Nel profondo dell'anima. Intervista a Suzana Glavas
Alberto Cini,

Nel profondo dell'anima. Intervista a Suzana Glavas

diFloriana Coppola

Noi crediamo che esista in ognuno di noi 

questa vivificante tappa esistenziale,

 che ci fa lanciare tra le macerie 

con la speranza che qualcosa di nostro rimanga.

Margherita Guglielmino


Volevo inizialmente scrivere solo la recensione del bel libro di Jasminka Domas, Rebecca, nel profondo dell’anima, ma poi ho fatto altro. Rebecca è l’alter ego di Domas,  immagine metaforica di ogni persona che si confronta con la perdita e la morte. Un romanzo che supera la tragedia dell’Olocausto e offre una chiave di lettura del mito dell’eroe e dell’eroina. Suzana Glavas ha sapientemente tradotto questo romanzo che permette di rivivere, attraverso la storia di Rebecca, tanti momenti drammatici delle persecuzioni ebraiche in Europa. In uno stile asciutto e fluido, quasi asettico, da reportage cinematografico, i personaggi si muovono su uno scenario che diventa sempre più apocalittico. Eppure lo sguardo del narratore rimane lucido e fisso utilizzando la tecnica dell’iperdettagliamento che crea un effetto di spaesamento e di rarefazione. Ricorda in alcuni passaggi lo stile di Anne Ernaux, per l’atmosfera oggettiva e controllatissima, concisa e senza nessuna sbavatura emotiva. Nessun vittimismo di maniera, nessun atteggiamento pietistico ma protagonista è il montaggio minuzioso dell’azione narrativa, misura di una postura esistenziale eroica e emotivamente sensibile e attenta. Viene valorizzato il punto di vista femminile della donna che attraversa il trauma dell’esodo e della deportazione, cercando appigli per resistere, per sopravvivere senza perdersi. Altra citazione che mi pare possibile fare è il romanzo Suite francese di Irene Nemirosvsky, anche lei scrittrice ebrea, non sopravvissuta ai campi di concentramento tedesco. La traduzione di Suzana Glavas così colta e così precisa mi ha portato a conoscerla e a cercare il suo ultimo libro di poesie, Come stormi colmi di giorni di ritorni. Allora ho capito, con chiarezza, quanta sapienza ci fosse in questa traduzione, quanto valore aggiunto di chi conosce due culture e due lingue e che da poeta riesce con estrema eleganza e sensibilità a restituire al lettore la complessità di una narrazione, che diventa un viaggio sorprendente in un’altra epoca, in un altro paese, in un’altra lingua. Solo chi ama la poesia e la letteratura e la frequenta con esercizio quotidiano,  può tradurre in modo così perfetto un testo. Comprendendo la storia di Suzana Glavas, si può affermare con certezza che la letteratura e la poesia sono atti politici quando coinvolgono il lettore su questioni “sensibili”. Le sue poesie sono la punta di un iceberg, inno alla bellezza del mare e alla simbologia dell’acqua, frammenti di un universo struggente fatto di dolore e di nostalgia, di consapevolezza della perdita e dei possibili ricongiungimenti, poesia relazionale sempre dedicata ad un altro amato e cercato, fonte e sugello di amicizia e di coralità, ma anche scrittura essenziale della gioia di vivere. 

 E cambio forma/e sono orma/ l’idea del piede/ sul bagnasciuga/ che/ a breve/ l’oblio/ dell’onda/ inonda

