La migrazione letteraria
Elio Scarciglia - statua di Fernando Pessoa - Lisbona

La migrazione letteraria

diAngela Schiavone

Con il termine “migrazione” ci riferiamo agli spostamenti periodici, temporanei o definitivi di uccelli, animali, persone, in cerca di migliori condizioni di vita. Quando emigra l’essere umano, porta con sé la possibilità di lasciare tracce di vario tipo. Tra queste, la scrittura, in modo particolare la scrittura letteraria, raccoglie la storia personale di chi scrive, quella della terra di provenienza e il codice lingua. Chi traduce uno scrittore straniero, in questa che Calvino definisce un’arte, deve essere pronto a” mettere in gioco se stesso per tradurre l’intraducibile”. Con questa affermazione Calvino intervenne, nella spinosa questione sull’arte del tradurre[1] schierandosi con la posizione di Benjamin e Derrida nel sottolineare che “per avere un passaggio interlinguistico compiuto è necessario, non solo conoscere la lingua, ma sapere entrare in contatto con lo spirito della lingua, lo spirito delle due lingue, sapere come le due lingue possono trasmettere la loro essenza segreta”. C’è, tuttavia, una diffusa tradizione di scrittori di origine straniera che scelgono di scrivere in una lingua diversa da quella d’origine. Ritengono, infatti, valida una narrazione che si riferisca ad un percorso di formazione basato, non sull’assimilazione forzata dello stile di vita del luogo di accoglienza, ma su una narrazione che testimoni l’incontro con altri stili di vita. Questi” scrittori migranti” propongono una scrittura d’avanguardia nel panorama della letteratura mondiale perché creano, con la loro lingua, qualcosa di nuovo e fanno della loro identità una radice che incontra altre radici. In questo modo viene giustamente messo in discussione il dominio assoluto di alcuni valori e ci si incammina verso quella che Eduard Glissant,[2] poeta e romanziere martinicano, definisce “cultura creola o creolizzazione”, con esplicito riferimento al processo di adattamento al nuovo mondo iniziato con gli Spagnoli e che è tuttora in atto. Dice Glissant:” Lo scrittore moderno non è monolingue, anche se conosce una sola lingua. E’un ente in mutamento perché scrive in presenza di tutte le lingue del mondo”. Si fa coincidere l’imprinting incancellabile della lingua d’origine, i suoi rimandi, le allusioni, le atmosfere, con la nuova lingua. Potremmo dire che, nel novecento europeo, l’emigrazione, l’immigrazione, l ’esilio hanno prodotto un rinnovamento. Con la congiunzione delle culture, le lingue si sono impollinate reciprocamente e sono state rivitalizzate dall’ibridazione che crea una nuova parola in grado di creolizzare altri mondi. Simone Weil diceva che una persona sradicata ha due scelte possibili: vivere un’inerzia dell’anima pari quasi alla morte o gettarsi in un’attività che tende a sradicare quelli che ancora non lo sono. Gli scrittori migranti sono, secondo la definizione di Carmine Chiellino[3], satelliti che girano intorno alla terra per tutta la vita. Non sono partiti da nessuna zona perché non sono”e-migranti” e non arriveranno in nessuna parte perché non sono ”im-migranti.”  La forza di questi scrittori  è nella capacità di creare una mediazione tra la lingua madre e la lingua scelta che essi piegano ad esprimere il loro dolore, la loro gioia. In questo modo, secondo la ricercatrice del Cnr, studiosa di scritture femminili e di interculturalità, Clotilde Barbarulli[4], si realizza una modalità di scrittura che, senza annullare il luogo da cui nasce la parola, si apre al polimorfismo della totalità- mondo. I migranti writers sono scrittori di confine perché provengono da paesi diversi, e scrivono in una lingua di elezione che, spesso, è quella del paese di arrivo. Il fenomeno della “scrittura migrante” fu visto in modo preoccupante dalla società europea dagli anni settanta con una prima ondata di scrittori provenienti dal Sud e dall’Est. L’Italia, interessata da sempre al fenomeno dell’emigrazione, si trova, in questo caso, a subire una migrazione letteraria, seppur in ritardo rispetto ad altri paesi europei dove, per effetto di un passato coloniale, si erano già creati degli interscambi tra identità diverse La prima fase della scrittura migrante, in Italia, risale al 1990,quando vengono pubblicati tre libri scritti “a quattro mani ”nel senso che lo scrittore collabora con un italiano.: “Chiamatemi Alì” del marocchino Mohamed Bouchane; “Immigrato” del tunisino Salah Methnani” e “Io venditore di elefanti” del senegalese Pap Khouma. Si tratta di una letteratura di testimonianza che parla del disagio dell’emigrazione ( emarginazione, lotta contro il pregiudizio, burocrazia, forze dell’ordine, sopravvivenza precaria).In seguito, questi scrittori si svincolano dall’autobiografismo e raccontano il loro punto di vista in tutte le direzioni e nelle varie modalità espressive di uno scrittore autoctono. C’è sempre il tema interculturale, ma lo sguardo è sulla realtà oggettiva, come nel caso di “Le ragazze di Benin City” di Isoke Aikpitanyi[5] in cui, l’autrice parte dalla propria esperienza di schiavitù sessuale e racconta le tragiche storie di sopraffazione delle ragazze nigeriane, spinte a prostituirsi dalla criminalità organizzata.  Numerose le donne tra i migranti writers per due motivi: sono state le prime ad emigrare verso l’Italia e hanno acquisito una maggiore libertà di espressione rispetto ai paesi di origine. L’esperienza dell’emigrazione, come sostiene la filosofa del nomadismo Rosi Braidotti[6], fornisce a queste donne gli stimoli per ricreare dovunque la propria dimora la scrittura diventa un’opportunità di autorappresentazione. Nasce la necessità di parlare il linguaggio dell’altro per rappresentare la propria soggettività nella cultura del paese in cui si vive. Sotto la spinta di questo bisogno di appropriazione del linguaggio, nascono fenomeni di ibridazione linguistica come il portuliano di Christiana de Caldas Brito, un misto di portoghese e italiano simile ai suoni degli emigranti italiani in Brasile. La Brito vuole scrivere in italiano filtrato dalla sensibilità che si è formata altrove. Le radici della sua identità sono esposte  come quello di un albero sradicato ,ma si trasformano a contatto di altre radici. Tutti possono entrare in empatia con l’immigrato.


 1 Italo Calvino, Sul tradurre in Mondo scritto e Mondo non scritto. Mondadori, Milano

2  Edouard Glissant, Poetica della relazione, Poetica III

3  Carmine Chiellino, Lectio magistralis, Seminario Italano Scrittori Migranti

4  Clotilde Barbarulli ,Scrittrici Migranti, Altera collana di intercultura di genere

5  Laura Maragnani  Isoke Aikpitanyi, Le ragazze di Benin City .Edizioni Melampo.

6  Rosi Braidotti Soggetto- Femminismo e crisi della modernità. Roma- Donzelli



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