Palingenesi
Disegno di Eleonora Liorsi

Palingenesi

diFabio Tamborrino

Brazo batte furiosamente sulla tastiera. Seduto alla piccola scrivania, camicia aperta e petto nudo, scrive con dita rapide, come un invasato, senza tregua tutta la notte, approfittando delle ore un po’ più sopportabili, in cui il caldo feroce del giorno sembra aver allentato appena la morsa. La finestra aperta, la strada di sotto deserta, un silenzio quasi irreale, rotto appena dall’eco lontano di qualche mezzo in transito sulla provinciale, a qualche chilometro di distanza, con le luci rosse di segnalazione ai lati del cavalcavia ben visibili dalla finestra, a quell’ora buia.

Brazo scrive in preda a una follia produttiva priva di governo. Lettera su lettera, parola dopo parola, una frase dietro l’altra. Pagine e pagine di puro nonsense , senza un progetto di base, un’idea coerente che aiuti a definire ciò che mette insieme: versi? Idee? Aforismi? Pensieri in libertà? Impossibile classificare quello che viene fuori da una tale frenesia. È come quando cedono gli argini di un torrente in piena, all’improvviso, e una massa liquida e densa, maleodorante, spietata, dilaga inarrestabile, trascinando di tutto e coprendo ogni cosa intorno.


Serpi aliene articolate in catena come in una morsa, in costante invettiva nel loro costante naufragare. E poi, un cambio, una musica a martello, una vera controriforma nell’abitudine al salmastro odore che si spande oltre ogni limite conosciuto. Distante, confusa, si prospetta una nuova partita da giocare, servile nel necessario, ma incombente come una luna di metallo, sporca, contaminata, inerte…


Pura anarchia verbale, post dadaismo, a un secolo di distanza dall’opera di Tristan Tzara e dei suoi epigoni.

Ma non è quella l’intenzione, non è a Tzara che Brazo pensa, mentre martella sui tasti.


Impercettibilmente si rivoltano e si arricciano strade improbabili, orientamenti confusi in un deserto, che tale è questo infinito anelito di ricerca dell’ovvio, del costante, dell’infortunato essere; risalta l’eccezionale che abita ovunque cadano i semi dell’incognito per spingersi oltre il dovuto, oltre il disarticolato


E a mano a mano che parole e frasi continuano a piovere, qualcosa nella sua testa comincia a prender forma…


…testimonianza del fallace, opercoli che si schiudono, esemplari di fatica e di impegno, stesi come su lettighe di ospedale, piatte e rassicuranti, mentre l’orgoglio del non essere non fa altro che richiamare i suoi errori


Qualcosa che tuttavia fatica a consolidarsi, e per cui egli si sente chiamato ad andare oltre, a rompere ogni costrutto, a rimuovere anche quell’ultima illusione di coerenza che pone in relazione le parole tra di loro…


ora, domani, cinesi all’assalto, vede lo spirito incute realtà d’esame, come dell’incuria della vita in una cella frigorifera, senza impronta di beatitudine occulta, sciami di troie da bordello, Samarcanda crolla in preda alle sue luci


Ma ancora non basta, Brazo se ne rende ben conto. C’è ancora una continuità che non gli riesce di rompere, un filo conduttore sottile ma tenace che spontaneamente, per legge di entropia, si organizza come una ragnatela, e che soffoca quel “qualcosa” che è ancora troppo debole e tenue per sembrare nulla più che un’impressione, un’immagine sfocata. Egli sente di dover fare tabula rasa di tutto. La solida struttura logica che da sempre lo possiede, va abbattuta. Un concetto coerente con un’idea che contraddice se stessa: azzerare appunto la coerenza delle idee che trovano espressione; eliminare gli incastri che tengono insieme le parole montate come i Lego…


….ghiaccio di bolina dal vituperio errante, assenzio telefonico, spostarono comuni e mele acerbe, intonse come limiti di o dalla precocità senza un soffio forte di fuori, cambierà se di regola non è dipeso da me o sotto remoto si accetta così, impunemente, con un attrito di sfera….