Suzana Glavaš, laureata in filologia romanza a Zagabria, docente di lingua croata e serba all’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, studiosa di letteratura comparata italo-croata tra due sponde dell’Adriatico e dei rapporti letterari con riferimenti ebraici sulla diaspora linguistica giudeo-spagnola in Dalmazia e nel Mediterraneo, ha pubblicato ad oggi, sugli atti dei convegni e sulle riviste accademiche nazionali e internazionali, 325 articoli e lavori di ricerca su argomenti di italianistica, di filologia romanza, di comparatistica, di ebraistica e di filologia slava. Ha accompagnato da sempre la sua attività di docente universitaria (Università di Bari, Università di Zagabria, Università di Napoli) con traduzioni di autori italiani in croato e viceversa. Degli italiani ha tradotto in croato, e corredato con saggi, prefazioni e/o note bio-bibliografiche, i racconti di Dino Buzzati, Alberto Moravia, Leonardo Sciascia, Italo Calvino, Luigi Compagnone, Matilde Tortora, Luca Signorini, Tullio Pironti. Dei poeti italiani del secondo ‘900 ha tradotto e presentato in Croazia Cesare Pavese, Umberto Bellintani, Alberto Mario Moriconi, David Maria Turoldo, Giuseppe Goffredo, Patrizia Cavalli, Paolo Ruffilli, Carlo Michelstaedter e, dei contemporanei, i poeti napoletani Rita Felerico, Salvatore Nappa, Filippo D’Eliso, e il siciliano Carmelo Zaffora. Tra i croati che a sua cura ha presentato in Italia campeggiano i poeti Vesna Krmpotić, Josip Pupačić, Slavko Mihalić, Luko Paljetak, Mile Stojić, Veselko Koroman, Anđelko Vuletić, Drago Štambuk. Ha tradotto e curato per l’editore Argo di Lecce (1995) la raccolta di racconti La caduta di Magnum di Ivan Aralica e successivamente, per l’editore napoletano CentoAutori, il lungo racconto dello stesso Autore La conchiglia (2010). Con la CentoAutori ha pubblicato nel 2010 anche la piccola antologia del racconto croato contemporaneo, Racconti croati, contenente i racconti di Goran Tribuson, Edo Budiša e Danijel Dragojević. Suzana Glavaš è anche poeta, con 3 raccolte di versi in lingua italiana, di cui l’ultimo Come stormi colmi di giorni di ritorni pubblicato da Carthago Editore (Catania 2021) e il libro di poesie e prose poetiche in lingua croata To sam ja (ed. Biakova, Zagreb 2018). Ha ideato, progettato e curato molti eventi di cultura croata, italiana, ed ebraica in Croazia e in Italia. È componente della Comunità Ebraica di Zagabria e della Comunità Ebraica di Napoli.

Suzana,  a causa della complessità della tua storia,  ho preferito intervistarti e alla fine di ogni risposta ho inserito alcune poesie tratte dal tuo ultimo libro Come stormi colmi di giorni di ritorni pubblicato da Carthago Editore. Ci parli della tua storia e del tuo vissuto personale di intellettuale e donna straniera in Italia?

