice e da lí prendere un secondo treno. 

In treno, viaggiando da un paese all'altro, si oltrepassano distese di campi verdissimi, boschi fieri di una natura rigogliosa, chiome leggere spumeggianti e dolci colline, punteggiate da casette. Grandi occhi azzurri interrompono la campagna, perché questa é terra di laghi, di foreste e di cielo. Delle case, all'orizzonte, si vedono solo i tetti rossi spioventi. Il treno viaggia nel bosco e la natura tutta gli consente l'accesso. Il treno viaggia nel bosco e il sole rimane fuori. Come puó un artista di paesaggi dell'anima non vedere e non sentire la vita dinnanzi a tale volto della natura? A Krumau, dalla casa affacciata sulla Moldava, Egon Schiele traeva ogni ispirazione dall'acqua, dall'erba verde che separava la casa dal fiume. Disegnava fiori: margherite, papaveri e viveva la vita d'acqua che Krumau gli portava, cosí viva, con vie di fiume che la attraversano, specchio di torri e di palazzi, corrente di vite impetuose. Krumau, la cittá che lo aveva rapito, lá dove la doppia ansa del fiume rende questo luogo magico per la sua naturale collocazione, Egon dipingeva, viveva la sua casa sul fiume e la lasciava, talvolta, per passeggiare in cittá. Percorreva il lungofiume e poi un vialetto che lo conduceva al ponte. 

In estate, aveva frequentato anche l'accademia a Krumau. E passeggiando, quando lasciava l'erba e il fiume, in quel suo vagare, egli oltrepassava le belle fontane di Krumau: quella della piazza, quelle del castello, la piccola fontana di via Kostelnií. Passava oltre gli stemmi con rosa rossa su fondo argentato dei signori di Rosenberg, che avevano fatto di Krumau un grande centro culturale, fino alla loro estinzione nel XVII secolo. E arrivava al suo caffé nel quartiere di Latrán, che é anche il nome della via principale che lo attraversa, il Finkova Kavárna, in via Latran al n. 37, anche se talvolta al Fink preferiva L’Angelo d'oro ( Zlaty Andel). Perché Krumau era divenuta la sua casa, il suo rifugio. Era Krumau che lo ispirava. Era Krumau che egli dipingeva dall'alto, come un uccello in volo. Uno degli uccelletti canori che lo allietavano fuori dalla sua casa sulla Moldava. Solo in questo modo egli pensava di catturare, al volo, il carattere indigeno del luogo, la sua anima. Come Roessler, suo amico e mentore scrisse: “ L’arte di Schiele non parla nè al cuore dell'aristocrazia né a quello della classe borghese. Non parla alle loro menti e ancor meno ai loro sensi. Il suo, è un ruolo a parte, fuori dalla societá – è arte solitaria.” Come un uccello in volo, appunto, o appollaiato in cima alla torre del castello.


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