Dall’attacco di panico all’estasi
Paolo Menduni, Napoli è

Dall’attacco di panico all’estasi

diCinzia Caputo

“L'anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci, soprattutto perché provi

un senso di benessere quando gli sei vicino.”

CHARLES BUKOWSKI

 


Etimologicamente, il panico deriva dal greco Panikos, nell’antica Grecia, il dio Pan era una divinità olimpica dall’aspetto di un satiro, legato alla natura. Figlio del dio Ermes e della ninfa Driope. Ermes il messaggero, raffigurato con le ali ai piedi, mentre Driope era una principessa che divenne poi una ninfa agreste. Si dice che Driope si spaventò alla nascita del figlio caprone, e Omero racconta che lo abbandonò per il suo aspetto. Hermes lo raccolse e lo portò sull’Olimpo per far divertire gli dei, ma fu accolto da Dioniso che lo portò con sé. Pan è legato alla nostra natura selvaggia, ossia qualcosa che ha a che fare con il mistero, l’ignoto e quindi la paura. Se elenchiamo i sintomi dell’attacco di panico, palpitazioni, senso di soffocamento, sudorazione, simulazione di attacco cardiaco, ci accorgiamo subito che possono essere paragonati a quelli della trance. Dandogli quindi un respiro più grande e non respingendo l’emozione, senza un’interpretazione dettata dalla paura, possiamo vederlo come una possibilità di espansione della nostra coscienza, che può condurci fino all’estasi. Come descritto da E. Zolà, il corpo vuole cibo, la mente assiomi, l’anima l’estasi.


Gli studi di De martino sulle tarantate dimostrano come stati di possessione evochino la prassi sciamanica, in cui lo sblocco di uno stato di crisi si esprime attraverso la relazione tra crisi e presenza rituale. Estasi vuol dire uscire di ed è da sempre oggetto di studio. Nelle cerimonie sciamaniche dell’Amazzonia e dell’Asia, il guaritore incorpora in sé le potenze della natura per mettere in atto dei patti con queste forze e per riportare il soggetto malato alla guarigione. Lo sciamano a differenza del posseduto, è un visionario che consapevolmente viaggia tra i mondi, mentre il posseduto li subisce. Da sempre quindi, l’uomo vive situazioni-limite che esprimono quell’eterno ritorno ad un istante atemporale che cerca di abolire la storia per ricreare il mondo, come in tutti i fenomeni religiosi. Anche i grandi mistici, sia cristiani che musulmani, vivono esperienze di trance e di estasi. In questa prospettiva, panico significa lasciarsi abitare dall’ignoto. Nella trance sufi, i dervisci danzanti raggiungono uno stato di trance e poi di estasi con danze rotatorie, in cui abbandonano la loro identità, per entrare in una trascendente.


Il linguaggio della danza come espressione di determinati contenuti psichici consci e inconsci diviene una delle chiavi interpretative con cui l’essere umano tende alla ricerca e alla conoscenza di sé.

Nella mente umana la ragione che è solo una parte, cede spesso alle energie emozionali  primitive capaci di dare messaggi che al di là del tempo parlano della globalità dell’esistenza e di un sentire universale.

In questo senso possiamo parlare di emozioni. Il termine emozione deriva dal latino ex-movere e significa produrre movimento interno; l’emozione è quel movimento interiore che accoglie ciò che viene a me e lo trasforma. Il dio delle emozioni, della vicinanza e del contatto è Dioniso. Il dio della follia perché chiede alla coscienza di andare in pezzi momentaneamente, di perdere la forma, di morire in un’estasi e di ricomporsi in una nuova forma. Come Walter Otto ci ha insegnato, Dioniso è una dimensione psicologica paradossale perché contempla sempre gli opposti.

In letteratura, la Divina commedia inizia con un momento dionisiaco di perdita di orientamento perché Dante dice:

 

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura!

 

E’ un percorso dionisiaco quello che Dante comincia, perché è un andare giù, nel corpo, nelle viscere del sentire e ha paura. Soltanto quando ha toccato il punto estremo dell’orrore fa una giravolta, come uno che nasce, prima muore, poi rinasce. 

Dioniso dio dell’estasi si accompagna a Pan, sono per questo, strettamente legati. Il panico se attraversato può essere una porta per entrare in un'altra dimensione. Gli studi sull’agarofobia, la paura degli spazi aperti assomiglia a quell’esperienza chiamata sindrome di Stenendhal che colpisce i turisti nelle città d’arte e che pare colpì lo stesso Freud prima di poter visitare Roma. Come dire che la bellezza e la grandezza ci spaventano tanto perché ci aprono spazi di libertà di cui non abbiamo consapevolezza.


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