La trinità in Dante. Dalla "Vita Nuova" alla "Divina Commedia"
Paola Casulli “Ladakh, i monasteri sopra le nuvole”

La trinità in Dante. Dalla "Vita Nuova" alla "Divina Commedia"

diFrancesca Farina

Il volume, corredato da una ricca messe di note, è suddiviso in quattro parti in cui gli autori ripercorrono minutamente le tracce delle occorrenze trinitarie nell’intera opera dantesca, a partire dai testi cosiddetti minori e fino ad arrivare al componimento maggiore, ossia alla Divina Commedia, dove si celebra il trionfo della Trinità per eccellenza. Nella prima parte dal titolo ‘Lo numero del tre’: la Trinità nelle opere minori si ricostruisce l’itinerario spirituale di Dante prendendo le mosse dalla sua frequentazione giovanile dei frati domenicani presso Santa Maria Novella e dei francescani a Santa Croce, ordini religiosi grazie ai quali si impadronì delle idee aristoteliche e della cultura classica in generale, oltre ai principi della Scolastica, di Alberto Magno e Tommaso d’Aquino in particolare. I francescani in special modo alimentarono il suo patrimonio spirituale in senso mistico e profetico secondo gli insegnamenti di Gioachino da Fiore e di San Francesco, benché il Poeta condanni gli estremismi teologici dei primi come dei secondi.

Rilevante altresì risulta la conoscenza dell’opera De Trinitate di Sant’Agostino, che fornì a Dante le necessarie conoscenze rispetto al mistero trinitario, principalmente per quanto concerne la perfetta unità ed eguaglianza tra loro delle tre divine Persone, le quali si riflettono nell’interiorità dell’uomo, esplicandosi nei valori fondamentali di memoria, intelligenza e volontà. Singolare attenzione è posta rispetto alla Trinità pure nei trattati Summa contra gentiles, del già citato San Tommaso, e Itinerarium mentis in Deus di San Bonaventura, da cui discende in Dante la concezione trinitaria secondo la quale la potenza della Trinità si trasmette al Creato e dal Creato a Dio. Se ne deduce che l’attenzione precipua del Poeta nei riguardi del numero tre non è soltanto un fatto numerologico, appunto, ma rispecchia l’intera teologia medievale, a partire dalla giovanile Vita Nuova, in cui egli accosta Beatrice al simbolo trinitario come esempio di perfezione assoluta, fino ad arrivare alla somma celebrazione di Dio e della donna amata nell’ultima cantica della Commedia, ovvero il Paradiso.

In realtà, Beatrice è identificata col numero nove, nel quale è contenuto il tre, dal che consegue che Beatrice è assimilabile a Cristo e alla Trinità stessa, come si può notare fin dal trattatello scritto in gioventù da Dante, dove non soltanto alla Donna della Beatitudine ma anche allo stesso Dante sono assegnati simbolicamente il medesimo numero nove e suoi multipli o radici, quasi che profeticamente egli assuma su di lei e su di sé la medesima valenza di avveramento del progetto divino. Il Poeta diventa dunque, mercé l’apparizione pressoché cristologica della sua amata, schiavo d’Amore e sottoposto miracolosamente alla sua signoria, a partire proprio dalla potente simbologia del tre e del nove. Tali numeri richiamano alla mente l’ora della morte di Cristo, come pure i colori che egli cita fanno riferimento al Suo sacrificio: in realtà, il rosso di cui è rivestita Beatrice ricorda il sangue profuso da Gesù sulla croce e il fuoco della sua Passione, mentre il bianco rappresenta la sua luminosa apparizione alle sante donne presso il sepolcro dopo la Resurrezione.

