Lo spazio poetico e simbolico in L. Ariosto e l’epica sacra in Michelangelo Buonarroti 1^ parte
Alberto Cini, Alma - per gentile concessione della galleria Sgallari Arte - Bologna

Lo spazio poetico e simbolico in L. Ariosto e l’epica sacra in Michelangelo Buonarroti 1^ parte

diVincenzo Crosio

Ciò che Heidegger definisce l’epoca dell’immagine del mondo, (la prospettiva simbolica del mondo come la scuola di Warburgh definisce l’estetica fenomenologica) è nei fatti una creazione del Rinascimento.La grande novità di questo primo singolare movimento estetico che dalle corti principesche italiane si diffonde in tutta Europa è l’aver teorizzato e poi costruito lo spazio come simbolo di una unità  estetica, visiva secondo un modo. Quella che Ervin Panovsky chiama per l’appunto la prospettiva simbolica. La parola moderno deriva da questo modo italiano del Cinquecento di coniugare il canone estetico greco-romano e una sensibilità nuova proprio delle corti principesche italiane. A qual punto di  ricchezza e di fasto fossero giunte le città-stato italiane come Milano, Firenze, Venezia, Ferrara,Roma, Napoli (per dire le maggiori) è evidente dall’immenso patrimonio artistico, architettonico e pittorico unico al mondo che questo periodo ci ha lasciato per fortuna in gran parte intatto. Per trovare un equivalente nella storia della civiltà bisogna riferirsi a civiltà come quella di Cnosso e Creta,o le grandi pitture parietali romane o egizie. L’impressione è di una totale ricombinazione dei simboli iconografici. Lo stile matematico e prospettico, a grandi volumi è in realtà la realizzazione di una idea di fondo: che lo spazio urbano, architettonico e pittorico sia una unità simbolica che perviene alla abitudine umana di abitarlo.Abitare lo spazio urbano, fare dell’abitudine urbana lo spazio che gli uomini di questa epoca abitano come dimensione reale è l’ idea che anima architetti come Alberti, Brunelleschi, Leonardo,Bramante o Michelangelo. 

La città ideale è pittoricamente ed architettonicamente descritta come tale nei due dipinti o tavole prospettiche  attribuite alla scuola di Piero della Francesca, col nome appunto la città ideale, il pittore di Baltimora e di Urbino del XV sec. Sembra dunque che la politica, lo spazio urbano del vivere civile occidentale del Quattrocento e Cinquecento in Italia, sia per l’appunto una politica, un modo di fare politica attraverso l’arte, ciò che sostiene Hilmann quando si riferisce ad una possibilità di coniugare bellezza e politica come arte. I cittadini che abitano le città rinascimentali sono spinti dai propri Signori a guardare e a vivere esteticamente il politico. Lorenzo dei Medici scrive delle poesie che restano capolavori assoluti, oltre a governare Firenze. I doge di Venezia instaurano una Repubblica che è leggenda mondiale per intraprendenza economica , vera fucina del nascente capitalismo mercantile, museo d’arte storica a cielo aperto, meraviglia delle meraviglie in Occidente come Oriente.La dimensione comunitaria diventa attraverso un gusto, un modo, il vivere civile di cittadini che gustano esteticamente il bello e dunque questo gusto,questo modo, educa i cittadini alla Bellezza.Solo l’ideale romano e greco di Virtù aveva imposto un gusto ad una intera umanità, solo l’ideale estetico del Buddha coltiverà in Oriente un gusto asiatico di intendere la civiltà. A contatto con l’Oriente persiano e indiano, Alessandro Magno contaminerà e contatterà due gusti, due civiltà.Il regno degli Ashoka  è la viva testimonianza di un argomento simile per l’Asia.

La spazialità come idea, come corpo che vive in uno spazio, è fortemente evidente in due autori che fanno parte della letteratura universale: Ludovico Ariosto(1474-1533) e Michelangelo Buonarrotti(1475-1564).L’uno poeta del Rinascimento e innovatore dello spazio poetico, l’altro genio assoluto dell’immaginario plastico e pittorico del pieno e tardo Rinascimento italiano. Hanno in comune una furia titanica e surreale, in modi diversi l’uno dall’altro, divinamente ispirati. L’uno da un dio bacchico e bizantino, l’altro da un Dio profetico e già barocco.