Sono nata a Zagabria, in Croazia, nel 1959. Sono venuta in Italia, all’Università di Bari, Facoltà di Lingue e Letterature Straniere, dopo aver vinto a soli 28 anni il concorso bandito dal Ministero delle Scienze della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia nel 1987 per i lettori di scambio di lingua croata e serba nelle università all’estero. Allo scadere del mandato di 4 anni, nel 1991 in Jugoslavia era cominciata la guerra e sarei dovuta rimpatriare, ma il titolare di cattedra di Serbo-croato a Bari mi disse che di persone di qualità come me in Italia ce ne erano poche e mi propose di “salvarmi” in Italia e di passare come lettore di madre lingua all’Istituto Universitario di Napoli, come allora si chiamava, perché avevano bisogno di un docente e lui personalmente si dispiaceva di farmi tornare nel mio paese che era ormai in guerra. Accettai e passai a Napoli come lettore di madrelingua a contratto, contratti che per molti anni sono stati a tempo determinato, di pagamento effettivo per i soli otto mesi della didattica. Non è stato facile vivere con uno stipendio per soli otto mesi, avendo un figlio di un anno, ma era una opzione che mi permetteva di pensare anche come salvare, qualora fosse stato indispensabile, la mia famiglia sparsa tra la Croazia e la Bosnia. Ho subito anche episodi di razzismo, essendo croata, con qualche italiano che accusava noi croati di essere dei nazifascisti,  perché durante la seconda guerra mondiale, purtroppo, la Croazia ebbe un  Duce addestrato dal Fascio in Italia negli anni Trenta, che aveva abbracciato l’ideologia nazifascista mettendola anche in atto. Ma, la Croazia, pur essendo stata proclamata agli inizi del 1991 un paese democratico e libero, ha subito l’invasione della Serbia, che non voleva lo sgretolamento della Jugoslavia, ormai sgretolata in ogni senso. Mi sono sentita accusata io, da ebrea, dire che sono una nazifascista; e qui aggiungo che la famiglia di mia nonna, e persino mia madre da bambina, sono state vittime delle feroci leggi razziali croate e abbiamo perso molti famigliari nella Shoah in Croazia, in Austria, in Boemia e in Ungheria, In seguito,  lavorando a Napoli, da ebrea ho subito anche qualche episodio di razzismo antisemita in Italia. Una volta sono stata anche fisicamente aggredita, perché nota per la mia identità di ebrea croata mi esponevo in pubblico, curando a Napoli eventi ebraici culturali per la cittadinanza. Mi sono sentita  dire, in quell’occasione, dopo 30 anni di vita in Italia e da cittadina anche italiana da tanto tempo, “tornatene al tuo paese, schifosa ebrea!” Ho dovuto, ovviamente, denunciare questo grave episodio  a chi di dovere; quegli altri, di importanza non così grave, me li sono tenuti per me.

Qual è il  legame con la tua terra e la tua lingua di origine?

Il legame con la mia terra, per parte di madre è la Croazia, e per parte di padre è la Bosnia, lo sento forte e ovviamente mi  manca tantissimo, in certi momenti. Sono nata a Zagabria, ma l’infanzia l’ho trascorsa a Novi Travnik, dove i miei genitori allora si erano spostati per lavoro, e ricordo quel periodo come un periodo fiabesco, bellissimo, di convivenza tra le varie etnie di cui i miei genitori erano amici (musulmani, ebrei, cristiani croati e serbi). Andavamo spesso in montagna, c’era tanta gioia e un vivere sereno e pacifico. La mia infanzia, ma allora non lo sapevo, è trascorsa nella parte nuova della cittadina di Stari Travnik, dove è nato il nostro unico premio Nobel per la letteratura, il grande scrittore Ivo Andrić.  Alla mia infanzia in Bosnia e a mio padre, che era nativo di un altro paese della Bosnia, confinante con la Croazia, ho dedicato delle poesie; per me la sua casa nativa, la terra dei miei famigliari bosniaci, aveva un sapore antico, avevano usanze dei retaggi ottomani, si mangiava tutti attorno ad un tavolo rotondo basso e mia nonna paterna, buona come un pezzo di pane e sempre calma e disponibile con tutti, seppur affaticata dalla vita pesante di contadina e massaia, rimasta vedova con 8 figli, cattolica, mi raccontava con molta affabulazione delle bellissime fiabe di origini arabe.  La mia lingua d’origine è la bellissima lingua croata, anche se, per merito di mio padre, conosco e amo tante parole di origine turca, che lui scherzando usava nel suo modo di parlare. Per capire la mia poesia in effetti bisogna conoscere me come tale. Un incrocio che ama ogni tassello della propria identità.

Amo l’Ottocento/sedermi con i miei antenati/ di Shabbat/ a tavola/ con la hala/ ancora non spezzata/ a ricordare al lume di candele/ l’intreccio tra il corpo e l’anima.

Cosa significa per te essere ebrea e donna, artista e intellettuale in Accademia?

