La Russia nelle Anime morte di Gogol
Foto di Salvatore Ruggiu

La Russia nelle Anime morte di Gogol

diWalter Di Chiara

Nel 1842, Nikolai Vasil’evič Gogol’ dà alle stampe il primo volume delle Anime morte, oggi considerato dalla critica, anche se solo la prima parte di un’opera incompiuta, il primo grande romanzo russo, un testo che del romanzo russo contiene la cifra caratteristica dell’incastro di generi e trame che giunge, talvolta, alla complessità di certi libri sacri della tradizione giudaico-cristiana.

Un’opera incompiuta, dunque, che era destinata, nel progetto di Gogol’, a constare di tre parti, le quali dovevano rispecchiare la struttura tripartita della Commedia di Dante (Inferno, Purgatorio e Paradiso); ed è proprio con «poema» che, nelle stesse pagine del libro, l’autore definisce la sua opera. Altro elemento da menzionare, poi, tipico dei grandi poemi della letteratura occidentale antica e moderna, e che qui ricorre come fondamentale, è quello del viaggio. Il viator che testimonia al lettore la Russia delle province (ma pure, in maniera più indiretta, quella delle metropoli) è Čičikov, un ometto ambizioso che tenta in ogni modo di arricchirsi in modo illecito: la sua ultima trovata è quella di acquistare a poco le anime (termine col quale si indicavano i servi della gleba) di alcuni possidenti per poterle ipotecare e trarne un grosso capitale. Per mettere in atto il piano a poco prezzo, Čičikov non vuole acquistare i servi ancora vivi, ma le “anime morte”, vale a dire quelle non ancora decurtate dall’ultimo censimento quindicennale e sulle quali i proprietari terrieri devono tuttavia pagare ancora il testatico. Un’operazione al limite della legalità, che fa dell’eroe del poema non tanto un viaggiatore dell’oltretomba alla maniera di Dante, quanto un nuovo traghettatore dell’Orco.

Le ombre che il protagonista incontra lungo il suo percorso sono quelle dei proprietari terrieri con i quali tratta per l’acquisto delle anime. L’immagine che queste offrono della Russia, per quanto vista col distacco ironico tipico della scrittura di Gogol’, è desolante: a partire dalla descrizione delle loro proprietà si comincia a capire qualcosa delle diverse personalità incontrate, che, nella migliore delle ipotesi, non si danno alcuna cura dei propri servi, se non per lo scopo di guadagnare sulle loro spalle (come nel caso di Sobakevič, il possidente-cane). Complice di questa visione è l’incompiutezza dell’opera: in quello che ci rimane della seconda parte del libro, infatti, si comincia già a leggere di qualche proprietario che fa sviluppare la propria azienda in modo ottimale e che si risparmia meno per il benessere delle proprie anime (anche se quando lo fa è spesso con l’interesse di un miglior profitto personale); la terza parte, mancante per intero, avrebbe poi dovuto contenere il ritratto del proprietario ideale. Una delle pagine più celebri del libro è la conclusione del capitolo undicesimo, l’ultimo della prima parte delle Anime morte:

Non sei forse così anche tu, Russia, che quale ardita trojka insorpassabile voli via? Fuma sotto di te la strada, rimbombano i ponti, tutto si perde all’indietro e rimane alle spalle. Si è fermato uno spettatore, folgorato dall’incanto divino: non è forse un fulmine scagliato dal cielo? Che significa questa corsa che incute terrore? E che forza invisibile e racchiusa come una luce in questi cavalli invisibili? Eh, cavalli, cavalli! Che cavalli! Ci sono forse fulmini annidati nelle vostre criniere? È un acuto orecchio a vibrare in ogni vostra vena? Dall’alto hanno udito il noto canto, e subito all’unisono hanno unito i bronzei petti e, quasi senza sfiorar terra con gli zoccoli, si sono tramutati in linee protese, volanti nell’aria, ed essa sfreccia, tutta infusa di divinità!... Russia, dove stai volando, da’ una risposta! Non dà risposta. Con suono stupendo si diffonde lo scampanellio; rimbomba e si muta in vento l’aria fatta a brandelli: vola accanto a tutto quel che c’è sulla terra, e guardando di sbieco si fanno da parte e le cedono il passo gli altri popoli e le altre nazioni.