                                                           

                                                             Ludovico Ariosto


Le stanze dell’Orlando furioso,sono un capolavoro cinematografico dove l’immagine di cavalieri erranti, eroine semidivine e proletari arabi forzano continuamente la scena e la rubano in un sogno pari solo alle Mille e una notte. Vagano, di stanze in stanze, di castello in castello, come in un sogno senza fine.Solo prospettiva e inquadrature mozzafiato. In questo senso , a prescindere della sacralità o meno del poema- ed io azzardo che è il più sacro dei poemi- è un capitolo della storia estetica e teologica ( protestante , riformata ed eretica) del Rinascimento. Dal primo all’ultimo canto il divino è vestito da crociati, draghi, principesse, battaglie furiose e mai terminate,gelosie, amori, ascèsi in un empireo che non è il dantesco paradisiaco, ma solo e solamente una scorribanda in groppa a destrieri lanciati per le pianure europee e asiatiche senza confini di razza e religione.E’ uno spazio nomadico, di extraterritorialità, dove si realizza per forza d’immaginazione la potenza dell’infinito metaforico. Del dio del senza nome, del niente come vuoto assoluto, in cui l’essere disparisce come gli eroi dentro le battaglie mortali. Solo Leopardi e Kafka, nella diversità delle epoche e contenuti, realizzeranno questa fuga senza ritorno come accesso ad un altro codice. E’ un Via di quì , lach lachèn, costantemente intuito come Fuga immaginaria. Crociati di Carlo  Magno si confondono e si azzuffano con i Mori, scenari unici in cui paesaggio naturale, mitico e simbolico, dell’anima e della mente si moltiplicano come in equazione di Fibonacci. Mai narrazione, dopo quella Biblica e Omerica, fu più bella esteticamente e narrativamente.Un fiume in piena che sarà condiviso solo dai Finnigans Wake, le Veglie di Finnigans , del cattolico irlandese James Joyce.Ci sono pause solo per gustare un paesaggio o lo sguardo tenero di due amanti , o l’incontro tra due amici fidati,subitamente presi non da se stessi, ma da una storia come destino che li supera, li travolge.



 Verrìa costui sopra una naviglio armato

 al terminato tempo indi a levarmi.

 E così venne il giorno desiato,

 che dentro al mio giardino lasciai trovarmi.

 Odorico la notte, accompagnato

 di gente valorosa  all’acqua e all’armi,

 smontò ad un fiume alla città vicino,

 e venne chetamente al mio giardino.

Il vortice già è, il turbine già è la forma a spirale volumetrica ed insieme con il cubo spaziale, la soluzione geometria di un dramma umano. La fuga continua verso un orizzonte ignoto. Metafora devastante del nascere e morire. Il cavallo poi è l’emblema di questa stato.Il principe , il cavaliere lo è perché è in grado di cavalcare le prodezze di un cavallo. E di conseguenza una lunghissima fuga di Amore, non verso la purità ma verso lo sfrenamento. E’ la conflagrazione libera e gioiosa di Psiche ed Eros, i veri demoni tutelari che muovono delle marionette simili ai pupazzi siciliani; sono macchine umane, automi mitici, quasi comici nella loro tragica evidenza, condotti dal destino storico verso un congiungimento gioioso o verso un inferno passionale. Sono della medesima fattura e provenienza infatti delle storie dei Cantastorie siciliani, i Pupari, memoria storica minore ma non trascurabile dell’universo eroico  italiano, l’epopea Normanna,i cavalieri indomiti che nel nome della Croce fonderanno regni, ducati e rapiranno regine nei regni conquistati. Un’ epopea dei Burattini che sarà riprese dall’ultimo eroico cavaliere romantico di questa epica: Heinrich Kleist, che scriverà  oltre agli eroici furori di una cavalleria ancora indomita, etica e passione dell’ardore romantico, anche per l’appunto un saggio sulla Teatralità delle Marionette. Epica a dire di molti minore, ma assolutamente popolare e fantastica. Il Regno di Napoli e di Sicilia saranno conquistati, fondati da nomi come Drangone, Ruggero, pochi epici eroi alla conquista del mondo.Fino ad Atene, conquisteranno pure Atene, questi cavalieri erranti, che insieme con i santi e con i mercanti sono i personaggi della Favola.Combattono per il Santo sepolcro e per bellissime dame.Come in Shakespeare altro indemoniato dello Spirito dell’epoca. Coriolano,duchi , principesse e principi devastati dalla passione come Amleto e Macbeth. Stessa potenza, stessa fattura.Come se l’etica fosse diventata per l’appunto estetica.Alla morale si sostituisce la passione eroica. Angelica, principessa del Catai viene inseguita per terra e per mare, fino in cielo da un innamorato folle. Per recuperare il senno impazzito di Orlando, Astolfo naviga su un cavallo alato fin sulla luna, filtri magici e potenza della magia.Non c’è confine tra amore pagano e amore divino,nella loro follia come nella loro saggezza sono tutti santi ed eroi.Anche gli infedeli, musulmani e cristiani tutt’e due infedeli, si amano: il loro Dio talmente simile, li spinge ad una passione agonica , ad un combattimento senza fine, come se il sogno di una cosa, la psicologia del profondo religiosa ed etnica, obbedisse, come nella Bagavaghita ad altro empito, karmico e metafisico.In un momento di pausa cinematografica, Angelica e Medoro giovane soldato saraceno, celebrano all’ombra di un albero le loro nozze con una divinità,Psiche, che li guida sulla strada di Eros. L’albero sotto il quale lo stesso Orlando, vedendo i nomi dei due amanti incisi nella corteccia, precipita nella follia.