Da ebrea mi è successo a Napoli che taluni colleghi, avendo saputo della mia identità, cambiavano marciapiede per non incontrarmi. Come donna ne ho risentito, ma vado a testa alta. Come artista e intellettuale l’Accademia non mi ha valorizzato molto, peggio per loro. Anche all’Università di Zagabria, dove ho insegnato italiano per 5 anni e mezzo, ho avuto problemi simili nell’ultimo dopoguerra, ma anche da studentessa, talvolta. Ciò mi ha dato solo la forza di continuare sulla mia strada, come donna, come madre di un figlio ebreo, come intellettuale e come artista, a non piegare mai la testa e a lavorare per la diffusione delle conoscenze sia nel campo artistico che nel campo intellettuale e professionale di divulgatrice di una cultura e di una lingua poco conosciute, purtroppo ancora, in Italia. Devo dire, però, che ho avuto anche molte persone vicino, che hanno saputo apprezzare il mio operato, non abbastanza, però, a mio avviso, nell’Accademia.

…Perché nel mio sangue di tua progenie ribolle quell’ultimo tuo grido di persona sgozzata e trucidata davanti alla fossa comune sotto un salice sul fiume Sava.

Quali sono state qui le tue alleanze culturali e umane e i ponti interculturali che ti sono serviti e quelli che hai costruito?

Di alleanze culturali e umane qui, grazie a Dio, non ce ne sono poche, perché c’è sempre tanta gente pura che sa riconoscere l’Essenza di un Valore. Ho costruito ponti, e tanti, durante l’Assessorato alla Cultura del Comune di Napoli sotto l’egida di Nino Daniele, che per me resta un esempio alto di come da un humus fertilissimo, quale è quello napoletano, si possano tirare fuori tante storie ed eventi di importanza di cultura vera. Gli sono molto grata per essermi stato sempre a fianco nell’organizzazione degli eventi ebraici per la città di Napoli. Ovviamente, sono presente, tramite convegni e le mie pubblicazioni, un po’ in tutta Italia. Ora ho un ottimo ponte con la Sicilia, con l’editore Carthago, che mi ha pubblicato il terzo libro di poesie, su proposta loro, e con cui sto pubblicando autori croati contemporanei, a mia cura e nella mia traduzione dal croato, una letteratura bellissima di cui in Italia si conosce troppo poco. Loro mi hanno anche proposto di essere la loro referente per tutte le letterature dell’Est Europa, cosa che mi onora. In Campania un simile ponte con l’editoria non ero riuscita a costruirlo, eccezion fatta per il compianto editore Tullio Pironti, che aveva accettato di pubblicare un libro importantissimo per la conoscenza della Shoah in Croazia, con tre testimonianze dirette, a mia cura, dell’autore ebreo croato Paul Schreiner. 

Strano questo tramonto/ nello scintillante rondò dell’onda/ ma Tu indossalo/ e cucitelo addosso/ per l’ora gioconda.

E’ importante il dialogo interreligioso nelle tue opere e nelle opere degli autori che scegli?

Sono assolutamente aperta al dialogo interreligioso e lo dimostro sia nelle mie opere che nelle opere degli autori e delle autrici che scelgo per la mia traduzione in italiano. Ho tradotto anche molti autori italiani in croato (Buzzati, Moravia, Sciascia, David Maria Turoldo); ho dedicato molti studi in lingue croata e italiana e molte traduzioni in croato al grande poeta-scultore mantovano Umberto Bellintani (per citarne solo alcuni). Non partecipo pubblicamente agli eventi interreligiosi, semplicemente perché non mi erano stati mai proposti. Sono dell’avviso che ognuno arricchisce l’altro con le proprie esperienze di vita e con la propria cultura, ma che della propria origine e identità deve andare fiero e sempre a testa alta, qualsiasi essa sia se volta a costruire il Bene e la Pace tra noi esseri umani.

Scrivere poesia in italiano cosa significa per te. Cosa hai trovato di simbolico e nutritivo in Italia?