Siamo nel momento in cui Čičikov, quando il suo piano è stato ormai scoperchiato, si dà alla fuga dalla città di N. dove aveva trovato terreno fertile metterlo in atto. La Russia viene qui vista come una trojka, tipica carrozza a tre cavalli, che procede al galoppo senza fermarsi per spiegare dove vada a parare a chi la guarda ammirato.

L’immagine qui descritta dall’autore è un’immagine poetica, legata alla sfera della trascendenza, che trasporta il lettore verso il mondo successivo, quello del “purgatorio”, se si vuole seguire lo schema dantesco che Gogol’ aveva pensato per il libro. Bisogna pure considerare, tuttavia, aspetti che il lettore non può percepire sempre come celebrativi e che si imperniano, verso la fine, sulla frase «Russia, dove stai volando, da’ una risposta! Non dà risposta». Qui, alla fine della prima parte del viaggio delle Anime morte, dove il lettore si è trovato sballottato da un paesaggio a un altro, in pieno inverno, e ha avuto modo di vedere il “fondo dell’inferno” con l’ultimo dei proprietari che il protagonista incontra, Pljuškin, facilmente tornerà a galla in chi legge l’immagine di una nazione che vola chissà dove e abbandona i propri figli a loro stessi (per non dire dei fenomeni di corruzione, qui rappresentati senza troppi filtri, che appestavano gli uffici pubblici delle capitale). Per Gogol’ non siamo dunque che spettatori in un mondo che viaggia a due velocità: una patria che va al galoppo e la sua gente, almeno quella degli strati ultimi della società, che rimane quasi immobile a guardare chi sfreccia davanti a sé

Quello della raffigurazione della Russia nel suo romanzo è un pensiero che turba molto l’autore, il quale aveva molto timore del giudizio che si potevano fare gli altri sul suo conto o su quello della sua opera. Erano tanti, infatti, nella Russia di quel periodo, i circoli letterari o le riviste che avrebbero potuto criticarlo. Si pensi, sempre riguardo a questo aspetto della sua personalità controversa, alla difficoltà che ha nel prosieguo della seconda parte delle Anime morte (che viene data addirittura alle fiamme) o, ancora, alla pubblicazione della sua prima opera, un poemetto giovanile, quando si era trasferito da poco a Pietroburgo dall’Ucraina dov’era nato: dopo aver letto una cattiva critica, Gogol’ si reca nelle librerie della capitale dove era stata distribuita per acquistarne tutte le copie rimaste e distruggerle.

Se alcuni intellettuali potevano leggere nelle Anime morte un primo esempio di realismo critico – lungi dalle intenzioni dell’autore che sosteneva, come si è visto poco prima, di vedere nella sua opera «una […] invenzione» –, potevano essere molti di più i “difensori della patria” (se non in campo letterario, in campo politico) a non digerire una tale rappresentazione della Russia.

Quella che viene fuori dalle Anime morte è, dunque, la visione di un testo complesso in cui domina il contrasto tra l’ideale conservatore gogoliano e la realtà (secondo quanto scrive in una sua lettera, «un […] invenzione») che ha effettivamente rappresentato nella sua opera. È probabile, a questo punto, che l’autore sperasse in un aggiustamento in corso nella prosecuzione del romanzo, man mano che Čičikov avrebbe incontrato i possidenti ideali. Un lettore che non sappia nulla delle idee di Gogol’ potrebbe infatti pensare a un testo sì ironico, ma anche di denuncia, la denuncia di un potere amministrativo – sia nella sfera pubblica, sia in quella privata – corrotto eticamente e moralmente. Oltre a un naturale ritorno del represso, che deve aver accentuato le ambivalenze dei messaggi che l’autore ha voluto trasmettere con la sua opera, deve aver contribuito a questa visione contrastata che fuoriesce dal libro pure il suo complicato profilo psicologico che lo farà cadere presto malato; Gogol’ morirà infatti prematuramente, nel 1852, consumato anche dall’elaborazione delle sue ultime fatiche letterarie.


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