”Le donne, i cavalieri e le armi, gli amori , le cortesie, l’audaci imprese io canto”, così comincia il poema, è dunque un poema eroico e cavalleresco come un quadro di Paolo Uccello, di Cosmè Tura,di Rogier van Der Weiden,come la Battaglia di Ponte Milvio di Giulio Romano. Il metro ritmico è un’ottava , un forte scalpitare di zoccolo, in quarantasei canti e 4842 versi, appunto in ottave, divise in stanze , in riquadri come in una galleria fotografica di una corte Rinascimentale. Parigi, Reggio, Ferrara, Modena,Mantova, Este, la Garfagnana, i Principi delle corti italiane,  e le ricche reggie islamiche, le dame e i convegni di corti più fastose della corte di Francia e d’Inghilterra sono i luoghi di questa messinscena, città-reticolo per conto delle quali ingegnosi mercanti e straordinari naviganti solcano i mari trasportando merci e spezie dal mediterraneo fino in Oriente. Sono infatti simili e ricche queste corti come quelle dei rivali musulmani. L’identità e la differenza sono più che nomi, sono Idee. Nel contesto di questa avventura senza fine, dove il tempo inciampa negli eventi naturalmente umani, l’evento sacro diventa avvenimento naturale e mistico, frutto maturo di una religione che è mischiata ad un aristotelismo epicureo, in cui la realtà è vista come accidente,la morte come accidente del corpo, cui solo una medicina può dare sollievo,l’Amore. Solo il filtro d’amore, come il filtro della fattura, del magismo eretico ed alchemico può contrastare, la natura crudele e violenta della vita. Sono la medicina dell’Anima e l’estetica filosofica del Sublime. Mago Merlino e poi il Principe di San Severo, sono eroi popolari, libertini e religiosi al tempo stesso. Questo è lo scenario di fondo e come colonna sonora , lo scalpitìo ora gioioso ora bizzarro di un esercito a cavallo,l’intreccio che anche se in agonia è amoroso, come una danza di Corte appunto.Poema nato dunque per incantare con una favola di altri tempi eroi di un’epica che conquisterà il mondo occidentale, benché lui dica modestamente che l’Orlando Furioso era solo una gionta, un’aggiunta all’Orlando Innamorato del Boiardo.

E dire che il sogno dell’autore, dell’Ariosto, sarebbe stato quello di passare il tempo con la sua amante, nemmeno moglie perché separata e rubata ad un altro nobile. Passò il tempo a combattere per i suoi duchi, i duchi d’Este e di Ferrara e nelle soste a scrivere fin all’ultimo giorno, l’Orlando Furioso, geniale invenzione  di una italica virtù, la narrazione poetica.  Lo strazio di un altro amore dovrà ancora venire.Alla Virtù di un altro amore, melanconico e turpe, tra ascetismo e divinità perduta come in Sodoma e Gomorra, dovrà ancora venire nel più religioso dei pittori del Seicento, il Caravaggio, perché prima c’è il genio plastico per eccellenza che sfida le divinità ed il Dio di Abramo.Stiamo parlando di Michelangelo Buonarroti.


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