
Nel seno del tempo di Claudia Palombi
Non è semplicemente una raccolta di poesie - cinquantuno per l’esattezza - ma è un vero e proprio viaggio poetico attraverso l’esistenza, un viaggio che diviene metafora stessa della vita. Suddivisa in sei parti collegate tra loro e in sintonia con il tema del tempo, che impone la sua centralità fin dal titolo, l’opera si apre con un’intensa prefazione del Prof. Adriano Smonker, seguita dalla prima sezione, intitolata, non a caso, Tempo di vita: una sezione che ha un valore programmatico e che custodisce al suo interno poesie che sono una chiara dichiarazione di poetica. E fin dal primo bellissimo testo, dal cui titolo ha origine quello della raccolta, la poetessa ci prende delicatamente per mano e ci guida attraverso il cammino di una vita vissuta intensamente, dolorosamente, fino a raggiungere una dimensione di consapevolezza e di armonia che le permette di vivere oggi, appunto, «adagiata / nel seno del tempo». Ed è questa, la vera vita, perché il resto era l’attesa, malinconica o impaziente, un ricercare, un annegare «nei laghi cupi / delle domande / senza risposta.» Era l’a/dolescenza, dolente condizione di passaggio, che impediva di godere del succo dolce:
Benedetta adolescenza
[...]
Sulla soglia della vita
m’hai tenuto a lungo
e a lungo trascinato
con tanti squarci
e tale dolore
che ti amo ancora
come la vittima ama
il suo torturatore.
Essere adagiata nel seno del tempo significa, dunque, vivere nell’hic et nunc di un tempo che assurge ad una dimensione materna e consolatrice, significa lasciarsi avvolgere dal passare dei giorni, dalla ciclicità delle stagioni, dal volgere degli anni, trovando di volta in volta la giusta risposta alla vita che accade e ci ferisce. E al vissuto quotidiano nel trascorrere, reale e metaforico, dei giorni allude anche il titolo della seconda sezione, Stagioni: «l’autunno sgretolava / le ultime cose // Noi migravamo / in un volo di rondini.»; e ancora: «il vento gelido / ha seccato le sorsate di vita / ha spaccato le labbra... // E allora [...] l’inno della gioia / m’è uscito dal cuore/ per sempre».
Solitudini, la terza parte della raccolta, è incentrata, invece, sul tema del dolore e della solitudine dell’individuo di fronte alle molteplici prove dell’esistenza («Questo viaggio si compie da soli / [...] non c’è un tratto che all’altro somiglia / ora è un fiume, ora roccia o fanghiglia»), mentre la sezione successiva, Oggi, allarga lo sguardo al dolore di tutta l’umanità e affronta argomenti ardui e attuali come la guerra o il dramma dei migranti. Tuttavia, anche qui, come del resto nelle pagine precedenti, l’autrice sa inserire versi che stemperano la sofferenza e la drammaticità del presente aprendo il cuore alla speranza, perché «ha pensieri di pace la gente // e le cose. Anche le cose / hanno pensieri di pace [...] // Hanno voli tremolanti d’amore, le tortore a sera.».
Concludono questa intensa raccolta due sezioni, Parole e Tagli, molto diverse tra loro. La prima delle due - esile e di sole tre liriche, ma intense e potenti - è dedicata alla poesia, che la poetessa sente scorrere dentro di sé, in «metri e metri di arterie / e vene e capillari», ma che ha bisogno di riflessione e lunga elaborazione per far pervenire a chi legge intatto il sapore e l’aroma: «Oggi cucino parole / a fuoco lento», scrive in Oggi cucino parole, facendo uso della stessa efficace metafora che ritroveremo nell’ultima sezione, nella poesia In cucina, dove però assume una valenza ironica, scherzosa. Perché con Tagli, vale a dire ritagli, frammenti, Claudia Palombi ci mostra l’altro volto della sua creatività poetica, il côté irriverente e un po’ribelle, che ci regala divertissement in cui gioca con le parole mostrando una fantasia brillante, che in qualche caso si avvale anche della sua perizia di enigmista, come in Il mio maglione preferito (polisenso intrecciato).
Un’ultima considerazione: le sei sezioni di Nel seno del tempo, oltre che dal fil rouge dell’avvicendarsi dei giorni, sono intimamente legate da un’armonia interna, una melodia che scaturisce da versi che alla bellezza e alla profondità delle parole uniscono anche una grande musicalità che ci rimanda alla biografia dell’autrice, strettamente legata fin dalla nascita al mondo della lirica.
Con una poesia che partecipa della bellezza della classicità e con l’eleganza di versi che scelgono di volta in volta, secondo necessità, se ritagliarsi in rapidi emistichi o distendersi in endecasillabi o ipermetri, Claudia Palombi ci incanta e ci emoziona, facendo uso di un sermo volutamente quotidiano ma mai comune, sia quando dedica i suoi versi agli affetti più cari (A mia madre; Guardavo), sia quando canta l’amore in un modo che è solo suo (Restare; Il nido; Le tue labbra consumate), sia, infine, quando ci parla del suo esistere inquieto, in una poesia, Vivo, che ci ricorda gli incipit e gli explicit folgoranti del Cardarelli migliore:
Vivo come i cavalli vivono
galoppando attraverso lo squarcio
che s’apre illimitato di spazio
per sussulti di paura
per moti di fierezza
per gioie sfrenate
o per gioie.
Bagno nel fiume le ferite
dei rami spezzati
passando.
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