Gli autori ripercorrono capitolo dopo capitolo a partire dalla Vita Nuova le ricorrenze del numero nove quale segnale fondamentale preposto all’intera esistenza di Beatrice, datrice di beatitudine, fino a giungere alla straordinaria corrispondenza tra la donna amata da Dante e i nove cieli, quindi tra la terra e le sfere celesti, dalle quali ella discese a miracol mostrare, secondo il troppo noto sonetto dantesco, in cui viene celebrata la prima manifestazione della stessa. Il giovanile libello prosegue sotto l’egida di tre concetti elaborati da Sant’Agostino, memoria, intelletto e volontà, di cui si diceva qui sopra, benché doti imperfette dell’uomo, che tuttavia attingono alla Trinità, la quale impronta di sé l’anima di tutte le creature terrestri. La valenza numerologica si ritrova pure in altri scritti di Dante, quali Convivio, De vulgari eloquentia, De Monarchia e Rime, in quest’ultimo testo perfino a livello linguistico, secondo un’impostazione ternaria dei versi riguardante il trisillabismo, ovvero spirituale negli altri, se riferito alla triplice anima umana, ossia vegetativo, animale e razionale, in esatta corrispondenza con la trinità dello spirito elaborata. Ancora nelle opere cosiddette minori si pongono le basi per la concezione dottrinale che scaturirà nel Paradiso, perfetta esplicazione dell’intero itinerario filosofico, teologico e sapienziale di Dante.

Nella seconda parte, intitolata ‘Immagine perversa’: la parodia della Trinità nell’Inferno, rivolgendosi quindi dalle opere minori all’opera maggiore del Poeta, i due studiosi analizzano la natura della prima Cantica, in cui si descrive il luogo di pena assoluta, diviso in nove cerchi e creato anch’esso da Dio, egualmente sottoposto alla potenza della santa Trinità, come si deduce fin dalla terzina 4-6 del canto terzo, cosa che è stata notata tra gli altri da critici autorevoli quali Anna Maria Chiavacci Leonardi, Natalino Sapegno e Chiara Lubich. Perfino l’Inferno, insomma, è immagine di Dio, espressione della sua suprema giustizia e di un ordine superno, di cui è manifestazione speculare a contrasto Lucifero, demonio dalle tre facce in una sola testa, antitesi della divina unità e trinità, tre facce simboleggianti l’impotenza, l’ignoranza e l’odio già secondo gli antichi commentatori, Jacopo Alighieri, Guido da Pisa e l’Ottimo, fino ad arrivare ai contemporanei, il Pascoli, ad esempio, che sottolinea la simmetria tra le tre fiere della selva oscura e il Lucifero del Cocito.

Viene altresì introdotta la figura allegorica del Veltro, che si opporrà alla Bestia salvando l’Italia, come del resto faranno le tre donne, Maria, Lucia e la stessa Beatrice, simbolo rispettivamente della Grazia preveniente, della Grazia illuminante e della Teologia come Grazia cooperante, mossesi a soccorrere Dante, perduto nella foresta del peccato, anch’esse quindi strumento divino che operano in quanto esortate a facilitare la missione profetica del Poeta. Nell’Inferno ricorre perfino la parodia trinitaria in taluni personaggi, a cominciare da Cerbero dalle tre gole e dalle tre Furie o Erinni, poste all’ingresso della Città di Dite, fino ad arrivare al mostruoso Gerione, anch’esso dalla triplice natura demoniaca e simboleggiante la frode, tanto da rappresentare quasi un’anticipazione di Lucifero secondo l’esegesi di Paolo Baldan, ma anche un collegamento con le tre fiere del canto primo, già nominate, in realtà vera e propria allegoria dell’Anticristo. Ancora, i tre giganti messi a guardia dell’ultimo cerchio, esemplificazione della folle tracotanza umana, sono espressione del trinitarismo perverso a cui si è accennato che permea di sé l’intero universo infernale.