Posso dire che ho un fondale genetico di lingua italiana perché mio nonno materno, di etnia slovena, di origini sefardite, nato in  Italia, morto in un incidente di moto a Zagabria, quando mia mamma aveva solo 3 giorni di vita, mi ha lasciato probabilmente questo genotipo. La lingua italiana, che non è la mia lingua madre, ma che ho studiato all’Università di Zagabria, era dentro di me, forse da tempi addietro; la sento profondamente come acqua che scorre nel suo letto di fiume. L’ho studiata con amore e con passione; non perdevo un momento della mia vita per perfezionarla col tempo, volendo impararla e parlarla come una nativa in Italia, come una madre lingua italiana. La sento profondamente in ogni sua sfumatura, ne ricerco e ne ritrovo tanta musicalità nel corpo fonetico e semantico, spesso mi permette pure di giocare con le parole; amo la sua storia letteraria, come pure amo la mia lingua madre, che è musicalissima e bellissima, ma purtroppo fin troppo poco tradotta e conosciuta.

Cosa significa per te fare comunità, fare associazione ?

Per me fare comunità è sentito come dovere etico, morale, come appartenenza e come dovere di divulgazione di valori della propria identità; non amo entrare a far parte delle Associazioni, amo collaborare con tutti coloro che mi riconoscono come persona e che mi invitano per una condivisione dei saperi; l’unica mia appartenenza identitaria e ufficiale è quella con la mia Comunità ebraica d’origine (Zagabria) e con quella di Napoli, dove vivo. Le mie due Comunità ebraiche, di cui sono ufficialmente membro, la prima per storia di origini famigliari, la seconda per motivi di immigrazione, sono Zagabria e Napoli. Sono la mia famiglia allargata, e con loro ho sempre costruito eventi; a Zagabria ero nella Sezione Cultura Giovani e abbiamo fatto tante cose belle per gli interni e per la cittadinanza. A Napoli pure, anche se negli ultimi tempi la mia militanza qui è abbastanza diminuita. A Zagabria continuo a distanza per quel che posso, sono nella redazione del nostro mensile ebraico “Novi Omanut”, responsabile per la letteratura ebraica in Italia. Ad ogni modo a Napoli vengo sempre chiamata dalla Comunità per andare nelle scuole a parlare della Shoah a fine gennaio, cosa che ormai non faccio volentieri, perché per me è troppo doloroso e perché per i giovani, essendo imposto dalla scuola, non di rado poco sentito. Della Shoah, dell’ebraismo e dei valori tradizionali nostri, si può parlare tutto l’anno. E sarebbe opportuno farlo; nelle scuole si può andare con la letteratura, che non è solo Primo Levi o Edit Bruck. Esistono autori ebrei importantissimi come Paul Celan, nativo della Romania, o scrittori ebrei croati o serbi, che andrebbero conosciuti molto più sentitamente e approfonditamente rispetto ai soliti, che vengono sempre proposti. Devo qui aggiungere che c’è un solo Istituto in Italia di cui faccio parte come membro d’onore,  e la cui associazione ho accettato con il sommo piacere, ed è l’Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei di Gorizia. Con loro mi trovo in perfetta sintonia, costruiamo insieme tanti ponti con la Mitteleuropa, attraverso convegni internazionali, e mi sento di casa in una squadra che sa riconoscere i valori e l’impegno, che sa costruire ponti oltre ogni confine, come storicamente così al giorno d’oggi, pensando sempre al presente che costruisce il futuro. Parlo di Gorizia, che sarà la Capitale della Cultura Europea nel 2025 e di cui, come per un ritorno alle origini (mio nonno materno era sloveno goriziano), sono approdata tramite un illustre professore di Pavia, che insegna nelle università europee tra cui anche quella di Napoli e che mi ha voluto fortemente in quella squadra. Ne sono davvero tanto onorata e mi sento fortunata;  ogni mio contributo per loro, ogni loro coinvolgimento a costruire un Ponte, lo sento come una cosa voluta dal Cielo.


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