Brazo combatte al punto che le dita tamburellanti cominciano a dolere, per un istante sente di potercela fare, di riuscire a compiere incerti passi avanti. Egli sa che la meta è ancora lontana, ma questo non lo scoraggia, non ancora per lo meno, a patto che quella minima percezione di progresso continui ad albergare in lui, a infondergli energia, ad alimentare la sua ostinazione a proseguire, ad andare ancora più in là…


…alla presa se ora ci sei, ma ere fai, oso poi nel suo così tre fan due, gli ori doti sul fine cavo mio post sci diva col reso ivi onda fa lui spia, imo re del sia tic sta ala ella una lama


Niente da fare, le parole significano ancora qualcosa, aprono varchi già conosciuti ed esplorati troppe volte, portano in luoghi che hanno già detto tutto quello che c’era da dire, ma quel “qualcosa” che fa capolino lo spinge in cerca di nuovi e inesplorati passaggi, per giungere ove nessuno prima è mai giunto…


gresto fupranico d’almagiunta misonte, krastiko tre oveplova, nambito et urtanisti, vir compostri, vir depresti, turbingesta neofolle; est novaprova, chi s’allima onte colprano assiriato eve lunte d’opplaceo scorvo


Lettere smontate, isolate e poi ricomposte, a rischio involontario di sembrar comiche, un richiamo al Lonfo di Maraini, qualcosa di già sentito, in fondo. Ma non è questo il momento di temere il ridicolo, o ancor peggio il plagio, la posta in gioco è troppo alta.

E comunque, ancora non ci siamo.

La rottura passa attraverso le sillabe, e forse meno sillabe aiutano a scardinare l’intero impiantito, ma così, pare, non è. E neppure attraverso le singole lettere riassemblate, in agglomerati privi di senso, ove malgrado tutto il suono richiama ancora, ostinatamente, qualcosa di familiare, di già vissuto, conosciuto, esistito.

Forse bisogna andare ancora oltre, forse occorre osare di più, anche se tutto questo rallenta il ritmo, perché a dispetto dei suoi tentativi di lasciar correre, Brazo sente di dover organizzare quella decostruzione, sente di non essere più puro transito, ma attore, volontà, qualcosa che tende a piegare, anziché assecondare, quell’indefinito che vorrebbe accadere…

eeee siiiii oh mmmmmh azzzzzzz, ffffff usssss ththth cooo sh nnnhh mb k sk llla


trrrr hhhhh glglgl, dhy ooooohhh faaaaaa eeeo ih crrrr mmmmm ….


…eppure anche qui si indovinano brandelli di costrutto, anche qui continuano a trasparire regole, e intanto si sta facendo strada nella sua mente la sensazione che quel “qualcosa”, che sembrava voler emergere, si stia annacquando, si stia disperdendo come particelle che si disciolgono nell’acqua.

Scendere ai soli fonemi. Forse questo occorre fare. Ma i fonemi sono infiniti, questo Brazo lo sa, e non sono rappresentabili. La scrittura non è più sufficiente.

Sorge un problema.

Ma intanto, il flusso prosegue inarrestabile. E non appena cessano le riflessioni, per quanto vaghe e sfumate come nuvole di vapore, non appena egli si sente rapito

dall’abbandono, le dita sulla tastiera riprendono velocità, e riprendono a costruire. E Brazo lascia andare, mentre a bassa voce emette suoni, puri fonemi, che risuonano attraverso le vibrazioni trasmesse dalle ossa del suo cranio, prima ancora che attraverso le sue stesse orecchie:


Vorrei comprendere se si contano i rimorsi di un rimpianto occidente, alfieri della seconda, scomoda equità, non serve, profonda ala interrata senza occhi per vedere e mandare indietro. Ora sì che resta possibile ogni collante, ogni fine ultimo si appalesa, mentre i mostri interni restano trafitti come sulle pagine di un diario. E dunque un’aura di gomma, un sole mai nato e irriducibile, maestoso discende verso l’incanto, si abbracciano ambiguità limpide, come di fronte a una lapide, come in una breve lirica sparsa su un pavimento appena lavato….


Ormai il ticchettio dei tasti è ridiventato veloce, martellante. Coperto solo dai suoni che Brazo continua ad emettere, fonemi e armonie vocaliche su tutti i registri, da quelli più gravi, da far vibrare il suo corpo, ai più alti, acuti al punto di infastidire le sue stesse orecchie. Le parole si affollano e ruotano intorno a lui come in un vortice che lo avvolge completamente. Sono i suoni che emette a farle volare in quel modo, almeno è questa la sensazione che prova – per quanto, ormai, non riesca più a dare un giudizio critico e sensato ad alcunché stia avvenendo in quel momento davanti e intorno a lui.

Le dita letteralmente volano; i suoni che escono dalle sue labbra come se venissero da altrove, e le parole che si accatastano sullo schermo del computer sono tutto ciò che riesce a percepire: non la stanza, non la calura estiva, non la finestra aperta e le luci rosse del cavalcavia. La realtà delle cose che lo circondano è scomparsa.

E la palingenesi si compie.

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