            Nella terza parte dal titolo ‘Con ordine corrotto’: le simbologie trinitarie del Purgatorio, procedendo secondo lo schema che gli autori si sono dati, ovverossia rintracciare minuziosamente le figure trinitarie nelle opere di Dante, si perviene ad analizzare la seconda Cantica della Divina Commedia, il Purgatorio, dove non esiste alcuna parodia trinitaria, mentre tutte le anime tendono a riunirsi al loro Creatore insieme al Poeta. La cifra della Cantica sembra essere proprio la coralità che permea il comportamento degli spiriti purganti, i quali annullano in sé qualsiasi desiderio di individualità per attingere all’unisono verso l’amore, unico e vero bene che li condurrà al compimento celeste nel Paradiso. Nel corso della lettura si ritrovano in effetti numerosi riferimenti indiretti alla Trinità, a partire dall’allusione assai significativa al numero tre, che predomina specialmente nel canto IX, uno dei più importanti del Purgatorio, come sottolineano gli autori (pag. 70), che è quello segnante il passaggio dall’Anti-Purgatorio al Purgatorio vero e proprio, a partire dal numero che lo contraddistingue, il nove appunto, multiplo di tre, già rilevato varie volte durante la presente analisi critica.

Anche nel canto IX dell’Inferno Dante aveva dovuto oltrepassare una porta onde evitare le tre Furie che raffiguravano le tre forme del male, mentre i tre gradini che il Poeta deve salire per accedere al Purgatorio simboleggiano il sacramento della confessione nelle sue tre fasi. Tuttavia, numerose sono le terne che si incontrano nell’intera Cantica, a partire dalla tripartizione della stessa in Anti-Purgatorio, Purgatorio vero e proprio e Paradiso terrestre, tanto che perfino i numeri che corrispondono alla misura dei canti sono multipli di tre. Inoltre, l’allusione a strutture ternarie si ritrova pressoché ad ogni passo come preannuncio della perfezione trinitaria del Paradiso a cui tutti gli spiriti purganti aspirano, mistero inaccessibile alla mente umana. Diversi commentatori, rilevano gli studiosi (pag. 77-80), hanno notato come nel Paradiso terrestre l’aspetto trinitario sia altamente rilevante grazie alle ricchissime simbologie che si rinvengono in molti versi in cui si allude tra l’altro alla corruzione della Chiesa ai tempi di Dante, col conseguente suo appello alla povertà evangelica e la premonizione di una nuova epoca tenacemente invocata dai gioachimiti e dai movimenti pauperistici medievali, dei quali il Poeta era strenuo propugnatore.

Tuttavia, è proprio nel Paradiso che si rintracciano le impronte della presenza trinitaria, come esplicato nella parte quarta dal titolo ‘L’orma dell’etterno valore’: dall’impronta trinitaria nella creazione al Paradiso permeandone l’intero disegno, secondo quanto segnalano Crupi e Calabrese riportando i pareri di autorevoli critici. In alcuni canti poi, ovvero in quelli tra il X e il XIV, dedicati al Cielo del Sole, e ancora nel XV, primo tra quelli incentrati su Cacciaguida, e successivamente in diversi altri, la Trinità è presente in modo significativo a evidenziare il mistero che sta alla base di tutta la Commedia, quello che contempla tre Persone in una fino a cogliere quello dell’incarnazione di Cristo. In realtà, rilevano gli autori, la vera legge del Creato è la Trinità (a pag. 89) e Dante, dall’alto del Paradiso, può coglierne finalmente l’intima essenza se, mediante lo sguardo di Dio, arriva a comprendere l’ordine di tutte le cose grazie a un percorso graduale che, attraverso i vari canti, lo porterà negli ultimi al culmine della visione profetica, trasumanandosi, ovvero superando quasi la propria umana natura. Dall’unità divina deriva l’immensa molteplicità delle forme delle creature della terra e dell’intero universo, teoria non scevra da aristotelismo e neoplatonismo, oltreché ispirata alla filosofia di Severino Boezio. San Tommaso è l’altro sapiente sul quale Dante fa affidamento per risolvere i dubbi che lo assillano sull’origine del Creato e sul dogma della Trinità, misteri strettamente connessi tra loro e che si richiamano inevitabilmente al Verbo increato, summa ineffabile della cosmologia dantesca.

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